Testimonianze dal set

Testimonianze dal set

Paolo Bonacelli, Fiorella Infascelli e Aritiniska Nemour

Conoscevo Pasolini già prima di interpretare Salò. Lavoravo nel teatro di sperimentazione, nei teatri di cantina, e non era difficile incontrarlo in queste occasioni. Conoscevo anche sua madre Susanna. Lo incontrai prima un paio di volte in maniera informale, poi venni chiamato per leggere il copione. E mi disse "questo è un copione tremendo, se lo legga e poi mi saprà dire cosa ne pensa". Lo lessi, ma non rimasi troppo impressionato e accettai di fare il film, lo dovevo fare del teatro, ma non ho avuto esitazioni ad accettare. Anzi, riuscii a sciogliere i miei impegni e a vivere questa avventura.

(Paolo Bonacelli)

 

Sapevo che stava preparando questo film. Andavo spesso in produzione, alia Pea, all'Eur, dal suo aiuto Umberto Angelucci, e chiedevo se mi potessero prendere come assistente. E mi dicevano: assolutamente, no, che non era possibile, che era un film difficile e che sicuramente Pier Paolo non avrebbe voluto una donna come assistente. Ci andai tante volte perché ero assolutamente decisa a fare questo film, ma loro mi dicevano sempre di no. Allora mi sono detta che non lo potevo fare. Poi loro sono partiti per fare dei sopralluoghi e io continuai a chiamare perché avevo letto che c'erano tante ragazze, delle scene difficili, cercavo di suggerire loro che forse avevano bisogno di una donna che stesse vicino a queste ragazze, che potevo essere utile. Un giorno mi ha chiamato Umberto dicendomi che Pier Paolo voleva vedermi. Il giorno dopo presi il treno. La prima volta che ci incontrammo, quando mi prese come assistente, fu molto affettuoso. La cosa buffa di quella mattina, è che mi parlava dicendomi che voleva mettere nel film tante canzoni vecchie. Mio padre aveva fatto dei film sulle canzonette, ero molto preparata sull'argomento. Iniziammo a canticchiarle insieme"

(Fiorella Infascelli)

 

Ci fu una grande selezione in quel periodo, mi ricordo che la produzione girava in tutta Italia per cercare personaggi per il film. Mi contattò la mia agenzia - all'epoca facevo la fotomodella - e con altre centinaia di ragazze mi ritrovai alla selezione. Quando vidi la prima volta Pasolini, l'emozione fu grande e la prima cosa che mi colpì, insieme all'umiltà e la semplicità, fu il fatto che disse che somigliavo a Marisa Allasio, una somiglianza che è svanita con gli anni. Fui quindi selezionata e iniziammo le riprese qualche mese dopo.

(Aritiniska Nemour)

 

Non immaginavo quanto potessero essere difficili alcune scene del film però sapevo che c'erano delle scene molto impegnative per le ragazze. Quando ho incontrato Pier Paolo, ma anche durante il film, malgrado fosse spaventoso, lui era molto allegro. Mi sorprendeva proprio questa allegria. Il tono del set non era molto allegro, per niente. Ma lui riusciva ad esserlo. Il clima di ciò che accadeva nel set e l'atmosfera di ostilità generale che si avvertiva intorno al set, si intrecciavano. Pasolini aveva questa capacità di tenere tutte le persone insieme, unite. Non c'erano mai dei dubbi. Quando si finiva di girare una scena, lui dava delle occhiate allegre, che smorzavano tutto quello che stavamo facendo di angoscioso. Ed è vero che Pasolini non dava tante indicazioni, e aveva più contatti diretti con i carnefici.

(Fiorella Infascelli)

 

Mi disturbava la riservatezza di Pier Paolo Pasolini, e lo feci presente ad uno dei suoi collaboratori perché il regista stava appartato e ci dirigeva spesso col tramite dei suoi aiuti e assistenti. Chiesi il perché di questa scelta ad uno stretto collaboratore di Pasolini. Il giorno dopo venni invitata a pranzo proprio dal regista: ebbi una grande soddisfazione. Parlammo di tutto, dell'aborto, dei problemi giovanili, del suo pensiero verso la gioventù sfrenata di quegli anni. Era una persona molto riservata che mi incuteva molta soggezione, in generale non dava confidenza. Per questa ragione quel pranzo è rimasto un ricordo molto particolare. Mi disse che la sua riservatezza derivava dal fatto che voleva mantenere un certo distacco con noi 'vittime', ma anche da tutto il resto. Era sempre molto riservato, bisognava proprio insistere per avere un contatto personale.

