Dieci piccoli indizi: i misteri di 'Mulholland Drive'

Dieci piccoli indizi: i misteri di 'Mulholland Drive'

Si sentono delle storie a proposito di cose che accadono su Mulholland Drive. È una strada piena di mistero e di pericoli. Ed è come guidare sul tetto del mondo, guardando giù la Valley e Los Angeles. Si vedono questi panorami incredibili, quindi è alquanto onirica oltre che misteriosa.

David Lynch

 

 

Dieci indizi per capire il film

1. Prestate particolare attenzione all’incipit del film: almeno due indizi vengono svelati prima dei titoli di testa.

2. Fate attenzione alla comparsa del paralume rosso.

3. Riuscite a sentire il titolo del film per il quale Adam Kesher sta facendo i provini alle attrici? Viene nominato ancora?

4. Un incidente è un evento terribile… notate qual è il luogo dell’incidente.

5. Chi consegna una chiave – e perché?

6. Notate la vestaglia, il posacenere, la tazza di caffè.

7. Cosa si sente, si comprende e si deduce al club ‘Silencio’?

8. Camilla è stata aiutata dal suo solo talento?

9. Osservate in quali circostanze appare l’uomo sul retro di Winkie’s.

10. Dov’è la zia Ruth?

I dieci indizi sono stati stilati da David Lynch nel 2002 in occasione di un concorso indetto dal quotidiano inglese “The Observer”, che invitava i suoi lettori a fornire la loro interpretazione di Mulholland Drive, e sono poi confluiti negli extra dell’edizione speciale del film in Dvd.




Mulholland Drive
inizia con un duplice evento inaugurale: il rapimento e l’amnesia della bruna Rita e l’arrivo stupefatto della bionda Betty a Los Angeles, luogo per eccellenza della proiezione e dell’idealizzazione. Inevitabilmente, per non dire irresistibilmente, le due giovani donne si incontrano in una casa di Beverly Hills dove il loro destino si intreccerà in maniera indissolubile. La prima parte di Mulholland Drive assume così i connotati di un’inchiesta nella quale le due protagoniste si calano nei panni di detective alla ricerca della vera identità di Rita.
Parallelamente a tale ricerca, una serie di microsfalsamenti carica il film di un mistero, di una tensione diffusa, che lascia supporre che questa inchiesta potrebbe svelare un complotto costruito sui rapporti complessi tra Hollywood e la Mafia. L’insieme dei segni arbitrariamente disseminati nella prima parte troverà quindi una sorta di spiegazione nella seconda parte, molto più breve, reinterpretazione generale dei fatti e dei gesti di tutti i personaggi, un po’ come se i dati del problema fossero in un colpo solo compressi e ridistribuiti al solo scopo di venire chiariti.

Thierry Jousse, David Lynch, "Cahiers du cinéma", Parigi 2010




Quei dieci indizi, in fondo, servono soltanto a confermare l’esistenza di un mistero, che è poi ciò che preme a Lynch (“Per me il mistero è una calamita”). Non mettono su nessuna pista giusta né indicano un metodo alternativo. A ben vedere, suggeriscono soltanto di prestare attenzione ai particolari (Fai caso..., Hai sentito...); di guardare e ascoltare meglio, di esercitare più profondamente la vista e l'udito, di richiamare all'appello tutto il potere dell'occhio e dell'orecchio. Invitano insomma a restare raccolti nell'indagine visiva e sonora e nell'incanto della contemplazione, a prolungare il tempo della domanda e, forse, a disattendere quello della risposta. Forse, addirittura, a sospendere il giudizio, ad allentare le trame del ragionamento e a rimandare le conclusioni. […] Il mistero, almeno in parte, deve restare irrisolto, sospeso nella moltiplicazione delle curve delle soluzioni possibili. Perché il mistero, in Lynch, non sfocia mai nella chiusura ‘razionale’ di un intrigo complesso o sfuggente o, in termini funzionali, non si risolve semplicemente nell'innesco della curiosità e dell'attenzione dello spettatore. Piuttosto, esso assume la forma di una matrice attiva, di un'apertura al senso continuamente rilanciata e di una condizione esistenziale, per il racconto e i suoi elementi, sottratta alla possibilità, cognitiva ed etica, della soluzione, o almeno di una soluzione giusta, e una soltanto.
Il problema, poi, con Muholland Drive (e con buona parte dei film del regista) è che i misteri sono molti, non uno soltanto (dieci indizi, allora, non possono certo bastare); troppi, forse, e di natura diversa: ci sono misteri interni al film, che interessano il piano della storia […]; ci sono misteri che riguardano il piano del racconto e chiamano direttamente in causa il funzionamento del linguaggio cinematografico, a partire dall'opacità con cui si incastrano e rimandano la prima e la seconda parte del film; ci sono, ancora, diverse modalità di costruzione del mistero: per sottrazione o per ellissi di informazioni o porzioni della storia, per incongruenza logica, per un'ambiguità diffusa dei personaggi e degli eventi, per il mancato o eccentrico funzionamento di classiche strategie discorsive del cinema. Ci sono, infine, forme del mistero diverse: dal più tradizionale whodunit ai più profondi cortocircuiti cognitivi, che interessano direttamente le modalità con cui lo spettatore è abituato a processare e articolare il racconto dell'esperienza, dentro e fuori la sala cinematografica.
Di fronte a una simile declinazione del misterioso in forme molteplici e dalla portata differente, l'urgenza del commento, della spiegazione e della riduzione del film a un'unità afferrabile e comprensibile si impone quasi subito, e Muholland Drive diventa soprattutto un film da capire o, meglio, da risolvere, fronteggiando in primo luogo – e spesso esclusivamente – la sua trama rompicapo; ma, dall'altra parte, sembra affacciarsi con altrettanta forza e legittimità ermeneutica un'attrazione tipicamente modernista per il rispetto dell'oscurità semantica […].
La pluralità di Muholland Drive ne fa insomma un classico testo aperto (o forse, e meglio, non chiudibile).

