Maigret al cinema e in tv

Maigret al cinema e in tv

È una buffa sensazione vedere sullo schermo andare, venire, parlare, soffiarsi il naso, un signore che pretende di essere te stesso, che ti ruba certi tuoi tic, pronuncia le frasi che tu stesso hai pronunciato, in circostanze che tu hai conosciuto, che tu hai vissuto, in contesti talvolta minuziosamente ricostruiti. Con il primo Maigret dello schermo, Pierre Renoir, la verosimiglianza era ancora grosso modo rispettata. Diventavo un po' più alto, più slanciato. Il volto, beninteso, era differente, ma certe abitudini erano così sorprendenti da farmi supporre che l'attore mi abbia osservato a mia insaputa. Qualche mese più tardi, rimpicciolivo di venti centimetri e, quel che perdevo in altezza, lo guadagnavo in rotondità, diventavo, sotto i tratti di Abel Tarride, obeso e bonaccione, così molle da assumere l'aria di un pallone gonfiato che va ad appoggiarsi al soffitto. Non parlo delle strizzatine d'occhio, poi, pensate per sottolineare le mie battute e finezze! Non ce l'ho fatta a resistere sino alla fine del film, e le mie tribolazioni purtroppo non erano finite. Harry Baur era senza dubbio un buon attore, ma aveva vent'anni buoni più di me all'epoca del film, una faccia al contempo molle e tragica. Pazienza! Dopo essere invecchiato di vent'anni, sarei ringiovanito di altrettanti anni molto più tardi, con un certo Préjean, al quale non ho nessun rimprovero da muovere - non più che agli altri - ma che assomiglia molto più a certi giovani ispettori d'oggi che a quelli della mia generazione. Recentemente, infine, mi hanno di nuovo ingrassato, ingrassato da farmi scoppiare, facendomi, se non bastasse, parlare - sotto i tratti di Charles Laughton - la lingua inglese come se fosse la mia lingua madre... Ebbene! di tutti questi, ce n'è almeno uno che ha avuto il gusto di barare con Simenon trovando che la mia verità era meglio della sua. È Pierre Renoir, che non s'è incollato la bombetta in testa, infilandosi piuttosto un morbido cappello qualsiasi, i vestiti di un qualunque funzionario, che sia o no della polizia".

George Simenon, Le memorie di Maigret, Arnoldo Mondadori editore, 1951



Malgrado le dichiarazioni, nelle quali affermava di non aver mai visto Maigret sul grande o piccolo schermo, Simenon aveva all'epoca un'opinione ben precisa a proposito dei numerosi attori che avevano interpretato quel ruolo. I tre migliori Maigret francesi sono stati prima di ogni altro Pierre Renoir, che aveva capito che Maigret era un funzionario, rappresentandolo come tale, Michel Simon, che nonostante l'avesse interpretato una sola volta, era stato uno straordinario Maigret, e naturalmente Jean Gabin, che non aveva, credo, mai visto un commissario in azione, un po' trascurato nell'andatura con la cravatta di traverso, ma che conferiva al ruolo la massima autorità.

Fenton Bresler, L'enigma Georges Simenon, Ballard, 1983

 

