Lumière su Lumière

Lumière su Lumière

Mio padre era un 'poeta'

Mio padre, Antoine Lumière, rimase orfano a quindici anni. I suoi genitori morirono di colera. Fu cresciuto dal pittore Auguste Constantin che gli insegnò a disegnare. Divenne pittore d'insegne e decoratore, all'inizio in un'azienda di Parigi, e più tardi a Besançon. È lì che siamo nati io, mio fratello Louis e mia sorella maggiore Jeanne. Dopo la guerra del 1870 mio padre si trasferì a Lione dove costruì una società con il fotografo Fatalo. Aveva aperto uno studio in rue de la Barre, dove c'erano magazzini oggi scomparsi, dati in affitto dalle suore del ricovero di place Bellecour. Al posto di quegli edifici oggi c'è la posta centrale di Lione. Mio padre era un 'poeta'. Appena guadagnava un po' di soldi, li sperperava. Detestava la scienza e tutti gli scienziati... [...]
Mio padre aveva fatto parte della Guardia nazionale. Aveva una gran bella voce e poiché la vita a casa non era sempre facile, qualche volta andava a cantare al casinò, e si era specializzato in canzoni patriottiche. Nei corridoi del casinò ha conosciuto il prestigiatore Trewey, il cantante Plessis e altri artisti che sono diventati suoi amici. Appena gli affari andarono meglio, mio padre fece subito costruire una casa per installarvi la sua attività. Era un'operazione rischiosa perché il terreno di rue de la Barre non era suo e poteva essere chiesto indietro in qualsiasi momento dal ricovero. Fotografava le persone nel cortile dietro la casa, su un fondale che aveva dipinto lui stesso. Era molto bravo nei ritratti e molti artisti dell'epoca si sono fatti fotografare da lui, come Savorgnan de Brazza, Tony Revillon, l'esperto di calcoli Inaudi ecc.
Intorno al 1878, sui giornali specializzati di fotografia, si cominciò a parlare del procedimento al gelatino-bromuro d'argento. Fino ad allora le uniche lastre in commercio erano quelle preparate da Bernaert de Gand, secondo il procedimento di van Monckhoven. Mio padre usava le lastre al collodio umido preparate in un laboratorio nello scantinato. Comprese subito che il gelatino-bromuro aveva un futuro e provò le formule pubblicate nelle riviste di fotografia. Ma poiché le formule erano imperfette, il tempo di posa era ancora più lungo di quello richiesto dal collodio umido. Un fallimento completo. Mio padre non era in grado di perfezionare le formule. Come ho già detto, non aveva conoscenze scientifiche.
(LL., 1946)





Gli studi sulle lastre fotografiche e il successo della étiquette bleue

Ho avuto un'infanzia malinconica, malaticcia. Soffrivo costantemente di emicrania, perciò i miei studi furono abbreviati. La mia famiglia, originaria di Besançon, si era stabilita a Lione, dove mio padre aveva aperto nel 1881 un negozio di accessori fotografici. Dopo aver faticosamente frequentato la scuola professionale della Martinière, fui colpito nuovamente dai miei malesseri e dovetti rinunciare al Polytechnique. Era probabilmente scritto nel mio destino.
(L.L, 1935)

Dato che sentivo parlare ogni giorno delle lastre Monckhoven, iniziai anch'io a cercare un modo per perfezionarle. Inventai un procedimento che permetteva di eliminare il lavaggio dell'emulsione che con il metodo in uso era invece necessario. Le riviste tecniche suggerivano di aggiungere alle lastre una certa proporzione di acido bromidrico. Tentai, senza risultati apprezzabili. Impiegai allora l'ammonium che si rivelò soddisfacente. Ero appena uscito dalla scuola Martinière. Avevo sedici anni. Solo a causa dei miei mal di testa non potevo frequentare il Polytechnique. Mio padre si era rifiutato di procurarmi la bilancia di precisione di cui avrei avuto bisogno per i dosaggi, dicendomi che sarebbe stata sufficiente la bilancia di cucina. Utilizzavo per pesare la bilancia di un farmacista lì vicino. Dopo due mesi di lavoro ottenni una lastra che non richiedeva il lavaggio, superiore a tutte le lastre conosciute, più sensibile e con gradazioni migliori delle lastre di Monckhoven.
Per un anno passai le giornate a preparare le lastre necessarie allo studio di mio padre. A poco a poco, alcuni clienti chiesero di avere queste lastre e mio padre decise di abbandonare la professione di fotografo per diventare fabbricante delle lastre fotografiche di cui avevo messo a punto la formula. Cercammo per alcune settimane nei dintorni di Lione una fabbrica dove installarci. Mio padre era esigente, tutto ciò che vedevamo non era abbastanza grande. Alla fine decise per una vecchia cappelleria fondata da un certo Baton e chiusa dal 1855. [...]
Abbiamo cominciato la fabbricazione con una decina di operai sotto la mia direzione, pur continuando a cercare un procedimento migliore. Fu allora che scoprii la formula Étiquette bleue. Eravamo in quel momento in difficoltà. La fabbrica ci era costata molto e mio padre era sull'orlo del fallimento, con un passivo di 275.000 franchi. Un vecchio notaio molto pignolo ci prestò i 50.000 franchi che servivano per le nuove installazioni e per continuare l'attività. Le lastre Étiquette bleue furono molto più di un successo: furono un vero colpo di fortuna. Guadagnammo solo nel primo anno 500.000 franchi.
(L.L., 1946)