(Antiniska Nemour)

 

Lui chiedeva che gli attori avessero un certo tipo di atteggiamento mentale, abbastanza libero, disponibile all' improvvisazione, all'adattabilità alle situazioni. Lui era sempre alla macchina da presa quando si girava. Delli Colli usava una luce diffusa, e lui si spostava indipendentemente da quello che era stato fatto durante le prove. E bisognava tenere conto di questo tipo di cambiamenti, io cercai di mettermi sulla stessa lunghezza d'onda per sfruttare al meglio anche quei cambiamenti che lui stesso apportava, dettati da esigenze per migliorare ciò che era stato provato. Devo dire che poi c'è stato un certo di tipo di affiatamento tra me e lui, in certe situazioni che richiedevano delle esperienze di recitazione: io avevo dieci anni di esperienze in teatro. Per esempio, nel rapporto con i giovani attori che venivano dalla strada, alcuni non riuscivano neanche a dire determinate parole. Lui ogni tanto mi chiedeva aiuto per migliorare delle situazioni che per alcuni erano sorprendenti.

(Paolo Bonacelli)

 

L'atmosfera particolare incuteva tensione, sembrava quasi irreale, di vivere un'altra realtà, c'era molto silenzio per dare concentrazione a quello che stavamo vivendo e recitando. Nel corso dei mesi poi cresceva da parte nostra una forma di esaltazione, che in queste situazioni ci faceva entrare nei personaggi. Basta vedere come i ragazzi che interpretavano i collaborazionisti alla fine fossero completamente gasati. Non so se bevevano o cosa, ma qualcosa di sinistro era forte in loro, facevano veramente paura. Non dimentichiamo che le riprese sono durate quattro, cinque mesi e alla fine ci eravamo completamente immedesimati. Quando uscivamo dal set sembrava che il mondo fosse un'altra realtà, non quella vera. Vedevamo sul set cose estreme, talmente strazianti, che tutti, in certe situazioni, eravamo esaltati dal protagonismo dei nostri personaggi.

(Antiniska Nemour)

 

Io penso che l'ultima volta che ho visto Pasolini traballante, che non riusciva bene a tranquillizzare gli altri, ma specialmente lui, è stato durante le scene delle torture. Per tutto il resto del film mi ricordo che era allegro, che era contento, che riusciva a smitizzare. Ci davamo del 'lei', e questo fino alla fine delle riprese. La cosa straordinaria è che Pasolini contemporaneamente faceva molte altre cose. Girava il film, scriveva il libro, scriveva gli Scritti corsari, andava a fare le partite di pallone e pensava già al film successivo. Mi ricordo che la mattina mi dava gli articoli e io li andavo a dettare al "Corriere della sera". Dopo mi sono resa conto che io ho dettato gli Scritti corsari al telefono. Ero terrorizzata perché avevo paura di sbagliare.

(Fiorella Infascelli)

 

Sicuramente eravamo disgustati, non era facile anche perché non c'era un vero copione cui fare riferimento, sapevamo tutto giorno per giorno quindi certe scene ci spiazzavano. La scena delle vittime carponi al guinzaglio come cani, come molte altre, era discutibile, ci creava delle difficoltà. Tutto è stato per noi scioccante, era una situazione che però, dovevamo per forza vivere. Giorno per giorno era una scoperta continua, in questa atmosfera sinistra e elettrizzante allo stesso tempo.

(Antiniska Nemour)

 

Pasolini non mi ha suggerito niente di particolare. Interveniva nel momento in cui si recitavano certe cose, perché penso che anche il carnefice possa avere dei momenti di dolcezza. Non voglio teorizzare, ma questi atteggiamenti mi venivano normali, lo penso che il carnefice abbia una sorta di comprensione per la vittima. In quei frangenti lì, tra il carnefice e la vittima, può anche liberarsi qualcosa come l'amore.

