La storia del film

La storia del film

"Anche per Risate di gioia ebbi da lottare" (Monicelli)

Così Mario Monicelli, ad oltre vent'anni di distanza, ricordava la genesi di Risate di gioia: "all’origine era una sceneggiatura rifiutata da Comencini, che mi dette da leggere Suso Cecchi d’Amico. Mi piacque l’idea di questa protagonista in giro per tutta una notte, e anche l’idea di lavorare con la Magnani. Mi garbava anche il fatto che il film avesse un’unità aristotelica, perché durava il tempo reale; lo dovevamo girare tutto di notte – infatti girammo per quaranta notti consecutive. Molti amici mi incitavano: 'Hai fatto La grande guerra, hai vinto il Leone d’Oro, dovresti avere delle ambizioni diverse!'.
De Laurentiis mi braccava in maniera spietata perché facessi I due nemici [poi diretto da Guy Hamilton] dicendomi: “È un’operazione uguale a La grande guerra, c’è Sordi con David Niven...” Non m’interessava proprio, perché era una rimasticatura del mio film.
Anche per Risate di gioia ebbi da lottare. Alla Magnani piaceva il film; era il personaggio di una povera comparsa di Cinecittà che voleva vivere una bella notte di Capodanno, e poi veniva invitata ad una festa soltanto perché erano in tredici; si accorgeva in fine della scarsa considerazione in cui era tenuta e finiva con un altro relitto di Cinecittà, interpretato da Totò” (Mario Monicelli, L’arte della commedia a cura di Lorenzo Codelli, Dedalo, Bari 1986).
Al momento di annunciare l'inizio delle riprese, ai primi dell'estate del 1960, trapelava dalle parole del regista la soddisfazione di lavorare con la più grande attrice italiana, ormai famosa anche a livello internazionale, e il desiderio di rivelare aspetti inediti del suo talento: “Sono convinto” dichiara Monicelli alla stampa, “che Anna Magnani oltre ad essere una grande attrice drammatica abbia anche grandissime doti di comedienne. Anche lei ci crede, ma talvolta ha delle esitazioni comprensibili. Contrariamente a Gassman, la Magnani ha un larghissimo pubblico conquistato proprio con i suoi personaggi drammatici. Ma io sono convinto che il pubblico vedrà una Magnani nuova, quasi inedita, e mi interessa presentarla così”.
(Alberto Anile, I film di Totò, Le Mani Editore, Recco 1998)




Nel 1986, invece, Monicelli non nasconderà la propria delusione retrospettiva: “Aveva una eccezionale personalità, ma come donna, non come attrice. Come attrice sapeva fare soltanto se stessa, la Magnani. Appena uno le diceva di fare una cosa un po' diversa non sapeva proprio farla. Si basava sempre sulla sua grinta, sui suoi corrucci, sulle liti, ma il resto non le apparteneva. Finito il film – che andò bene senza ottenere grandi successi – non fui soddisfatto; mi sembrava un film vecchio e stantio. Rivisto adesso è invece piuttosto insolito. C’è un Totò straordinario, più della Magnani. Ci fu poi la piccola scoperta di Ben Gazzara, un ragazzotto italo-americano che avevo visto in un film americano e che feci venire in Italia per questo personaggio di piccolo magnaccia che la protagonista segue a scapito di Totò.
[…] La Magnani era abbastanza difficile da manovrare, perché aveva il tremendo complesso della gioventù e della bellezza, una cosa francamente insopportabile. Era un tormento per me, per l’operatore, per il truccatore: doveva essere sempre bella, fotografata in una certa maniera. Invece di preoccuparsi del ruolo, della psicologia, del rapporto con l’attore. Lei diceva che tutto le veniva 'istintivamente'; ma bisognava approfondire di più il personaggio. Ad ogni modo anche questo fa parte dell’apprentissage di un regista”.
(Mario Monicelli, L’arte della commedia a cura di Lorenzo Codelli, Dedalo, Bari 1986)