L'idea del cinematografo

Una sera del 1893 ho visto fra i baracconi di una fiera — la vogue, come la chiamano a Lione — uno strano apparecchio che mostrava, a una sola persona per volta e attraverso un vetro, una successione rapida di immagini fisse. Questo apparecchio potrebbe chiamarsi oggi kinetoscopio.
(L.L.)

Jules Marey aveva realizzato l'analisi delle immagini, noi realizzammo la sintesi. Demeny aveva mostrato un ritratto parlante in trenta immagini che chiamò fonoscopio. L'apparecchio di Edison, dal canto suo, permetteva la visione soltanto a una persona alla volta. Questo apparecchio, nel quale la pellicola era mossa da un movimento continuo, necessitava di un'enorme brevità di illuminazione di ogni singola immagine (1/600 di secondo). Questa durata non permetteva un flusso luminoso sufficiente alla proiezione. Pensai allora che sarebbero stati opportuni piccoli arresti della pellicola a ogni immagine. Riuscii a realizzarli grazie a un telaio che rallentava la velocità utilizzando le perforazioni della pellicola.
(L.L., 1926)

Da tre mesi circa facevo questi esperimenti quando mio fratello, che fino a quel momento mi aveva lasciato fare, si ammalò e fu costretto a letto per qualche giorno. Una mattina mi sono recato da lui per sapere come stava. Mi disse che durante la notte, non riuscendo a dormire, aveva rimuginato sulla questione e che pensava di aver trovato una soluzione razionale. Bisognava costruire un dispositivo che, agganciando la pellicola ferma, la trascinasse con un movimento accelerato e poi rallentato fino a una nuova immobilità durante la quale doveva avvenire la proiezione. Questa operazione doveva essere ripetuta quindici volte al secondo. Per arrivare a questo proponeva di utilizzare un movimento alternato, analogo a quello delle macchine per cucire, ottenibile attraverso un sistema di artigli che sarebbero penetrati nei buchi della pellicola trascinandola, per poi ritrarsi lasciandola ferma durante la proiezione; il tutto da ripetersi alla velocità richiesta.
(A.L.)

Io e mio fratello abbiamo compiuto le nostre prime ricerche nell'estate del 1894. A quell'epoca le ricerche di Marey, Edison, Demeny avevano già dato alcuni risultati, ma non era mai stata fatta una proiezione su uno schermo. Il problema principale era quello di trovare un sistema di trascinamento della pellicola del film. Mio fratello aveva pensato di utilizzare un cilindro scavato, simile a quello utilizzato da Leon Bouly in un altro apparecchio. Ma era un sistema rozzo. Non poteva funzionare, e non ha mai funzionato.
Ero malato, e dovevo stare a letto. Una notte in cui non riuscivo a dormire, ebbi improvvisamente chiara la soluzione. Si trattava di adattare alla condizione delle riprese il 'premistoffa' del dispositivo di trascinamento delle macchine per cucire. Realizzai il nuovo dispositivo per mezzo di un eccentrico circolare che ben presto sostituii con uno triangolare, già conosciuto per diverse applicazioni come eccentrico di Hornblower.
Mio fratello ha smesso di occuparsi della parte tecnica del cinematografo non appena io ho trovato un dispositivo adeguato per il trascinamento. E se il brevetto del cinematografo è stato preso con il nome di entrambi è perché abbiamo sempre firmato insieme i lavori di cui davamo notizia e i brevetti che depositavamo, sia che avessimo partecipato tutti e due, sia nel caso contrario. Io sono stato l'unico inventore del cinematografo, così come lui è stato l'unico autore di altre invenzioni brevettate con il nome di entrambi.
(L.L., 1948)

Dopo svariati tentativi, riuscii ad applicare un dispositivo che permetteva all'immagine di fissarsi per 1/25 di secondo e dunque permetteva la proiezione delle immagini su uno schermo e davanti a numerose persone. Il mio dispositivo era il cinematografo. Brevettammo la nostra invenzione il 12 gennaio 1895.
(L.L. 1935)

