Dal libro al film

Dal libro al film

Mezzo secolo prima che Julien Duvivier girasse Panique, lo psicologo sociale Gustave Le Bon pubblico il suo fondamentale studio sulla psicologia delle masse, in cui sosteneva che i recenti sconvolgimenti nelle convinzioni scientifiche e religiose e la crescente urbanizzazione avevano reso gli individui più suscettibili a un contagio di "impulsività, irritabilità, incapacità all'uso della ragione". Potrebbe essere la descrizione del caustico ritratto che Duvivier fece dei suoi compatrioti nell'immediato dopoguerra, indotti a una barbarie collettiva dall'intolleranza, dal sospetto e dal pettegolezzo. Le Bon paragonava lo stato dell'individuo influenzato dal potere eccitante delle folle alla condizione dell'"ipnotizzato nelle mani dell'ipnotista", sebbene ironicamente in Panique è proprio l'astrologo e mesmerista Monsieur Hire la vittima della folla omicida, e il meccanismo per incantare i suoi clienti che viene rinvenuto nel suo ufficio è utilizzato come prova delle oscure e forse demoniache pratiche che è accusato di mettere in atto.
Panique è il primo film di Duvivier dopo il suo ritorno dall'autoesilio a Hollywood durante gli anni della guerra, un espatrio che fu criticato in Francia come una forma di tradimento culturale, soprattutto se messo a confronto con la decisione di altri registi come Robert Bresson e Marcel Carné di rimanere e fare film durante l'occupazione (lo stesso Henri-Georges Clouzot rimase, e fu in seguito accusato di collaborazionismo e temporaneamente bandito dall'industria cinematografica, in parte perché il suo avvelenato classico Il corvo aveva rappresentato la Francia profonda come ugualmente soggiogata all'irrazionalità di massa).
Lo spinoso e instabile Duvivier ha ulteriormente aggravato questo presunto tradimento della sua nazione pensando Panique come monito sul fascismo 'di vicinato', sfruttando il sentimento di colpevolezza, recriminazione e sfiducia della Francia postbellica. Il regista, che fin dai successi del periodo muto si era fatto una reputazione per le sue spietate analisi dell'umanità - i produttori lo costrinsero a sostituire il pessimistico finale di La belle équipe (1936) con uno più ottimista - affermò che si trattava di una semplice reazione contro i lieti fini forzati di Hollywood, ma la corrosività di Panique suggerisce un movente più pericoloso, forse punitivo, specialmente se paragonato alla fonte del film, il romanzo di Georges Simenon del 1933, Il fidanzamento del signor Hire.
Ispirato a un evento di cui era stato testimone l'autore belga, quando, giovane giornalista a Liegi, vide un gruppo di ubriachi rivoltarsi contro un uomo accusato di essere una spia tedesca e inseguire l'innocente su un tetto, chiedendo a gran voce "un'esecuzione sommaria", il romanzo breve di Simenon e poco più di un canovaccio per Duvivier, e le molte libertà che il regista e il suo sceneggiatore, Charles Spaak, si prendono rispetto al libro ne trasformano il tono dal meramente pungente all'insistentemente acido (il successivo adattamento del romanzo fatto da Patrice Leconte, il Monsieur Hire del 1989 - con un cinereo Michel Blanc all'altezza del suo cognome - si dimostrò molto più fedele al tono e alla lettera del romanzo di Simenon). Facendo un lista delle divergenze tra la pagina scritta e lo schermo si nota che l'Hire di Simenon è un ex pornografo che ha passato sei mesi in prigione, e la sua attuale occupazione è quella di truffatore postale, al contrario il finto spiritista del film - Hire si fa chiamare Dr. Varga - perpetua un inganno dalle implicazioni più insidiose, poiché i clienti attribuiscono grande importanza al suo consiglio fraudolento. L'Hire del romanzo appare più patetico nei suoi desideri, perché l'oggetto del suo voyeurismo e amour fou è una sciatta commessa dai capelli rossi del caseificio accanto, piuttosto che l'affascinante galeotta di Viviane Romance, Alice. (Il fidanzato, Alfred, interpretato da Paul Bernard, sembra competere con il suo fascino, nei primi piani con Romance indossa il rossetto e svolge il suo lavoro di meccanico in un completo elegante con tanto di foulard.) La vittima dell'omicidio di Duvivier è una donna di mezza età, non sposata, "generosa e dedita alla beneficenza", rispetto alla giovane prostituta anonima del libro, e il cineasta si diverte a sradicarne la virtù, recitando continuamente una litania sulle buone azioni di Mademoiselle Noblet - anche il cognome segnala la dignità della sua zitella. Duvivier allarga anche la platea degli inseguitori di Hire, passando dalla coppia di inefficaci ispettori della polizia di Simenon a una brulicante assemblea di 'tipi' francesi, di cui fanno parte l'esageratamente baffuto, e opportunamente nominato, esattore delle tasse, Monsieur Sauvage, una spietata prostituta e un macellaio il cui arcigno dominio sulla sua spettrale moglie e sulla sua covata di otto figli potrebbe essere ispirato all'autoritario padre del regista stesso, che imponeva il silenzio assoluto a tavola. Sebbene il romanzo conti su un atmosfera più opprimente di quella del del film, con la sua descrizione di una pioggia incessante, fredda e penetrante che intensifica "tutto: dove i bianchi diventano più bianchi, i grigi più sfumati, i neri più neri", la Villejuif del film appare molto più chiusa e claustrofobica nella visione cupa di Duvivier. Simenon, al contrario, spedisce Hire in frequenti incursioni nel vivace centro della città, dove sorseggia un café crème, va in un nightclub, vince un tacchino in un torneo di bowling e visita una casa di tolleranza.
In maniera più significativa, Panique trasforma il personaggio di Hire - esplicitamente ebreo nel romanzo, ambiguamente nel film - da un intruso sfortunato e grassoccio che vaga per il mondo in una nebbia di scuse, borbottando "mi dispiace, mi dispiace" per le sue infrazioni sociali sia reali che immaginarie, in un misantropo magro e arrogante che preferisce i tagli di carne più succulenti e i formaggi più delicati, non riceve posta, rifiuta le chiacchiere e dice senza remore a un ispettore di polizia, "Non mi piacciono gli uomini, e i poliziotti ancora meno." Quando i cittadini di Villejuif, presi da un interesse morboso, si precipitano sul sito dell'omicidio di Mademoiselle Noblet per ispezionare il cadavere, Hire osserva seccamente che "la carogna attira sempre le mosche". Michel Simon, con la sua bocca morbida e quasi esile, infonde nel suo Hire un pizzico di disprezzo che manca all'equivoco protagonista del romanzo, figlio di un sarto occasionalmente dedito all'usura. Panique conserva l'atmosfera di crudeltà crescente del romanzo, dove Hire è sistematicamente indicato come capro espiatorio dai vicini sospettosi della sua natura aliena - la collaborazione della Francia di Vichy nella persecuzione di massa e nello sterminio degli ebrei aleggia sicuramente sul film, visto l'anno di produzione, anche se il suo contesto storico non viene specificato - ma rende la morte di Hire più brutale, in qualche modo più definitiva di quella raccontata nel romanzo: il triste, graduale, spegnersi per un attacco di cuore tra le braccia di un aspirante soccorritore dopo essere caduto da un tetto.

James Quandt, Panique: Panick attack, The Criterion Collection, 2018