Problemi con l'attrice emergono anche dalle dichiarazioni della co-sceneggiatrice del film, Suso Cecchi d'Amico: "Risate di gioia è molto bellino soprattutto per la sceneggiatura. Il film lo è meno per colpa della Magnani, anche se era pensato per lei. Però capitò in un’epoca della vita della Magnani in cui le era venuta l’ossessione dell’invecchiamento mentre prima se n’era sempre fregata da dove la fotografavano o come si vestiva. Fu una sorpresa per tutti noi, e anche per me che la conoscevo così bene ed era mia amica. Questa sua preoccupazione era patetica. Perché questa trucibalda deve avere un vestito di sartoria così, il trucco, la parrucca? Per farsi bionda ha voluto una parrucca bellissima invece doveva essere proprio come quelle che si ossigenano che dici oh Madonna mia che ha fatto, capito? Monicelli è un carattere forte ma con le donne non ha mai saputo molto combattere. Non ha saputo tener testa alla Magnani e questo ha rovinato il film che poi è carino lo stesso ma sarebbe stato irresistibile fatto come dicevamo noi, con la Magnani trucibalda. Così, in motocicletta con i capelli come una pazza. Invece lei ha voluto essere così, e poi con i velatini. Sono richieste patetiche, e poi era la Magnani non è che era una qualunque e potevi dire beh, pazienza, prendiamo un’altra. Questa ammissione di debolezza da parte sua ci lasciò tutti imbarazzati. Anna diceva: “Che mi vuoi rovinà, che mi vuoi fa così?”, non c’era niente da fare. Ce l’hanno tutte quest’affare del fisico ma per lei era anche il momento dell’età. Fu sbagliata proprio l’impostazione della cosa. Sarebbe stato necessario fare la stortignacola. Già nell’ultima rivista che lei fece in teatro, fu un disastro, lo so perché la seguii. Mentre ho un ricordo straordinario di lei con Totò all’Argentina, era proprio indimenticabile. Andavano molto a soggetto, queste cose si facevano tutti i giorni un po’ differenti. Sì, le fichelles, l’impostazione, le battute erano di effetto sicuro ma poi andavano secondo l’umore della serata".
(Suso Cecchi d’Amico, Peccato che la Magnani non abbia voluto fare la trucibalda, in Scrivere il cinema, a cura di Orio Caldiron e Matilde Hochkofler, Dedalo, Bari 1988)




"Un altro problema, per la Magnani, era il coprotagonista, Totò, con cui aveva recitato a teatro in quattro spettacoli (Quando meno te l'aspetti, 1940; Volumineide, 1942; Che ti sei messo in testa?, 1944 e Con un palmo di naso, 1944) ma con il quale finora non aveva mai interpretato un film: 'Allora Totò era considerato un guitto', spiega Monicelli 'faceva film che venivano ritenuti la vergogna d’Italia, la critica non li considerava nemmeno, li faceva recensire ai vice. La Magnani era invece reduce dall’Oscar, aveva lavorato con Marlon Brando e pensava che la presenza di Totò abbassasse il tono e la qualità del film. Io ritenevo Totò un grandissimo attore e mi sono sempre considerato fortunato ad avere fatto film con lui, avevo chiara la nozione di chi era e che cos’era. E poi mi piaceva mettere insieme proprio loro due, togliere alla Magnani quella sovrastruttura stupida che le aveva dato Pelle di serpente... Mi opposi con molta forza alle sue critiche dicendo: 'Vabbè senti: se vuoi fare il film così, va bene, sennò io non lo faccio'. E allora lei accettò e durante la lavorazione andò tutto benissimo, furono anzi molto carini tutti e due, molto vicini, si divertivano l’un con l’altro".
(Alberto Anile, I film di Totò, Le Mani Editore, Recco 1998)




