Volonté e la caricatura di Aldo Moro

Volonté e la caricatura di Aldo Moro

Nel 1976, portando sullo schermo Todo modo di Leonardo Sciascia, Petri aveva inserito tra le tante varianti una immagine sinistra e caricaturale del presidente della DC (Aldo Moro), interpretata con la solita efficacia da Gian Maria Volonté, tanto sinistra e caricaturale che al compiersi della tragedia il film era stato toto dalla circolazione.

[Callisto Cosulich, I sei della crisi, in Vito Zagarrio (a cura di), Storia del cinema italiano. 1977-1985, Marsilio-CSC, Venezia-Roma, 2005, p. 253]



Petri non è il solo, nel dipanarsi dei torvi anni Settanta, ad avvertire il pericolo di perdere la bussola: le vecchie coordinate non servono più, le ideologie si sono dissolte, dell'era assembleare sono sfumate le sublimi passioni giovanili e sopravvive il caos. Di pari passo con il terrorismo nascente si creano fugaci illusioni millenaristiche. Una di queste fantasie di onnipotenza è Todo modo (1976), in cui dopo un silenzio di tre anni Petri dà sfogo ai malumori piegando a significati catastrofali il romanzo geometrico e cartesiano di Sciascia. Contro l'ipotesi di un compromesso tra destra e sinistra, visto come un pactum sceleris, Petri allestisce sulla figura di Gian Maria Volonté una spregiosa caricatura di Aldo Moro e la colloca all'interno di un film nero, straziato e minaccioso. Due anni dopo Moro sarà rapito e ucciso dalle Brigate Rosse. Todo modo sparirà dalla circolazione (dopo una carriera commerciale tutt'altro che positiva) come alonato da un riverbero maligno.

[Tullio Kezich, Indagine su un cineasta al di sopra di ogni sospetto, in Elio Petri, XL Mostra Internazionale de Cinema, Venezia, 1983, p. 24]

 


Quando girammo Todo Modo, Volonté divenne evanescente, camminava come se fosse sulle nuvole, parlava a bassa voce, non ti guardava negli occhi, tutto preso com'era dal personaggio di Moro. Il suo fu uno sforzo di concentrazione eccezionalmente intenso. I critici ne parlarono come di Noschese, e anche la gente dell'ambiente, sempre tanto benevola. Per quel personaggio, Volonté ed io ci servimmo molto della moviola. Avevamo radunato molti pezzi di repertorio su Moro. Io, per scrivere il copione, avevo studiato alcuni dei suoi dilaganti discorsi. Posso assicurare che abbiamo censurato moltissimi dei comportamenti di Moro, che sarebbero risultati troppo irriverenti nella loro comicità, ed invece erano proprio suoi. Moro si abbandonava spesso a rituali assai elaborati, nell'incontrare altri uomini politici, o delegazioni straniere, o altri. Ne venivano fuori dei veri balletti. Io credetti fosse meglio puntare su una maschera che simboleggiasse tutti i democristiani, pur partendo dai buffi, esitanti, cinesi rituali di Moro.
I primi due giorni di lavorazione di Todo modo furono cestinati da me, d'accordo col produttore e con lo stesso Volonté, perché la somiglianza di Gian Maria con Moro era nauseante, imbarazzante, prendeva alla bocca dello stomaco. In quell'immagine risultava tutta l'insidiosità, l'astuzia dell'uomo politico. Dissero la battuta di Noschese, gli amici. A nessuno venne in mente di constatare che in fondo, nel film, ci voleva un certo coraggio a prendere un uomo politico, analizzare il suo comportamento "face-to-face", e trasformarlo nella maschera dello sfascio, della catastrofe.
E nemmeno si volle riflettere sulla non casualità della scelta di Moro, nella quale era implicito un giudizio politico sulla sua grande abilità di incontrare la sinistra, per poi incastrarla, e snaturarla, e asservirla.

[Lettera dattiloscritta di Elio Petri, archivio Paola Petri - Museo Cinema Torino]