Fu il capo meccanico delle nostre fabbriche, il signor Moisson, a costruire il primo apparecchio seguendo le indicazioni che io gli davo mano a mano durante la realizzazione. E poiché all'epoca era impossibile trovare in Francia pellicole su celluloide trasparente, feci le prime prove con strisce di carta fotografica fabbricata da noi. La tagliavo e perforavo io stesso. I primi risultati furono eccellenti, come del resto sapete.
Erano strisce sperimentali. Le immagini negative su carta erano troppo opache per poter essere proiettate. Eppure riuscii ad animarle in laboratorio, guardandole in trasparenza, illuminate da una grande lampada ad arco. I risultati furono eccellenti.
Dovetti inviare un nostro caporeparto negli Stati Uniti ad acquistare della celluloide in fogli non sensibilizzati, alla New York Celluloid Company. Tornò a Lione con il materiale. Allora lo ricoprimmo di emulsione, lo tagliammo e perforammo con un apparecchio il cui avanzamento era studiato come quello della macchina per cucire, apparecchio costruito da Moisson.
(L.L., 1948)

Un problema era quello della resistenza delle pellicole. I film su celluloide erano allora una novità di cui si ignoravano le caratteristiche e le proprietà. Cominciai allora a fare regolari esperimenti trapassando la pellicola con aghi di diametri differenti, ai quali sospendevo pesi sempre maggiori. Giunsi in questo modo a conclusioni interessanti, come per esempio il fatto che il buco poteva essere tranquillamente più grande dello spillone che lo attraversa e resistere bene quanto nel caso che fosse esattamente delle dimensioni dello spillo.
(L.L., 1948)



I primi film e le prime proiezioni

Realizzai il mio primo film alla fine dell'estate del 1894: Sortie d'usine. Le donne hanno vestiti estivi e gli uomini portano cappelli di paglia. D'altro canto ci voleva un bel sole per girare la scena, perché l'obiettivo era poco luminoso, e non avrei potuto dunque girare la scena in inverno o alla fine dell'autunno. Sortie d'usine fu proiettata per la prima volta in pubblico a Parigi, rue des Rennes, alla Société d'Encouragement pour l'Industrie nationale. Era il 22 marzo 1895. La proiezione avvenne al termine di una conferenza voluta dall'illustre fisico Mascart, membro dell'Institut, allora presidente della società.
(L.L., 1948)

Dopo Sortie d'usine, abbiamo cinematografato le nostre nipotine in giardino, poi un incendio, delle gare a cavallo, delle scene sulla spiaggia. Ho un ricordo abbastanza divertente che risale al Congresso della Fotografia di Lione del 1895. Tutti i congressisti erano andati in gita sul fiume Saòne. Io sbarcai per primo, ripresi la loro discesa dal battello e la mostrai loro l'indomani. Furono molto stupiti. Lo stesso giorno tentai una sincronizzazione abbastanza semplice e primitiva: feci recitare al signor Janssen un monologo mentre lo riprendevo. Feci la stessa cosa con il signor La-grange e l'indomani proiettai questi due film mentre i due protagonisti, nascosti, recitavano il monologo del giorno prima. Non è curioso questo primo tentativo di sincronizzazione?
(L.L., 1920)

Sono stato il primo operatore. Il metodo più pratico per fare delle esperienze di movimento era di sistemarmi vicino al portone della fabbrica all'ora in cui escono gli operai. Era il 1894. L'anno seguente, in marzo, ho fatto la prima proiezione pubblica alla Société d'Encouragement a rue de Rennes. Provocò stupore ed entusiasmo. Mi chiesero di ripeterla. Ma non avevo l'apparecchio per riavvolgere. Allora feci quest'operazione a mano. Continuai le mie ricerche per la messa a punto e il miglioramento dell'apparecchio iniziale. L'estate, nel Midi, a La Ciotat, approfittai del sole per filmare l'arrivo del treno alla stazione, della nave nel porto. Ripresi mia cognata e mio cognato che davano la pappa ai loro bebè, i bambini che pescavano i pesci rossi... delle scenette familiari, insomma. L'apparecchio permetteva di impressionare i negativi, sviluppare i positivi e proiettarli. Le pellicole venivano esposte utilizzando come sorgente luminosa un muro coperto da una tela bianca e illuminata dal sole. Lo sviluppo si faceva dentro a dei secchi. L'asciugatura su delle corde, alla meglio.
(L.L., 1926)





