Presentazione del progetto

Presentazione del progetto

Se guarderete i 114 film contenuti in questo scrigno vi accorgerete che furono anche i primi autori del cinema. Questi film hanno, fin dal primo, la Sortie d’usine, una consapevolezza dell’inquadratura che è assoluta e che si mantiene tale in ognuna delle oltre 1400 vedute del catalogo Lumière, che pure sono state realizzate da diversi operatori. La bellezza di queste vedute lascia stupefatti e ci rapisce. Non sono soltanto le prime immagini in movimento che ritraggono il mondo, ma ce ne consegnano una visione straordinariamente potente e bella.
I Lumière sono stati capaci di restituirci un’immagine degli uomini e della terra estremamente positiva, gioiosa e le tante immagini liete che ritraggono la loro famiglia non sono che un’anticipazione della felicità (le bonheur) che (loro pensavano) stava per travolgere il mondo e alla quale lavoravano attivamente con le loro continue invenzioni.
Ma il ritratto è ancora incompleto. I Lumiere non sono solo degli inventori, degli industriali e degli artisti, sono anche i primi programmatori. La prima proiezione al Salon indien è anche il primo programma, dove i titoli e la loro successione non ha nulla di casuale, è una programmazione che, nella successione, crea un montaggio e una relazione tra le diverse vedute successive fondamentale per la riuscita della serata.
L’Institut Lumière, il suo presidente Bertrand Tavernier, il suo direttore Thierry Frémaux, hanno qui compiuto un vero miracolo perché hanno saputo trovare una chiave totalmente nuova per programmare le vedute Lumière che ritrovano così tutta la loro forza e bellezza, anche grazie al commento di Frémaux, profondo, divertente, pieno di ritmo, e alla scelta della musica di accompagnamento, Camille Saint-Saëns, che restituisce la giusta epicità a queste prime immagini. E noi italiani dobbiamo essere grati a Valerio Mastandrea, artista e attivista del giusto, che ha prestato la sua voce alla versione italiana del film, consentendoci di poter guardare le immagini senza distrazioni e senza sottotitoli, ascoltando il bel ritmo della sua voce amica.

Gian Luca Farinelli


Nel 2015 il cinematografo Lumière ha compiuto 120 anni. L’uscita di questo film è l’occasione per riaffermare il valore cinematografico delle vedute Lumière. E dunque per ribadire l’importanza di coloro che hanno ‘inventato’ il cinema. ‘Inventato’: tra virgolette, perché lungi dal minimizzare l’atto fondamentale che vide la luce a Lione-Monplaisir nel 1895, bisogna ricordare che una scoperta universale come il cinema fu un lungo cammino per il quale l’apporto dei vari Muybridge, Marey, Demenÿ, Reynaud, Edison fu altrettanto essenziale rispetto a quello dei fratelli Lumière, i quali portarono a compimento in modo magistrale un’idea che, come ebbe a dire Louis Lumière, “era nell’aria”. Definiamo semplicemente ‘un passo da gigante’ quello che questi ultimi fecero fare alle immagini in movimento, alle quali impressero un cambiamento di natura, facendole uscire all’aperto, facendo loro scoprire la vita, proiettandole davanti a un pubblico. Ma questo progresso non fu solamente tecnico. Perché il cinematografo è già il cinema tutto intero. Questa selezione di un centinaio di ‘piccoli film’ Lumière, inestimabili per ispirazione creativa, immaginario e visione del mondo, lo conferma. Il cinematografo impose immediatamente il suo universo a un’attiva moltitudine. Affrontando questioni di messa in scena, inventando soggetti da cui prenderanno ispirazione centinaia di registi, inviando operatori ai quattro angoli del globo, Lumière agì da cineasta. Il secolo dei Lumière, dunque. L’altro. Quello di Louis, di Auguste e di Antoine, il padre. Un’opera che gioiosamente anticipa il cinema che verrà e che conserva oggi, all’epoca della rivoluzione permanente delle immagini, tutta la sua forza, fedele alle parole di Jean Renoir: “In Lumière a essere mostrata non è la Storia, ma la vita. E la vita è qualcosa di più profondo. È per questo che questi film sono così importanti: aprono la porta alla nostra immaginazione. È esattamente quello che oggi ci piace chiamare opera d’arte”.

Thierry Frémaux e Bertrand Tavernier