"Jean Richard è forse il Maigret più popolare delle serie televisive ma è francamente il peggiore. È troppo cattivo. Interpreta Maigret come se avesse visto troppi film americani, pieni di gangsters e di gigolos. Lo si vede giungere a casa di una vecchia signora, o altrove, con il cappello in testa, che non si leva di sicuro. Non dice "buongiorno" ma semplicemente "commissario Maigret". Continua a fumare e a tenersi il cappello in testa per tutto il tempo. Fastidioso. Un commissario ha quanto meno una certa educazione. Sa che non si va a casa della gente con il cappello in testa e fumando la pipa. Fra i Maigret stranieri, Charles Laughton a suo tempo riuscì a far di meglio, pur restando spaventoso. Gino Cervi, l'attore italiano, andava molto bene. Ma è Rupert Davies (alla televisione britannica) il migliore. Lo metterei sullo stesso piano di Michel Simon. L'ho anche conosciuto, insieme alla moglie e ai figli. Era un uomo affascinante e faceva di tutto per entrare nel personaggio. Ricordo che è venuto a trovarmi a Eschandens, prima di cominciare la serie, per domandarmi come Maigret fumasse la pipa e si comportasse nella vita...". "Una cosa mi divertì" aggiunge Simenon. "Mi chiese: "Quando torna a casa, la signora Maigret riconosce il passo e gli apre la porta. È come se ne preavvertisse l'arrivo ed egli non ha mai bisogno di usare la chiave. Ma che fa Maigret quando la vede? Deve abbracciarla o che altro?". Ho fatto venire la cameriera mostrandogli... (Simenon fa allora il gesto eloquente di darle una... manata sul fondo schiena) e Rupert Davies, che era inglese, arrossisce! "Ecco che cosa dovete fare", gli dissi. Non era che un gesto affettuoso, niente di sessuale... ma malgrado tutto, si vedeva che avrebbe faticato a farlo. Eppure, era veramente molto bravo! La migliore Signora Maigret, a mio avviso, contando anche quella dei francesi, è la signora Maigret della televisione giapponese. Esattamente comme il faut".

George Simenon in Claude Gauteur "Simenon par Simenon", "La Revue du Cinema", n. 454, novembre 1989.

 

Il commissario debutta sugli schermi nel 1932, quasi simultaneamente in tre versioni diverse, interpretato da Abel Tarride (Le Chien jaune), Pierre Renoir (La Nuit du carrefour), Harry Baur (Il delitto della villa). Sono passati pochi anni dalla sua prima apparizione editoriale, Maigret è già conosciuto, ma né lui né il suo autore godono ancora di quell'immensa popolarità che arriverà loro con il cinema e soprattutto con le riduzioni televisive. Nelle trasposizioni cinematografiche, i polizieschi di Simenon incontrano due ordini di problemi. Il primo ha a che vedere con il destino di quasi tutta la produzione di genere, relegata nella schiera dei B-movie, soprattutto in passato: budget limitati e storie costruite attorno al protagonista (quindi l'attore) piuttosto che, nel caso specifico, sull'atmosfera tanto cara all'autore. Il secondo riguarda l'esigenza di trovare un interprete all'altezza della situazione, capace di restituire le sfumature di un personaggio più complesso di quanto appaia a prima vista, sulle cui spalle grava tutto il peso del film. Dei quattordici adattamenti realizzati per il grande schermo (per il piccolo non si contano), Simenon ha apprezzato senza riserve solo La Nuit du cerrefour di Renoir, in cui il ruolo di Maigret era ricoperto dal fratello del regista, Pierre. Indubbiamente la versione del maestro francese si stacca nettamente dal resto della produzione, sia perché è l'unico film in cui il lavoro di regia abbia un peso e uno stile, sia perché l'interprete "aveva capito che un commissario capo della Polizia giudiziaria è un funzionario. Si è vestito e comportato da funzionario, conservando sempre la sua dignità e lo sguardo un po' fisso e inquisitorio" [Billard] Tuttavia ciò non significa che le altre versioni siano disprezzabili (Duvivier e Verneuil, ad esempio) o che non ci siano stati altri Maigret plausibili al di là di Pierre Renoir. Se Albert Préjan (Picpus, Cecile est morte e Les Caves du Majestic) tende a conferire al personaggio delle sfumature dandy che sicuramente non gli appartengono, Michel Simon fa centro con una sola, brevissima apparizione (in un episodio di Brelan d'as) e Jean Gabin (Il commissario Maigret, Maigret e il caso Saint-Fiacre e Maigret e i gangsters) è un commissario indimenticabile nonostante risultasse più cupo del necessario, più in linea con il suo mito che con la figura creata da Simenon, e fosse "sempre con la cravatta di traverso, troppo trascurato nel vestire e nei modi, troppo americano" secondo il severo giudizio dello scrittore (che alla fine dimostrò comunque di apprezzare l'originalità di Gabin). Tra gli interpreti non francesi, un posto d'onore spetta al nostro Gino Cervi, protagonista di tutti gli episodi realizzati dalla Rai e dell'unico film italiano destinato al grande schermo, Maigret a Pigalle. Quando si cala nei panni del commissario, Cervi ha sessantatré anni, ma bastano pochi ritocchi al colore dei capelli e dei baffi per rendere del tutto credibile la scelta. L'attore ha il physique du role, il suo accento bolognese evoca in qualche modo la provincia gaudente da cui proviene il Maigret letterario, il suo fare burbero e allo stesso tempo pieno di calore umano conferma l'assoluta identità tra l'interprete e il personaggio conosciuto attraverso le pagine dei gialli Mondadori. Persino Simenon riconobbe che Cervi "andava molto bene". Le produzioni televisive italiane risalgono agli anni Sessanta, tutte dirette da Mario Landi. Oltre a Cervi, vi è un'altra presenza insostituibile, quella di Andreina Pagnani nel ruolo della pazientissima Madame Louise.