(Paolo Bonacelli)

 

Prendiamo la scena della popò, il momento in cui la ragazza vomita nel film; la ragazza si immedesimò a tal punto che vomitò per davvero sul set. Altre scene aberranti, mi ricordo, le prendevo serenamente, non con spirito critico, forse per la spensieratezza della mia giovane età"

(Antiniska Nemour)

 

"Cosa mangiava? Mangiava dei cioccolato con qualche candito, lo lo mangiavo ghiottamente, era cioccolato con i canditi. Non era niente altro. Come si può essere scandalizzati a mangiare del cioccolato con dei canditi? Tu sei bravo se quel cioccolato con canditi lo mangi con grande gusto, e tanto più lo mangi con gusto tanto più sarà tremenda quella scena. Tutti sapevamo che quella era cioccolata. E allora mangiala con gusto e vedrai che sarai un bravo artista.

(Paolo Bonacelli)

 

Mi ricordo il pasticciere che formava gli escrementi con grande arte, e preparava questi piatti orribili ma che profumavano di cioccolata e marmellata

(Antiniska Nemour)

 

Avevamo già girato una scena che non c'è e che doveva essere il finale originale. Una scena in cui tutta la troupe ballava, e anche carnefici e vittime ballavano insieme. Mi ricordo che Pier Paolo, ci teneva tantissimo a questa scena. Andavamo a lezione di ballo alla fine delle riprese. Questa scena fu girata con tutti gli attori, i macchinisti, Pier Paolo che ballava insieme a noi, tutti quanti ballavamo. Era molto divertente e questo doveva essere il finale con i titoli di coda. Forse questa scena del ballo faceva parte dei negativi rubati. Non so per quale motivo non l'abbia montata e non ne abbiamo neanche parlato. Comunque, non fu montata e non mi ricordo quando fu girato il finale attuale dei film. Ricordo solo che la scena che è il finale attuale, con solo i due ragazzi che ballano, fu fatta verso l'inizio delle riprese.

(Fiorella Infascelli)

 

L' unica scena di gioia, che poi non venne mai montata, è quella in cui tutta la troupe, attori e tecnici, ballava il boogie woogie; anche lui partecipò al bailo, lì tutti eravamo contenti di stare insieme. Non so perché venne tagliata, era una scena carina. Non si è mai vista, non è stata mai tirata fuori.

(Antiniska Nemour)

 

Pasolini stava molto male quando girammo le torture. Mi ricordo che andava dietro la macchina da presa, girava le torture, poi si allontanava e andava in bagno. Aveva mal di stomaco. Aveva molta difficoltà a girare queste scene. Girammo per diversi giorni, sono state scene lunghe e faticose. C'erano le protesi, i falli finti, la lunga preparazione al trucco.

(Fiorella Infascelli)

È stato male solo a Cinecittà. Molto male. Certamente nessuno lo sapeva. Lo sapevo io perché me lo diceva. Le torture furono girate con due macchine da presa. Per tutto il film Pasolini è stato in macchina. Il film lo ha girato tutto lui. Anche le scene girate a mano. Tranne, ovviamente, il finale del ballo dove anche lui ballava. Io non permettevo a nessuno di avvicinarsi alla macchina da presa. Ci furono dei problemi perché in alcune scene una attrice si fece male veramente (la scena in cui una vittima viene torturata con del metallo incandescente). La copertura sulla pelle non la protesse. Erano molto pesanti queste torture. Molto 'al limite'.

(Fiorella Infascelli)

"Le scenografie, gli ambienti in cui giravamo, i costumi che idossavamo, le luci che c'erano, non portavano ad una recitazione di tipo viscerale ma portavano a un viaggio attraverso il cervello. È chiaro che ogni attore ha un suo cervello, una sua storia e una sua esperienza, lo forse davo un po' di più avendo avuto già del le esperienze in precedenza e sapevo cosa era il brechtismo. Era una stagione felice per me. Ero un interprete di una cosa bella, di una cosa importante e di una cosa che forse avrebbe aiutato gli altri a parlare con se stessi e con il mondo intorno a se. Era una chiave di lettura di un certo tipo di mondo.

(Paolo Bonacelli)