Totò invece, aderì subito con entusiasmo alla prospettiva di recitare con la Magnani e di ritrovare la regia di Monicelli, due anni dopo il trionfo de I soliti ignoti (1958). Franca Faldini, all'epoca compagna del grande attore, racconta:
"Quando gli proposero Risate di gioia, Totò fu felicissimo. Da anni sognava di tornare a lavorare con Monicelli, a volte si riteneva snobbato da lui, si chiedeva come mai, ne soffriva. Nel film, poi, ci sarebbe stata Anna Magnani, per cui aveva un culto, come attrice e come donna. Assieme avevano fatto le favolose riviste degli anni di guerra e quando si incontravano – sempre occasionalmente perché nel privato avevano giri diversi – c’erano abbracci, commozioni sincere, affettuosità reali e un mare di ricordi. Fisicamente, per Totò il film fu un grosso sacrificio perché era già semicieco, i medici gli raccomandavano molte cautele per gli occhi, era sotto intensa terapia antiemorragica per la corioretinite da cui era afflitto.
Il male e lo scarso movimento a cui lo costringeva, lo avevano molto appesantito. Soffriva a vedersi ridotto così, e quando andò per infilarsi il frac di scena che fino a tre anni prima gli era andato perfetto e abbondante, proprio come lui voleva, gli prese una botta di malinconi. Monicelli cercava di metterlo a suo agio, di non fargli pesare l’infermità. Anche la Magnani. Entrambi, tra loro, sfottevano Ben Gazzara, per la pronuncia siculo-americana con cui parlava l’italiano e perché era un po’ fanatico. Con l’altro, Fred Clark, non avevano molta comunicativa perché era sempre sbronzo…
La scena della festa dove Totò e la Magnani cantano fu girata al Casinò di Anzio. All’uscita, dopo le riprese, accadde un fatto. Se Totò proteggeva i cani randagi, Anna aveva la fissa dei gatti. Così ne vide uno che veniva maltrattato da alcuni ragazzini e immediatamente si precipitò urlando come uno dei personaggi dei suoi film, mentre nella vita parlava sempre da signora, aveva persino il birignao: “Brutti figli di mignotta, la volete piantà!”. Beh, uscirono fuori i genitori che volevano menarla. Totò, che non vedeva niente, si sentì in dovere di spalleggiarla, e mancò poco ne nascesse una zuffa. Dovettero accorrere quelli della troupe, e alla fine la Magnani se ne andò tutta fiera con il povero gatto in braccio”.
(Franca Faldini, in L’avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti 1960-1969, a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Feltrinelli, Milano 1981)

A conferma dell'entusiasmo di Totò per avere ritrovato l'attrice, esiste anche questa dichiarazione rilasciata dall'attore alla “Settimana Incom”: “Quando mi preparavo per girare e sentivo nella roulotte vicino alla mia […] la voce di Nannarella, mi sembrava di essere tornato ai tempi di Volumineide”.



Anna Magnani: "Io mi ci diverto un mondo"

"Le riprese iniziano il 3 maggio del ‘60, in esterni nei pressi della Stazione Termini, e vanno avanti fino a luglio, per quaranta notti. Nell’afoso caldo romano torme di comparse vestono cappotti e marsine in un gigantesco e bizzarro veglione di San Silvestro completamente fuori tempo. L’italoamericano Gazzara biascica un pittoresco anglo-italiano e si trova benissimo con gli altri due interpreti. Totò, più stanco del solito, è costretto a rifugiarsi spesso in roulotte per riposarsi: Anna e Ben, invece, si concedono appena possono il divertimento di una canzone o la gioia di un piatto di spaghetti cucinati all’alba.
Totò recita nei panni di Umberto Pennazzuto detto Infortunio, un generico di Cinecittà che arrotonda il magro guadagno truffando le assicurazioni. E che trascina malinconicamente i suoi sogni dopo una vita spesa nell’avanspettacolo. Per dare un po’ di sapore realistico al personaggio, Monicelli mostra in una scena alcune vere foto della carriera teatrale di Totò, compreso l’Otello interpretato in A prescindere. 'Avevamo bisogno di alcune vecchie locandine', spiega oggi il regista. 'Era un po’ una citazione, un gioco di cui poi nessuno si accorse. Attaccammo proprio le sue, tanto per avere qualcosa che fosse dell’epoca, perché il suo personaggio si vantava di avere avuto un passato nel teatro anche se poi faceva la comparsa a Cinecittà. Un po’ di autobiografismo lo mettono sempre, forse Totò lo mise anche in quel piccolo sketch di Geppina. Era una canzone che conoscevano e che avevano fatta tutti e due ma credo fosse la prima volta che la facevano insieme: la Magnani ci metteva la sua maniera e lui stava dietro un po’ in disparte con quel suo controscena che secondo me la schiaccia definitivamente. Totò, secondo me, era di molto superiore a lei'. La scena di Geppina è un omaggio alla rivista, a uno straordinario sodalizio teatrale, quello della Magnani con Totò, di cui non sono rimaste testimonianze visive. Nel resto del film Totò si rinchiude in se stesso, temendo forse di rovinare con qualche lazzo fuori posto il lavoro rigoroso di Monicelli; la sua interpretazione diventa distaccata, quasi elegante, adatta al ruolo ma molto meno divertente del previsto.
Le ultime riprese vengono realizzate a Sant’Andrea della Valle, la chiesa in cui Gioia e Umberto sono accusati di aver voluto rubare una collana preziosa alla statua della Madonna. Totò gira buona parte del film in presa diretta, per evitare problemi in sala di doppiaggio. Qualche battuta è comunque costretto a ripeterla in studio; la vista debolissima gli impedisce di vedere le immagini in moviola, ma aiutandosi con la cuffia una volta preso il ritmo riesce a portare a termine il lavoro”.
(Alberto Anile, I film di Totò, Le Mani, Recco 1998)