Paolo Mereghetti. Il Mereghetti. Dizionario dei film 2014, Baldini & Castoldi, 2013.

 

Per molti lettori, e non pochi critici, i romanzi con Maigret sono di Maigret. Quasi che Simenon non c'entri, che il personaggio abbia preso il sopravvento sull'autore, che il "vero" Simenon sia altro, quello dei romanzi dove Maigret non compare. C'è del vero al fondo della questione, nel senso che la forte personalità del Commissario diventa determinante, ed anche perché i Maigret rischiano di ripetersi, di serializzarsi, tipizzandosi (nel bene e nel male) nel genere. Ma è una verità pur sempre parziale. E pericolosa. "Nella vastissima opera di Simenon - scriveva anni fa Giacomo Antonini - occorre operare una severa scelta. Su questo si è tutti d'accordo. Il guaio comincia quando si tratta di scegliere". Specie in passato, la tentazione di cedere agli schematismi, distinguendo fra letteratura bassa (Maigret) e alta (l'altro Simenon), è stata forte. E anche il cinema ha ragionato pressappoco così. L'arrivo di Simenon sugli schermi è del '32, di poco posteriore alla nascita del Maigret letterario (Pietr-le-Letton, 1929) e alla pubblicazione dei primi romanzi di successo non camuffati da pseudonimo. È un ingresso all'insegna dell'ormai popolare commissario della polizia parigina, interpretato nel giro di pochi mesi da Abel Tarride (Le chien jaune), Pierre Renoir (La nuit du carrefour), Harry Baur (La tête d'un homme), tutti attori di solida esperienza più teatrale che cinematografica. Da quel lontano 1932 altri sette attori hanno prestato sinora sul grande schermo il loro volto e il loro fisico (quasi sempre dal massiccio al pachidermico) al personaggio, per un totale di altri undici film. C'è chi, Maigret, l'ha proprio frainteso, e forse neppure letto (l'Albert Préjean dei film di guerra: Picpus, Cécile est morte, Les caves du Majestic, tutti girati fra il '42 e il '44) e chi l'ha assecondato a modo suo, dandogli accenti britannici (Charles Laughton in The Man on the Eiffel Tower, 1948), tedeschi (Heinz Riihman in Maigret fait mouche) o "padani" (il nostro bravo Gino Cervi in Maigret a Pigalle e soprattutto nelle serie televisive dirette da Mario Landi negli anni '60); chi francamente l'ha banalizzato (Maurice Manson in Maigret dirige l'enquête, 1954) e chi non ha potuto fare a meno di sovrapporre il proprio mito a quello del personaggio letterario: il prezioso Michel Simon dell'episodio di Brelan d'as (1952) e soprattutto il Gabin del trittico Maigret tend un piège, Maigret et l'affaire Saint-Fiacre, Maigret voit rouge, girati fra il '57 e il '63. Dieci diversi Maigret, quasi tutti insoddisfacenti secondo l'esigentissimo Simenon, non tutti da buttare per la critica, in questo caso meno fiscale. Il punto è però un altro. Dicevamo dei limiti con cui il cinema si è accostato a Maigret. Ebbene, questi limiti appaiono essenzialmente produttivi e di regia. Maigret è patrimonio quasi esclusivo di film generalmente a basso costo, di seconda serie, tutti incentrati sul personaggio (e dunque sull'attore, magari di grido, capace di reggere il personaggio e fare locandina), raramente preoccupati di dare adeguato risalto alle "atmosfere" (rieccole!) in cui il personaggio si muove. Quando così non è stato - pensiamo al Renoir de La nuit du carrefour - la differenza si fa evidente [...]