No hay banda! Inquietudini sonore

No hay banda! Inquietudini sonore

La summa del pensiero di Lynch sul cinema come linguaggio sonoro è Mulholland Drive. Ogni suono è qui perfettamente distinguibile e accuratamente misurato nell’intensità, nell’orientamento spaziale, e nella definizione timbrica. La qualità sonora è tale da essere paragonabile all’ascolto di un brano musicale in cuffia. Allo stesso tempo, nulla di questo universo sonoro segue consuetudini canoniche. Le intensità sono insolite (ad esempio volumi alti per suoni marginali), e lo statuto di realtà è spesso indecidibile. Chi sente quel suono? Da dove viene? Sono domande non rilevanti nell’universo-Lynch, tanto quanto le domande sulla concreta dinamica degli eventi nel plot. Si tratta piuttosto di invertire la relazione e porre ciò che accade, anche sul piano sonoro, come fenomeno auto-significante. Ovvero, piuttosto che chiedersi a quale relazione causale esso appartenga, è più utile osservare l’effetto di senso complessivo.
Lynch ‘colora’ il visivo tramite il sonoro, cioè arricchisce la semplice evidenza visiva con una rilettura che passa attraverso il suono. Ciò che appare normale sul piano visivo viene ‘filtrato’ e reso anomalo attraverso l’elemento sonoro. Prendiamo ad esempio la celebre sequenza del diner Winkie’s, a circa dieci minuti dall’inizio del film. È contenuta tra due scene in cui il personaggio di Rita appare dormiente, dunque una delle ipotesi è che si tratti di una sequenza onirica.
Si apre con uno squillante suono di sirena da ambulanza che crea un brutale scarto con la scena precedente. È una prassi costante di Lynch, che tende a costruire i collegamenti per contrasti e per rotture e non mediante legami (Chion). Il contesto sonoro nel quale dialogano i due personaggi nel diner è inizialmente regolare: oltre alle voci, ascoltiamo i rumori ambientali del ristorante e della strada. Man mano, però, che il racconto dell’incubo si fa più intenso e perturbante, il suono ambientale sparisce e viene sostituito da una sorta di bolla sonora che avvolge il tutto, creando un effetto di distacco della realtà e di isolamento dal contesto: ritorna l’usuale rumore cupo e continuo lynchano, poi arricchito da una nota continua, ad intensità crescente. Quando i due personaggi escono dal diner, i rumori della strada sono poi filtrati da un riverbero che ne accentua la sensazione irreale, e mentre la scena si sposta verso il retro, i suoni dei passi sono alterati da un’eco. Dopo il boato improvviso che coincide con l’apparizione di un mostro, la scena si conclude con il suono della voce completamente ovattata, atto a descrivere lo stato di malessere del personaggio che infatti crolla al suolo.
Questa descrizione illustra il modo con il quale Lynch crea una improvvisa impennata di tensione, affidandosi unicamente all’organizzazione sonora senza alcun effetto visivo. Egli appare perfettamente consapevole del mezzo cinematografico come strumento di creazione di realtà ad hoc: in parte si serve delle convenzioni, in parte le sovverte, in parte le salta a piè pari.
Concludiamo con la celebre scena del Club Silencio, che costituisce una vera e propria finestra aperta da Lynch sul proprio modo di concepire il linguaggio audiovisivo […].
Le due protagoniste femminili entrano in un teatro semivuoto, il Club Silencio (ecco ancora un riferimento al suono), mentre, al loro ingresso, il personaggio identificato come ‘il Mago’ declama alcune battute, accompagnate da un’ampia gestualità: “No hay banda! There is no band! Il n’est pas de orquestra! This is all... a tape-recording. No hay banda! And yet we hear a band. If we want to hear a clarinette... listen... Un trombone ‘à coulisse’. Un trombone ‘con sordina’. Hear le son... and mute it... drop it... It’s all recorded. No hay banda! It’s all a tape. Il n’est pas de orquestra. It is... an illusion”.
Il Mago sembra rappresentare, dunque, colui che manipola la magia del sonoro nel linguaggio audiovisivo: si può ascoltare un suono di orchestra anche se l’orchestra non si vede, perché nel cinema tutto è registrato, montato e sincronizzato. Che appaia o meno un suonatore di tromba, o che venga o meno mimata un’esecuzione, non è rilevante: il suono si sentirà ugualmente. Conclusione: il cinema ‘è un’illusione’ e contiene una natura magica che si esprime principalmente attraverso il suono. E, particolare trascurato nelle analisi, il Mago adopera quattro diverse lingue per esprimere i suoi concetti, traducendoli tra loro. Per quale motivo? Forse vuole suggerire l’idea che le lingue e i doppiaggi possono mutare, mentre la magia artificiale del sonoro nell’audiovisivo rimane la medesima.

