Agnès Varda

Agnès Varda

Ha realizzato il suo primo film nel 1954, 63 anni fa, quando il cinema era ancora un’arte giovane. Aveva 25 anni, era autodidatta, non aveva mai scritto o letto una sceneggiatura, si ripromise di fare quell’unico film, e invece è ancor oggi una pionera, che realizza film bellissimi con un tocco così profondo e originale come quando prese in mano la prima volta una macchina da presa. ‘Regista donna’ è un’etichetta che potrebbe rifiutare. Naturalmente è prima di tutto e soprattutto un’artista, una forza creatrice, una mente brillante, uno spirito indomito, una comunicatrice. Quando iniziò, non fece semplicemente film che nessun’altra donna aveva fatto: erano film che nessuno aveva mai fatto. Ma è anche vero che era una tra le pochissime registe donne all’epoca, e tutti noi sappiamo cosa ciò significhi: iniziare quando non c’erano esempi da seguire, sconfiggere scetticismo e pregiudizi, affrontare tutti gli ulteriori ostacoli per una madre lavoratrice. Le artiste donne devono ancor oggi combattere per essere libere di realizzare il proprio lavoro su un piano di parità: e credo che questo proprio non se lo sarebbe aspettata. Perciò noi dobbiamo trarre forza da artiste come Agnès: dalle donne che sono venute prima; che hanno mosso il primo passo e indicato la strada a tutte noi; che hanno visto un po’ più in là; che hanno detto: “Io parlerò, io scriverò, io andrò lì, questa è la mia strada”. Le artiste che hanno rotto le convenzioni e liberato dalle costrizioni le generazioni successive; quelle che si sono battute per la libertà artistica.
(Angelina Jolie, Discorso per la consegna dell’Oscar alla carriera ad Agnès Varda, 11 novembre 2017)




Agnès Varda nasce a Bruxelles nel 1928, da madre francese e padre greco. Trascorre l’adolescenza a Sète, piccola città portuale nel sud della Francia, che sarà teatro del suo primo film, La Pointe Courte (1954). A Parigi studia all’École du Louvre, lavora come fotografa per Jean Vilar e per il Théâtre National Populaire, quindi si unisce alla nouvelle vague nascente, coté rive gauche (quella di Resnais e Marker), che da subito riconosce nella Pointe Courte un film seminale e antesignano. È la sola donna del gruppo (molti anni dopo, non le dispiacerà la denominazione “nonna della nouvelle vague”), e rispetto ai compagni di strada mantiene un’indipendenza teorica e poetica, che la porta a praticare con grande libertà generi e formati, con costanti andate e ritorni tra lungo e cortometraggi e progressivo superamento dei confini tra finzione e documentario.
Nel 1958 gira L’Opéra-Mouffe, “taccuino d’una donna incinta” e dei suoi vagabondaggi intorno alla rue Mouffetard, venti folgoranti minuti di volti, di strade e di soave surrealismo. Con il suo primo lungometraggio, Cléo dalle 5 alle 7, due ore nella vita d’una giovane parigina in attesa d’un temibile referto medico, firma il suo film più vicino al ‘canone’ nouvelle vague, ma anche uno dei più personali di quella gloriosa stagione. Seguono racconti di vita matrimoniale tra punti di crisi e nuove armonie, tra tenerezza e crudeltà, Il verde prato dell’amore (1964) e Les Créatures (1966). Nel 1975 compone con Daguerréotypes uno straordinario “album di quartiere” dedicato alla strada parigina nella quale ha sempre vissuto, rue Daguerre; ”.
L’Une chante l’autre pas (1976) è l’appassionato contributo di Varda al cinema femminista, nel solco di Simone de Beauvoir: “Donna non si nasce, si diventa”. Da due soggiorni americani che la portano a contatto con il fermento off-Hollywood, a fine anni Sessanta e primi Ottanta, nascono Mur murs, documentario sui murales di Los Angeles, e Documenteur, cronaca (appena velatamente autobiografica) dello sradicamento d’una donna francese, temporaneamente separata dall’uomo che ama e sola in America insieme al figlio.
Il ritorno in patria, nel 1985, consegna Varda al suo più ampio successo di pubblico, Senza tetto né legge, vita e morte di una ragazza alla deriva nel freddo d’una Francia opaca e respingente. Il film vince il Leone d’oro a Venezia. Gli anni Ottanta e Novanta sono segnati da intensi ritratti personali, il dittico dedicato all’amica Jane Birkin, Jane B. par Agnès V. e Kung-fu Master, e Garage Demy, dove nel 1991 Agnès rievoca, “senza retorica e con molta emozione”, la giovinezza innamorata di cinema di Jacques Demy, suo compagno d’una vita, scomparso nel 1990.
Continua instancabile a girare film diversi per formato e misura, sempre più interessata alla cronaca umanista e all’osservazione poetica/politica del mondo. Produttrice in proprio fin dagli anni Cinquanta con Ciné-Tamaris, Varda è riuscita a mantenere intatta negli anni la propria indipendenza, e i diritti sui film propri e di Demy. La scoperta delle telecamere digitali offre nuovo vigore alla sua ispirazione: Les Glaneurs et la glaneuse (2000), racconto-documentario sul popolo che cerca tesori o sussistenza rovistando nelle campagne o tra la spazzatura delle città, ottiene critiche entusiaste e riconoscimenti internazionali. Accoglienza ancora più calorosa attende nel 2008 Les Plages d’Agnès, disincantata ricerca del tempo perduto, tra frammenti dei propri film e volti e voci della propria vita, cercati, ritrovati, o andati per sempre e rievocati.
Nel 2003, alla Biennale di Venezia, firma alcune installazioni visive che inaugurano una nuova fase della sua vita artistica. Nel 2017 è la prima regista donna a ricevere l’Oscar alla carriera. Nello stesso anno firma con lo street artist JR Visages Villages, viaggio fatto di incontri, dialoghi e riflessioni, attraverso la Francia rurale a bordo di un camion-macchina fotografica. Si spegne a novant’anni nel marzo del 2019 poche settimane dopo aver presentato alla Berlinale il suo autobiografico e testamentario Varda by Agnès.