. Il fatto che solitamente i film di Maigret siano concepiti come film di seconda serie non ne fa automaticamente dei brutti film. Non è in gioco la puzza al naso della critica 'autoriale'; è in gioco la forzata 'monodipendenza' di film che finiscono per dipendere unicamente dalla credibilità del primo attore. Che su questo piano, da par suo, gioca tutte le carte di cui dispone per reggere il confronto con un mito letterario così ingombrante. Ecco allora il bel Préjean, seduttore di una qualche fama, 'dandyzzare' più del lecito l'originale; ecco il taciturno e triste Gabin incupirlo più del necessario. Mutazioni (quasi) inevitabili e non sempre disdicevoli. Se Jean Gabin si allontana dal modello letterario, è pur sempre un grande Maigret, una gran bella presenza sullo schermo. Ed egli indaga, osserva, interroga, annusa, si comporta con una "credibilità" che è assai prossima al prototipo. Tanto può bastare. Altro caso, ancora più eclatante forse, il Cervi delle produzioni RAI. [...] Con la sua faccia e il suo fisico, ma soprattutto con il modo di fare, burbero ma umanissimo, Cervi entra così bene nel personaggio da rendersi assolutamente plausibile in quei panni. Ha detto una volta Alberto Savinio che quel che più lo colpiva in Simenon era la capacità di farci vivere i suoi romanzi, quasi fossimo noi i protagonisti, stessimo noi in quei luoghi. Maigret è fortemente calato nella realtà parigina del suo tempo ma interpreta, in definitiva, un modo di pensare e vedere le cose che se non è universale, è certamente europeo (dunque, anche bolognese), concentrato di una cultura che s'è sedimentata nei secoli, non senza resistenze e ostacoli: quello "spirito di servizio" che non annulla l'umanità del personaggio; quel credere nell'ordine sociale del mondo sapendo bene che ve n'è uno, naturale, che viene necessariamente prima; quell'entrare nella vita e nell'ambiente di vittime e sospettati per sentire al loro posto, quell'osservare per capire e non già per giudicare. Fateci caso: vi sono secoli di filosofia nel cervello tutt'altro che 'intellettuale' ed erudito del 'fenomenologo' Maigret, che "non pensa mai". Se il male esiste, non è patrimonio dei soli criminali, sembra dire. Proviamo ad immaginare di vestire i loro panni, di vivere i loro stati d'animo e le loro angosce: probabilmente capiremo anche perché hanno agito come hanno agito. L'interesse di Maigret è tutto appuntato sul 'criminale' (termine che non usa quasi mai) prima e non dopo il delitto. Di qui, necessariamente, un metodo di indagine che combina la razionalità con l'intuizione, la conoscenza con l'azzardo, la psicologia con il buon senso ma anche con le congetture della più bizzarra fantasia. L'esatto contrario, a ben vedere, dell'intelligenza pura di scuola anglosassone, e non certo il cinismo disincantato, 'metropolitano', di quella americana. Gli attori che in quest'ottica hanno letto e inteso il personaggio, possono averlo modificato ma non hanno mai deluso. A dispetto delle diffidenze di Simenon e dei limiti produttivi in cui hanno operato.
Piuttosto: è un caso che l'ultimo grande Maigret (il nostro Cervi) sia stato 'televisivo'? Forse no. Correvano gli anni '60 e il cinema mostrava di dover prediligere i generi forti. Giovane com'era, soltanto la televisione poteva permettersi la 'staticità' e le riflessioni di una certa letteratura: di lì la fortuna di romanzi sceneggiati e originali televisivi, oggi improponibili. L'Italia in pantofole di allora conservava l'ingenuità del 'cuore antico' che batte, da sempre, nel petto di Maigret e che il cinema, più cinicamente o forse giustamente, doveva già considerare nei termini clinici del cardiogramma piatto.

Roberto Ellero, Simenon al cinema, CircuitoCinema, Venezia 1990