Lucio Spaziante, Immaginare attraverso il suono: il linguaggio sonoro di David Lynch, in David Lynch: mondi intermediali, a cura di Nicola Dusi e Cinzia Bianchi, FrancoAngeli, Milano 2019




Lynch crea un mondo che oscilla tra finzione e realtà, tra sogno e veglia. Il suo fondamento è da cogliere all’interno di una trama sonora perfettamente orchestrata, in grado di dare vita a un film come una sinfonia. […] La musica presenzia attivamente all’azione, ingannando i sensi dello spettatore tramite passaggi da off a over e viceversa. Fondamentale per una rielaborazione in chiave emotiva è il gioco compositivo di Badalamenti, spalleggiato da certe sonorità contemporanee o datate. […] E come ogni opera musicale che si rispetti, anche Mulholland Drive ha una overture. La sequenza iniziale è un ballo snodato ed euforico conosciuto come jitterbug. Il suono nevrotico scaturito da un veloce ritmo di swing, abbina la sua performance a quella dei ballerini, che grazie all’effetto del chroma-key moltiplicano la loro presenza tramite ombre sullo sfondo, dando così la sensazione di un caos ancora più esacerbato. Questo piccolo siparietto, oltre a ritardare notevolmente la diegesi del film, con elementi che sfuggono alla comprensione dello spettatore, che si trova a interrogarsi sul significato di questa sequenza, ha una chiara funzione straniante, in grado di miscelare elementi non necessari allo svolgimento narrativo. […]
Lynch accentua la sua voglia di fare il sound designer, con astuzie inventive lontane da semplici modi di creazione sonora. Un pugno sferrato risulra troppo forte rispetto alla sua reale natura. I suoni della città avvolgono la macchina e dall’esterno hanno lo stesso effetto ovattato riscntrabile dentro l’abitacolo con i finestrini chiusi. E come se non bastasse, questo suono stravolto non interrompe il suo percorso con un cambio di sequenza, ma trasforma la sua superficie e diventa il fruscio del vento o qualcos’altro elettronicamente distorto. L’inverosimiglianza si fa strada e il continuo flusso sonoro collega due sequenze tra loro distanti. Il legame video-suono comincia a sgretolarsi non appena i due livelli intraprendono strade autonome, che prescindono dal significare qualcosa di concreto. […]
La sequenza del Club Silencio […] è probabilmente il manifesto sonoro del cinema lynchiano, una sorta di Manifesto dell’asincronismo ejzenstejniano, dove la finzione è il grande ponte che collega il playback alla recitazione emotiva dell’attore-personaggio. All’interno del teatro diventa tutto illusione, le parole provengono da dietro le quinte, la strumentazione è assoggettata alle parole di un presentatore-mago e il musicista non ha più nessun controllo sullo strumento. La creazione di un mondo intelligibile dove, dove l’unico demiurgo è il regista, trova compimento in un microcosmo teatrale, che non ha bisogno di un trombone o di un clarinetto o di una tromba con sordina per esistere, perché “non c’è banda… è tutto registrato”. Lynch gioca con una moltitudine di effetti audio che ingannano nuovamente i sensi dello spettatore, già a partire dal nome del teatro, dove il silenzio appare l’unica cosa messa all’angolo”.

Riccardo Sampino Mattarelli, David Lynch sound designer, Crac edizioni, Falconara Marittima 2014