New York, New York

New York, New York

I miei film descrivono la New York dei miei sogni, dei miei desideri, a volte dei miei ricordi
(Woody Allen)

 

Capitolo primo. "Adorava New York. La idolatrava smisuratamente...". No, è meglio "la mitizzava smisuratamente", ecco. "Per lui, in qualunque stagione, questa era ancora una città che esisteva in bianco e nero e pulsava dei grandi motivi di George Gershwin...". Ah, no, fammi cominciare da capo... Capitolo primo. "Era troppo romantico riguardo a Manhattan, come lo era riguardo a tutto il resto: trovava vigore nel febbrile andirivieni della folla e del traffico. Per lui New York significava belle donne, tipi in gamba che apparivano rotti a qualsiasi navigazione...". Eh no, stantio, roba stantia, di gusto... insomma, dai, impegnati un po' di più... da capo. Capitolo primo. "Adorava New York. Per lui era una metafora della decadenza della cultura contemporanea: la stessa carenza di integrità individuale che porta tanta gente a cercare facili strade stava rapidamente trasformando la città dei suoi sogni in una...". Non sarà troppo predicatorio? Insomma, guardiamoci in faccia: io questo libro lo devo vendere. Capitolo primo. "Adorava New York, anche se per lui era una metafora della decadenza della cultura contemporanea. Com'era difficile esistere, in una società desensibilizzata dalla droga, dalla musica a tutto volume, televisione, crimine, immondizia...". Troppo arrabbiato. Non devo essere arrabbiato. Capitolo primo. "Era duro e romantico come la città che amava. Dietro i suoi occhiali dalla montatura nera, acquattata ma pronta al balzo, la potenza sessuale di una tigre...". No, aspetta, ci sono: "New York era la sua città, e lo sarebbe sempre stata...".
(Woody Allen-Ike Davis nell'incipit di Manhattan)




I critici americani gridano unanimemente al capolavoro definendo Woody come il "fidanzato di New York" e Manhattan "l'unico vero grande film americano degli anni Settanta" ("The Village Voice"). [...] La città non è solo la capitale culturale dell'Impero in decadenza, ma soprattutto la 'toponomastica ideale' dei valori di WA in ascesa. Ike, scrittore alle prese con l'inizio arduo di un nuovo racconto dichiara (fuori campo, come la voce di Bogart nei film anni Quaranta) il suo amore romantico per una città del futuro da 'falsificare' con le lenti di un demodée. Sinfonia visiva di una megalopoli, come Berlin, Symphonie einer Grosstadt (Sinfonia di una grande città, 1927, Walter Ruttmann) Manhattan resuscita il cinema classico americano degli anni Quaranta in b/n, quando la sophisticated comedy ritrae la borghesia immersa nei giochi della seduzione e del successo. [...] Di notte il Central Park è una trincea da non attraversare se non pericolosamente (come in I guerrieri della notte, 1979 di Walter Hill), ma Allen la trasforma in un luogo deputato della sua geografia sentimentale.
(Elio Girlanda e Annamaria Tella, Woody Allen, Il Castoro, Milano 1995)




Manhattan è una mano che si sporge tra due fiumi, l'Hudson River e l'East River. Le 'avenues' sono le dita di questa mano, le 'streets' tagliano le dita orizzontalmente, come le strisce di un guanto da sci. Broadway infine serpeggia bizzarra e irregolare attraverso la mano. Sulla quale sta tutto ciò che conta a New York, che fa di New York la città che si chiama New York. Perché è bella Manhattan cioè New York? [...] Perché è l'espressione di un momento storico dello spirito umano [...] una città-persona in cui non c'è niente da salvare, una città che ha avuto un'infanzia, un'adolescenza, una giovinezza, una maturità e oggi forse ha una sua strana, potente vecchiaia. A questa città-persona, Woody Allen, in Manhattan, dedica una specie di inno, un po' paragonabile a quello dedicato da Baudelaire al suo "sombre Paris".
(Alberto Moravia, "L'Espresso", 18 novembre 1979)




Non girerei mai un film su trafficanti di droga o cose simili. A ogni modo, il mio atteggiamento nei confronti della città, che adoro, non è giornalistico, io non ho la pretesa di mostrare la complessa realtà della città. Voglio solo far condividere al pubblico l'impressione che provo io e che corrisponde alla conoscenza che ne ho, una conoscenza molto limitata. Contrariamente a quel che si dice, io non conosco New York. Conosco solo un certo tipo di famiglie ebraiche di Brooklyn e conosco i borghesi di Park Avenue, di cui sono un rappresentante. [...] Io riprendo le strade così come le trovo, senza cercare di creare, o ricreare, un ambiente particolare. Ma senz'altro scelgo i luoghi dove dovrò girare esclusivamente in funzione del film, e non per mostrare qualcosa della città stessa. Non ho mai fatto un documentario su New York. D'altronde il pubblico non ha mai visto la 'mia' Manhattan, che è un luogo soggettivo, un'idea personale, una prospettiva interiore.
(Woody Allen, in Jean-Michel Frodon, Conversazione con Woody Allen, Einaudi, Torino 2001)




"Io e lo sceneggiatore giriamo per la città. Rivediamo tutte le esperienze della mia vita. Parliamo delle idee e dei sentimenti che ci sembrano più significativi. Tutto ciò avviene in modo informale. Cosa dire della mia ex-moglie che sta scrivendo un libro su di me? I personaggi così cominciano a prendere forma: è la gente che conosco, quella che entrambi conosciamo. Gli altri sembrano totalmente estranei, puri voli di fantasia" ("New York Times", 1979).
Con un metodo di lavoro che riecheggia quello teorizzato da Zavattini, il "pedinamento della realtà", Woody Allen e il suo sceneggiatore abituale, Brickman, decidono di scrivere un film su New York, con un'idea a metà tra biografismo e cinema. La 'Grande Mela' tutta spettacolo, resa celebre dalla cultura di massa - e dai film di Scorsese (Mean Streets, 1973; Taxi Driver, 1976; New York New York, 1976) - diventa cosi una "città dell'anima", cosmopolita e personale, un po' come la Rimini di Fellini. Manhattan (1979) lo si gira nei ritrovi abituali di Allen e dei suoi amici: dai musei all'Elaine's Café, piccolo ma affollato ristorante nella Seconda Avenue, gestito da un'amica di Woody di origini russe, Elaine Kauffman. Cosi la scena d'incontro tra Isaac (Woody) c Tracy (Mariel Hemingway), che culmina nel pianto della ragazza, è girata nella pizzeria John's, il cui proprietario è presente anche in altri film di Allen (Broadway Danny Rose) e dove si trova un piccolo museo dedicato al regista. Inoltre, nella scena ambientata al MoMA compare, in 'carneo', un'altra amica, esponente politico 'liberal', Bella Abzug. L'attrice, poi, che interpreta la moglie dell'amico Yale, è Anne Byrne, moglie di Dustin Hoffman, che Woody conosce a un incontro di basket.
(Elio Girlanda e Annamaria Tella, Woody Allen, Il Castoro, Milano 1995)