Espressionismo: 'Nosferatu' vs 'Caligari'

Espressionismo: 'Nosferatu' vs 'Caligari'

Il titolo completo del film di Murnau è Nosferatu, eine Symphonie des Grauens. In effetti, rivedendo oggi questo film, non si può fare a meno di essere colpiti da ciò che Béla Balázs ha chiamato "i gelidi soffi dell'al di là". Come mai l'atmosfera di terrore di Caligari ci sembra, in confronto, quasi artificiale?
[...] Contrariamente alla maggior parte dei film tedeschi di quell'epoca, i paesaggi, le riprese della piccola città o del castello di Nosferatu, sono stati filmati in esterni. Murnau tuttavia, girando Nosferatu con mezzi ridottissimi, sapeva scorgere nella natura la possibilità di belle immagini: filma la forma fragile di una nuvola bianca che scorre sopra le dune, dove il vento del Baltico gioca con i radi steli di erba, e fissa il ricamo dei rami su un cielo primaverile invaso dal crepuscolo. Ci rende presente la freschezza di un prato dove i cavalli galoppano con la meravigliosa leggerezza degli animali liberati dalla bardatura.
La natura partecipa al dramma: un montaggio sensibile ci lascia presentire nell'impeto delle onde l'avvicinarsi del vampiro, l'imminenza del destino che sta per colpire la città. Su tutti questi paesaggi, colline scure, fitte foreste, cieli dalle nuvole frastagliate foriere di tempesta, incombe, come indica Balázs, la grande ombra del soprannaturale.
Nei film di Murnau, ogni inquadratura ha la sua precisa funzione ed è interamente concepita nel suo rapporto con la vicenda. Se intravediamo per un istante il particolare in primissimo piano di vele gonfie, questa inquadratura è necessaria all'azione così come l'immagine precedente: la ripresa dall'alto di flutti rapidi che travolgono la zattera carica del suo lugubre fardello. [...]
L'architettura di Nosferatu, tipicamente nordica - facciate di mattoni dalle cuspidi tronche - si adegua perfettamente a una vicenda insolita. Murnau non deve falsare con illuminazioni contrastanti la fisionomia della piccola città baltica; non è necessario accrescere il mistero delle sue stradine e delle sue piazze con un chiaroscuro artificiale. [...]
Sul ruvido acciottolato, becchini in cilindro e redingote attillata avanzano lentamente, neri e rigidi, portando a coppie la stretta bara di un appestato. Mai più sarà raggiunto un espressionismo così perfetto, e la sua stilizzazione è stata ottenuta senza ricorrere al minimo artificio. [...]
La macchina da presa di Murnau e di Fritz Arno Wagner è usata anche per evocare l'orrore. Ricordiamo che la figura del dottor Caligari o quella di Cesare sorgevano spesso di sbieco, in una inquadratura lasciata volutamente vaga, definita da Kurtz come "inquadratura ideale e pura dell'espressione trasposta degli oggetti".
Murnau crea l'atmosfera di spavento con i movimenti degli attori verso la camera: la forma orrida del vampiro avanza, con lentezza esasperante, dall'estrema profondità di una inquadratura verso un'altra, dove a un tratto diviene gigantesca. Murnau ha sfruttato tutta la potenza visiva consentita dal montaggio, e dirige con una virtuosità veramente geniale questa gamma di inquadrature, dosando l'avvicinarsi del vampiro quando ci mostra per qualche secondo l'effetto che la sua vista produce sul giovane terrorizzato. Invece di presentarci gradualmente l'intero percorso, egli interrompe il suo procedere con una porta che si chiude bruscamente per fermare la terribile apparizione: e la vista di questa porta, dietro la quale sappiamo che il pericolo è in agguato, ci tiene con il fiato sospeso.
Certo in Caligari ci appare, all'inizio, il dottore demoniaco che si dirige dritto verso la macchina da presa, raddrizzando il corpo pingue in un gesto di minaccia: nello spazio di un secondo, il suo viso si gonfia diabolicamente. Ma un mascherino a forma di finestra ne sfuma subito l'effetto. Cesare che avanza nella tenda e attraversa la grande stanza chiara di Lil Dagover, o il robot che dal fondo dello schermo viene verso di noi in Metropolis, non costituiscono immagini così violente come quelle del vampiro che esce man mano dalle tenebre. [...]
Murnau sa anche sfruttare la potenza di un movimento trasversale prolungandolo su tutta la superficie dello schermo: è il cupo vascello fantasma che naviga a vele spiegate su un mare agitato e arriva al porto, greve di minacce; oppure l'enorme sagoma del vampiro, ripresa dal basso, che attraversa lentamente il veliero per raggiungere la sua preda. Qui l'angolazione gli conferisce, oltre a proporzioni gigantesche, una sorta di obliquità che lo proietta fuori dello schermo e ne fa come una minaccia tangibile, a tre dimensioni. [...]
In Nosferatu, incubo vivente, i movimenti a scatti della carrozza stregata che porta via il giovane viaggiatore nel paese dei fantasmi, o quelli delle bare ammucchiate con una rapidità atroce, sono stati resi con il procedimento detto "giro di manovella". Gli spettri degli alberi bianchi e spogli che si ergono contro uno sfondo nero come scheletri di animali antidiluviani, durante la corsa precipitosa verso il castello del mostro, sono resi con l'inserimento di alcuni metri di negativo nella pellicola.
Meglio di tanti fanatici dell'espressionismo, Murnau sa usare l'ossessione degli oggetti animati. Nella stiva abitata da fantasmi, l'amaca vuota del marinaio morto continua a oscillare dolcemente; nel suo proposito di estrema sobrietà, Murnau mostra l'ondeggiare continuo e monotono di una lampada appesa nella cabina deserta del veliero, dove tutti i marinai sono stati sorpresi dalla morte, solo attraverso il riflesso luminoso che oscilla.
(Lotte H. Eisner)

