"Il mio lavoro con Greta Garbo"

"Sebbene conoscessi Greta Garbo da tempo, non ero mai stato il suo regista, fino al giorno in cui la Metro l'ingaggiò per Ninotchka. Questa collaborazione mi ha permesso di approfondire il suo carattere.
Credo che Greta Garbo sia senza dubbio l'essere più bloccato con cui mi sia mai capitato di lavorare. La si potrebbe paragonare, forse, a Gary Cooper. Entrambi sono attori che non hanno mai saputo esprimersi in maniera convincente a Broadway. Sono incapaci di apparire e recitare davanti a un pubblico. Non sono per niente esibizionisti. Per recitare, questo tipo di attore deve essere convinto. Ma una volta girata la scena, la Garbo ha qualcosa che sfugge alla routine. A mio avviso, è una delle ragioni che spiegano il fascino esercitato dalla Garbo.
È una donna fuori dal comune. Medita profondamente sulle scene che deve girare. Per esempio, in Ninotchka doveva recitare il ruolo d'una donna ubriaca in un ristorante. Mi resi conto che non gradiva di recitare di fronte a una folla di comparse. Venne verso di me e disse: “Ho paura di non riuscire a recitare”. Per me, fu il momento di intervenire. “Ascolta”, le dissi “faccio tutto quello che vuoi, modifico la sceneggiatura e i dialoghi. Ma in questo caso preciso, non posso cambiare niente. È troppo importante. Ti ci devi adattare”. Lasciai passare due settimane, prima di riprendere a lavorare su questa scena. E feci di tutto perché si rilassasse. Le diedi dei consigli: “Ecco come vedo la scena. Ora, al lavoro. Riflettici”. Allora, si ritirò in un angolo e cominciò a spremersi le meningi. Poi ripeté la scena.
Quando non era soddisfacente, le dicevo, nella maniera più distaccata possibile: “Molto bene, ma se potessi ancora, giusto un poco di più...”. E la lasciavo di nuovo fare. In questo modo, le davo progressivamente fiducia in se stessa e, quando arrivò il momento di girare la scena dell'ubriachezza, era completamente rilassata. Totalmente autentica. Senza la routine abituale tipica dell'attore. È proprio questo che ne crea il fascino.
Non è per niente difficile lavorare con la Garbo. Bisogna solo tener presente una cosa: alle cinque in punto si ferma, e niente al mondo potrebbe indurla a continuare a lavorare. Anche se la scena non è terminata, bisogna rimandare tutto all'indomani. Di primo acchito il regista non vede di buon occhio questo atteggiamento. Ma, d'altra parte, alle nove in punto del mattino seguente è già pronta a tutto ciò che è in grado di sopportare.Ho lavorato con numerose star femminili e ho scoperto che una delle difficoltà maggiori è lo stato di dipendenza, di sottomissione allo specchio. Molte di loro passano un'eternità a incipriarsi e truccarsi negli intervalli fra una ripresa e l'altra. Sono talmente preoccupate dal loro maquillage che sciupano in quest'operazione tutta la loro vitalità di attrici. In tutte le otto settimane che ho lavorato con la Garbo, lei non si è mai guardata una sola volta allo specchio, salvo quando glielo chiedevo io. Nessun altro se non un regista è in grado di apprezzare un tale comportamento".

Ernst Lubitsch, My Work with Greta Garbo, “The New York Times”, 22 ottobre 1939