In una cronaca dal set del "Corriere della sera", leggiamo: "Non mi affatica affatto, questo lavoro notturno” dice Totò, che pure nei mesi scorsi è stato infermo e ora s’è ripreso; 'Io mi ci diverto un mondo' spiega Anna Magnani, che ha conservato il carattere estroso di quella autentica, bruna. Anna Magnani ha un bel tornare spesso in America, resta trasteverina; 'purché il mio personaggio sia un po' pazzo e mi lascino farlo a modo mio, tutto va bene'”.
(Arturo Lanocita, "Corriere della sera", 12 giugno 1960)




Ben Gazzara a posteriori raccontò l'emozione procuratagli dall'incontro con i due mostri sacri italiani: "Anna Magnani era una donna straordinaria, una donna eccezionalmente vitale, eppure a suo modo dolce e tenera, tanto è vero che mostrava nei miei confronti una affettuosità commovente. Molti anni dopo ci rincontrammo a Londra, dove lei stava interpretando a teatro La lupa per la regia di Franco Zeffirelli. Mi recai a vederla e, dopo lo spettacolo, andai in camerino per salutarla. Non appena mi vide mi venne incontro e mi abbracciò gridando con la sua voce roca: 'Figlio mio, figlio mio…'. Totò non era meno straordinario della Magnani, sia come attore sia come uomo. La Magnani e Totò formavano una coppia inimitabile, irripetibile. Improvvisavano in una maniera così spontanea, così creativa, da fare rivivere la commedia dell’arte. Ricordo come se fosse ora la sera in cui girammo l’ultima scena. Eravamo dinanzi a una chiesa. Al termine delle riprese io dissi a Totò: Principe, perché non mi canti Malafemmena?. Mi cantò Malafemmena e la Magnani l’accompagnò. Nel fondo era un uomo molto dolce e generoso, affascinante".
(Ben Gazzara, in L’avventurosa storia del cinema italiano del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti, a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Feltrinelli, Milano 1981)