 

 

 

Dovendo indicare il film esemplare del movimento cinematografico denominato 'espressionismo tedesco' la scelta ricadrebbe probabilmente su altre opere, prima fra tutte quella che è considerata inaugurale del movimento, Caligari, firmato da Robert Wiene nel 1919 (sebbene già prima della guerra fossero comparsi il Golem di Wegener e Galeen o l'Homunculus di Rippert che mostravano i prodromi della futura corrente). La sua storia torbida e sinistra, fatta di alchimisti ipnotizzatori, di manicomi, di uomini trasformati in automi criminali, storia collocata all'interno di una scenografia volutamente stilizzata fino all'inverosimile (incombenti case di cartapesta e sentieri palesemente disegnati sui pavimenti del teatro di posa, didascalie cuneiformi che riproducono graficamente un'atmosfera psicologica) era un fattore che creava un collegamento diretto fra il cinema tedesco e l'omonima corrente pittorica, musicale e teatrale che aveva dominato in Germania nel corso degli anni Dieci.
Questa esasperata manipolazione viene contraddetta dal Nosferatu. Qui le azioni avvengono in location reali e realisticamente riprese, usate anzi dal regista come elementi espressivi per sottolineare gli snodi drammatici del racconto, secondo i dettami di quel romanticismo tedesco che tuttavia, per Lotte Eisner, costituisce esso stesso uno dei fondamenti dell'espressionismo. In questo senso, Nosferatu partecipa dello spirito del tempo che informa di sé la quasi totalità delle opere prodotte in Germania in quegli anni. L'altra anima espressionista, quella che secondo Siegfried Kracauer è riconducibile alle inquietudini che attraversavano la Germania all'indomani della sconfitta bellica e sull'orlo della crisi economica, pare effettivamente meno presente qui che in opere dal substrato sociologico ben riconoscibile (si pensi all'Ultima risata dello stesso Murnau, tanto per dirne uno...). Il fascino del film, il suo valore aggiunto, è dato dalla matrice espressionista e dalla mano (dall'occhio) di Murnau. Nel film, naturalmente, c'è la fotogenia del vampiro di Bram Stoker, pur non denunciato per un problema di diritti sul libro. Dal Dracula letterario vengono però sottratti tutti gli elementi folkloristici e spettacolari, l'ironia e il racconto fantastico. Pare che a Murnau importi molto che quella orrorifica rimanga una patina simbolica che ricopre la superficie della vicenda.
(Giacomo Manzoli)