Luca Malavasi, David Lynch. Mulholland Drive, Lindau, Torino 2008




Con Mulholland Drive si ha di fronte qualcosa di costruito in modo da generare le reazioni che di fatto si sono prodotte. Ciò significa dire, nel caso specifico, che l’attività interpretativa ha raccolto esche che il film ha predisposto, ne ha subito le lusinghe, ne ha seguito le contraddittorie indicazioni. Con un risultato evidente: il campo delle letture del film si è spaccato in due sottoinsiemi con pochi punti di contatto ma capaci di riprodursi su ogni livello dell’interpretazione. Ovunque ci si muova – si tratti della critica da quotidiano, della chiacchiera da bar o, ancora, della lettura da rivista specializzata, la sottodivisione è attiva.
Breve incursione sul web. Le reazioni al film si dividono in due tipologie. Ci sono coloro che rivendicano un atteggiamento anti-intellettualistico, per cui il film appare incomprensibile (e va rigettato) oppure produce un’adesione entusiastica basata su ragioni del tutto non riflessive (si fa appello alle sensazioni, all’impressione di stranezza e originalità che le situazioni rappresentate sanno trasmettere). E ci sono coloro che cadono nella trappola più macroscopica innescata dal testo: la trama-rompicapo. Da qui tutta una produzione di sinossi sempre più articolare, interi forum dedicati alla ricostruzione dei più minuti significati referenziali.
Sensazione/ossessione di comprensione esaustiva della fabula. L’interpretazione propriamente detta rimane estranea a entrambi gli opposti. Per questo le analisi migliori di Mulholland Drive sono giochi di equilibrismo.
[…] Ecco che il perfetto bilanciamento tra ricchezza sensoriale, mistero e comprensibilità narrativa trasforma Mulholland Drive in una macchina di seduzione. Sul piano dell’interpretazione ciò significa che il film scatena l’impulso ermeneutico, il desiderio di reperire significati e di svelare gli enigmi, legittima questo desiderio per poi negarlo, per denunciarne tutta l’inadeguatezza. Sul piano teorico significa che Lynch non ha mai una sola verità alla volta da affermare. Egli non potrebbe dire, come Cézanne, “io vi devo la verità in pittura”. Oltre il narrativo non c’è la verità del Figurale e prima della figura non ci si può accontentare delle verità di una narrazione irrequieta, lacunosa ed ellittica. […]
Mulholland Drive non è un luogo testuale sul quale la teoria possa verificare la propria tenuta o efficacia. È un magnete che restituisce alla teoria l’immagine della sua incompletezza e parzialità. Sia che si scelga la via del Figurale, sia che si scelga quella del racconto, ci si perde comunque a metà strada: le strade perdute dell’interpretazione…
Lynch ci tiene molto a che non si scambi il mistero per una forma di confusione. Il mistero va circoscritto, richiede un metodo. Un metodo è un principio d’ordine. L’ordine ha un posto altrettanto importante del mistero stesso.

Claudio Bisoni, Straight Story/Lost Highway, in Attraverso ‘Mulholland Drive’, a cura di Claudio Bisoni, Il principe costante, Pozzuolo del Friuli 2004