In un altro resoconto del set, leggiamo: "Totò passava le ore d’attesa fra un ciak e l’altro rintanato nella sua roulotte, con un’aria paziente, già estraniata, rotta a tratti da guizzi di allegria, da una delle sue battute. Anna finalmente non aveva da lottare con gli orari: girare di notte, a Roma, d’estate. Non poteva chiedere di meglio. Il soggetto ancora una volta era di Suso. Alla sceneggiatura avevano preso parte anche Age e Scarpelli, con i quali Anna aveva avuto dei contrasti. 'Secondo noi' dice Furio Scarpelli 'il personaggio di Anna doveva avere un’aria un po' sdrucita, da perdente. Ma Anna non se la sentiva di essere così smunta, un personaggio pieno di desideri, di sogni, di illusioni, vestita con uno straccetto che aveva la pretesa di essere elegante e invece riusciva soltanto a fare un po' di pena e tenerezza. Pretese un vestito bellissimo, la stola di volpi, un insieme prestigioso. Forse sbagliammo noi a darle retta: quando ti trovi davanti un grande attore, una grossa personalità, sei tu che in qualche modo devi andargli dietro. È mai possibile far fare a Cary Grant il ruolo del cattivo?'.
L’abito che Anna s’era fatta fare era nero, a tubo, molto scollato, coperto di pendenti di brillanti che le luccicavano addosso. Non poteva sedercisi, e i macchinisti le avevano costruito un buffo sedile all’impiedi, in cui lei s’appoggiava, facendo forza soprattutto sui gomiti. E poi la parrucca bionda, d’un platino sfrenato. 'Era una parrucca straordinaria, pareva un casco di capelli naturali, morbidi, fluenti», ricorda l’aiuto di Monicelli, Mario Maffei. Come operatore aveva lo stesso che l’aveva fotografata tanto bene nel film di Castellani, Leonida Barboni. 'Anna confabulava spesso con lui» ricorda Suso. 'Era preoccupata d’un piccolo calo che aveva sotto il mento, e non voleva assolutamente che si vedesse. Anna era fragile su quell’argomento, ma non bisogna giudicare col metro di oggi. Allora c’erano le bellone, si guardava soprattutto a quello'.
Con Totò lavorava, ancora una volta, benissimo. Fra loro c’era una gara benevola, senza alcuna malignità a chi diceva più battute e trovava il modo di ammiccare di più al personaggio o alla situazione. Totò era un amico, Anna l’amava con quella fiduciosa innocenza con cui si concedeva a poche persone. C’è una fotografia che li ritrae ai tempi di Risate di gioia in cui la Magnani e Totò s’abbracciano: gli anni hanno mutato i loro visi con piccoli segni di scalpello, ma l’espressione è la stessa di quando avevano lavorato con tanta gioia vent’anni prima.




Erano notti piacevoli, quelle. Roma sembrava ritornata se stessa, abbandonata dal rumore delle macchine, i gatti che s’avvicinavano agli avanzi dei cestini della troupe, pochi passanti che sgattaiolavano negli angoli bui delle stradine del centro, i refoli di un vento lieve che veniva a rinfrescare la pelle bagnata di quel caldo appena stemperato dalla notte... Anna era allegra, capitava che verso l’alba invitava una parte della troupe a mangiare gli spaghetti a casa sua, che tirassero mattino a far baldoria. Soprattutto scherzava con il terzo grosso nome del cast, un americano di origine italiana che di nome si chiamava Biagio Antonio ma che nel cinema aveva preso il nome di Ben Gazzara. Era un po' spaesato, parlava un italiano storpiato, sconciando le parole. Lei metteva a frutto l’inglese che aveva imparato in America e così chiacchieravano. Gazzara non aveva una roulotte a disposizione come la Magnani e Totò e s’appoggiava soprattutto da Anna perché Totò era anziano, stanco, circondato dalla sua malattia. Capitava che s’allontanasse, comperando una bottiglia di champagne in qualche bar aperto di notte, e tornasse a berla con Anna, seduti su un vecchio marciapiede, oppure sugli scomodi divanetti della roulotte. Ben aveva degli occhi neri, quasi liquidi, tagliati obliquamente, che gli davano un’aria volpina. E un sorriso dolce, una bocca sensuosa, che spiccava con quello sguardo tanto furbo. Rideva, la sua bellissima voce impostata dall’Actor's Studio, e le faceva compagnia, divertendola. Una volta le aveva portato un piatto di spaghetti che s’era fatto fare da un ristorante in chiusura e li avevano mangiati ridendo, con Anna che si sbellicava alle difficoltà che aveva Gazzara a districarsi in quel mare di vermicelli che gli sgusciavano dalla forchetta come serpenti impazziti. Per lui qualche volta la Magnani cantava: 'Credo che non potrò mai dimenticare una notte in cui Anna mi cantò Malafemmina: quella sua voce che si perdeva nel buio, quegli occhi che si stagliavano nella sua faccia bianca; ancora oggi ricordo i brividi d’emozione che mi diede” racconta Gazzara'”.
(Patrizia Carrano, La Magnani. Il romanzo di una vita, Rizzoli Editore, Milano 1982)



