La produzione e le riprese

La produzione e le riprese

La ricerca di un produtttore

Alla fine del gennaio 1964, completato il suo 'adattamento', Leone si mise in cerca di un produttore. Tonino Delli Colli propose Arrigo Colombo, cugino di sua moglie, e prese anche in considerazione l’idea di investire personalmente nel progetto ritirandosi poi "perché non ero sicuro che avesse il potenziale". Leone portò quindi il film a Franco ('Checco') Palaggi, produttore esecutivo alla Jolly Film di Colombo e Papi, e gli raccontò tutta la storia, interpretando tutte le parti. Palaggi convenne che non sarebbe stato difficile attrarre finanziamenti tedeschi e spagnoli, purché facessero parte del cast esponenti di entrambi i paesi, e purché il film non superasse il basso budget di circa centoventi milioni di lire – ogni nazione avrebbe dovuto sborsarne quaranta. "Avevo avuto ottimi rapporti con tedeschi e spagnoli ai tempi del peplum", raccontava Leone, "e ingenuamente speravo che tutti i contributi sarebbero arrivati senza troppi problemi". L’investitore tedesco era la Constantin, che aveva guadagnato una fortuna con le riduzioni da Karl May. Palaggi raccomandò quindi il progetto ad Arrigo Colombo e al suo socio Giorgio Papi: la loro Jolly Film aveva già partecipato a un western italo-spagnolo intitolato Duello nel Texas (El gringo di Ricardo Blasco, 1963).

Christopher Frayling, Sergio Leone. Danzando con la morte, Editrice Il Castoro, Milano, 2002.

Le riprese

Una volta cominciate le riprese – prima a Roma, poi a Colmenar, infine in Almeria – Leone cominciò a 'rilassarsi' sul progetto. Sul set, il regista compariva con un cappello da cow-boy, con stivali e occhiali da western (secondo Eastwood sembrava Yosemite Sam) per poi tormentarsi sui minimi dettagli, recitare le parti di tutti urlando "Watch me!", reagendo alle frustrazioni del cinema a basso costo con un’alternanza di sovreccitazione e di rabbia. Dato che del copione esistevano una versione inglese, una italiana, una tedesca e una spagnola, i talenti mimici di Leone erano messi a dura prova. Franco Giraldi ritiene che proprio da ciò emergesse uno tra i principali contributi di Leone: "Riuscì a creare una sintesi fra il mascalzone romano, un personaggio cattivo ma simpatico, con l’eroe western, che era diventato troppo puro e stereotipato…quando Sergio recitava le scene sul set, trasformava il personaggio in una caricatura romana». Secondo Eastwood, «amava la gioia di quel lavoro. So che si divertiva, quando non si infuriava".
L’attore si rese conto che l’atteggiamento esteriore di Leone nascondeva "un tipo molto nervoso, intenso e serio… era molto mutevole, molto teso; si torceva le mani e si innervosiva, ma era solo un modo per tenersi in concentrazione". Leone affrontava il progetto con tutta l’eccitazione di un bambino che gioca con un complicato giocattolo nuovo: "Aveva questo modo infantile di guardare il mondo" e voleva ricreare per il pubblico adulto degli anni Sessanta la magia che da ragazzo aveva provato andando al cinema a Trastevere. Le sue 'favole per adulti' sarebbero state viste dagli adulti come se fossero ancora bambini. Il western americano aveva reso troppo terreni gli eroi e i cattivi: ora ci avrebbe pensato lui a restituire loro la mitologia. "Il West", amava dire Leone, "fu fatto da uomini violenti e non complicati".

Christopher Frayling, Sergio Leone. Danzando con la morte, Editrice Il Castoro, Milano, 2002.




"Ho una fantasia onirica"

Ho un tipo di fantasia onirica. Sono un 'creatore di immagini', prima poche e sfumate, poi molte e sempre più chiare, poi ancora di più. E come in un caleidoscopio policromo, cominciano ad ordinarsi, a prendere un verso, avere un significato, una sequenza, una logica. Così è nato Per un pugno di dollari e così tutti gli altri miei film. Per questo non potrei pensare di realizzare un film su una base tematica di fondo: le immagini sarebbero meno sincere, meno spontanee, meno mie. Questo invece vogliono i critici dal cinema ed è questo che io non accetterò mai. Come non accetterò mai la distinzione tra cinema politico e non politico; semmai l'unica distinzione che si potrebbe fare è quella più generica, più astratta, più imbarazzante ma anche più sincera: tra cinema e non-cinema.

Sergio Leone in Per un pugno di dollari, a cura di Luca Verdone, Cappelli Editore, Bologna 1979.




Il burattinaio

Quando cominciai il mio primo western dovetti trovare in me stesso una ragione psicologica, perché non avevo mai vissuto in quel tipo di ambiente. E un pensiero mi venne spontaneo: era come se fossi il burattinaio dei pupi siciliani, i loro spettacoli erano leggendari ma anche storici. Tuttavia l'abilità del burattinaio consisteva in una cosa: dare a ciascun personaggio una connotazione ulteriore relativa al paese specifico che i 'pupi' stavano visitando. Come cineasta il mio compito era quello di creare una favola per adulti, una fiaba per ragazzi cresciuti; e il mio rapporto col cinema era quello di un burattinaio con i suoi burattini.

Sergio Leone, C'era una volta il Cinema, intervista per Radio 24