Monicelli: “Mi piacerebbe che il film riuscisse oggi per vedere che accoglienza avrebbe”

Risate di gioia uscì in ottobre, distribuito dalla Titanus e attirò circa un milione e duecentomila spettatori che, per l'epoca, rappresentavano un esito modesto, soprattutto considerando le aspettative giustificate dal primo film della coppia Totò-Magnani (gli altri titoli interpretati dall'attore napoletano nel 1960 totalizzarono oltre il doppio).
"Pensavo avrebbe avuto un grande successo", dice il regista, "proprio perché c’era questa coppia molto popolare. La Magnani era un grande nome però la gente non la andava a vedere, Totò al contrario aveva un pessimo nome però la gente entrava al cinema. Il pubblico era un po’ prevenuto nei confronti della Magnani, aveva fatto dei film in America che avevano deluso la gente. Io volevo un’altra Magnani, quella dei vecchi tempi" (Alberto Anile, I film di Totò, Le Mani, Recco 1998).
In un'altra intervista, Monicelli dichiarò: “Era buono, ma un po’ vecchio, aveva l’aria del piccolo film anni Quaranta americano, con questa storia della donna che nella notte dell’ultimo dell’anno viene respinta da tutti. Una cosa alla William Powell, alla Frank Capra… Ma mi piacerebbe che riuscisse oggi per vedere che accoglienza avrebbe. […] L’idea mi era piaciuta, ma una volta scritta mi recai da Lombardo e gli dissi: 'Non facciamolo, mi sembra un film un po’ stantio, utilizziamo la coppia Magnani-Totò per qualcos’altro, in un altro modo'. Lombardo invece ne era entusiasta e io pensai che la mia impressione fosse molto personale, che forse mi sbagliavo io” (Mario Monicelli in L’avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti, a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Feltrinelli, Milano 1981).
Probabilmente la più delusa dall'esito del film fu però la Magnani: “Spesso ho fatto la buona. Lo facevo per divertirmi, per provare a me stessa che potevo recitare la parte della buona: ma che ci ho guadagnato? Brutti film, film sbagliati. Cominciai con Castellani a fare la buona: e il risultato fu Nella città l’inferno. Continuai con Monicelli a fare la buona: e il risultato fu Risate di gioia. E anche con Pasolini ho fatto la buona: e il risultato è stato Mamma Roma, un film anche commercialmente sbagliato. E su chi cade la colpa di simili sbagli? Su me. Nessuno ha mai dato la colpa a Marlon Brando se il suo film Désirée era un obbrobrio. Ma tutti danno la colpa alla Magnani se quei film sono falliti. In Italia c’è uno strano sistema: quando il film viene male ne va di mezzo l’attrice. Si dimentica pure che io non sono un’attrice di mestiere, che riesco a combinare qualcosa solo quando sono libera di far quel che voglio come uno scrittore quando scrive o un pittore quando dipinge, che non posso obbedire alla tecnica, devo inventare. E poi mi hanno rotto le scatole con questi eterni ruoli di popolana isterica e rumorosa” (Anna Magnani, intervista di Oriana Fallaci, "l'Europeo", dicembre 1973).

La critica lo accolse senza particolare entusiasmo, sia in Italia che all'estero. Ma con il tempo il valore del film è cresciuto e quando viene riedito in Francia, nel 2013, nell'edizione restaurata dalla Cineteca di Bologna e dalla Titanus, in collaborazione con RAI Cinema, il film viene acclamato come un capolavoro, uno dei film più significativi e poetici dell'opera di Monicelli.

La commissione di censura pretese che una battuta dei dialoghi venisse modificata, come risulta da questa lettera della Titanus indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Direzione Generale dello Spettacolo: "Vi comunichiamo [...] che di nostra iniziativa abbiamo sostituito la battuta detta dalla Magnani: "Sono una manica di stronzi" con la battuta: "Sono una manica di fessi"." (Roma, 11.10.1960). Il nulla-osta ministeriale fu concesso l'11 ottobre del 1960.