Abbiamo messo in scena qualche film comico al quale partecipavano parenti, amici, impiegati, come ad esempio Le Photographe, una scenetta che aveva come protagonisti mio fratello Auguste e il fotografo Maurice, che sarebbe in seguito diventato il nostro concessionario del cinematografo del Grand Café. Poi ancora Charcuterie américaine. Mostravamo una macchina per fare le salsicce. Si metteva un maiale da una parte e le salsicce uscivano dall'altra, e viceversa. Io e mio fratello ci siamo divertiti moltissimo a costruire questa macchina, nella nostra proprietà di La Ciotat, e vi abbiamo fatto scrivere sopra "Crack, salumiere di Marsiglia".
(L.L., 1948)

[Partie d'écarté]
I protagonisti sono mio padre, Antoine Lumière, che si accende un sigaro. Di fronte a lui il suo amico prestigiatore Trewey che dà le carte. Trewey fu anche l'organizzatore, a Londra, delle rappresentazioni del cinematografo, e prese parte anche ad altri film, Assiettes tournantes ad esempio. Il terzo giocatore, quello che versa la birra, è mio suocero, fabbricante di birra, signor Winkler, di Lione. Il cameriere è quello della casa. È nato a Gonfaron. Un meridionale purosangue, allegro e pieno di spirito, che ci intratteneva con battute e storielle.

[Arrivée d'un train à La Ciotat]
L'ho girato nella stazione di La Ciotat nel 1895. Si vede sul marciapiede una bambina che saltella, tenuta per mano dalla madre e dalla tata. È la prima delle mie figlie, signora Trarieux, e ora è quattro volte nonna. Mia madre, che le accompagnava, è riconoscibile dalla mantellina scozzese.

[Démolition d'un mur]
L'ho girato nella nostra fabbrica di Montplaisir dove stavamo facendo dei lavori. L'uomo in maniche di camicia che dirige gli operai è mio fratello Auguste. Al Grand Café, a partire dal gennaio del 1896, si proiettava il film invertendo il senso dello scorrimento della pellicola, così che sembrava che il muro si costruisse da solo, sorgendo da una nuvola di polvere. Fu il primo trucco cinematografico.

[Repas de bébé]
Fu girato nel nostro giardino a Lione. Sono mio fratello Auguste e sua moglie accanto alla loro bambina.

[Arroseur et arrosé]
Anche se non ricordo in maniera precisa, credo che l'idea del soggetto mi fosse suggerita da un episodio riguardante mio fratello piccolo Édou-ard, che abbiamo disgraziatamente perso durante la guerra 1914-1918 in cui era aviatore. Ma all'epoca era troppo giovane per impersonare il bambino che mette il piede sul tubo per annaffiare. Lo sostituii con un giovane apprendista del laboratorio di falegnameria, Duval, morto dopo essere stato per quarantadue anni capo della sezione imballaggi della fabbrica. L'annaffiatore era il nostro giardiniere, signor Clerc, ancora vivo dopo essere stato, anche lui, impiegato per quarant'anni nella nostra fabbrica. Si è ritirato in pensione dalle parti di Valence.




La séance del Grand Café

Il 28 dicembre 1895 presentai i miei film nel salone sottostante il Grand Café di boulevard des Capucines a Parigi. Quella rappresentazione fu il primo spettacolo di cinema del mondo. L'incasso ammontò alla somma ridicola di 35 franchi. L'industria del cinema ha debuttato su basi economiche poco confortanti! Eppure oggi l'incasso quotidiano dei cinema in tutto il mondo è di 125 milioni di franchi! Quello spettacolo eccezionale attirò presto le folle. Tre mesi dopo, la polizia doveva fare servizio d'ordine davanti alla porta.
(L.L., 1935)

Quando ho creato quel giocattolino che si chiama cinematografo Lumière, nel 1895, io e mio fratello abbiamo pensato che potevamo tentare di mostrarlo al pubblico; è stato allora che abbiamo aperto, con la collaborazione di Clément Maurice, che mio padre conosceva bene, il piccolo locale sotto al Grand Café, dove sono state fatte le prime proiezioni. Ma anche in quel caso non mi sono affatto occupato dell'impresa. L'evento attirò le folle, suscitò enorme interesse e curiosità che andarono poi lentamente scemando. Bisognava inventare qualcos'altro. Ma noi non eravamo in grado di sfruttare commercialmente il cinematografo. Avevamo altre questioni allo studio nella nostra fabbrica, che ci assorbiva comunque molto, anche solo per il funzionamento quotidiano. Eravamo soprattutto, e prima di tutto, dei chimici, dei fisici, dei fabbricanti di lastre e di carte fotografiche, e non potevamo pensare a produrre film di una certa importanza. Del resto a quell'epoca non era venuto in mente a nessuno.
(L.L., 1935)

Io non c'ero alla prima prima rappresentazione del Grand Café. Se mai quella frase fu pronunciata ["Il cinema non ha futuro", ndr], il 28 dicembre 1895 rivolta a Méliès, fu per bocca di mio padre Antoine Lumière. E tuttavia, per quanto mi riguarda, è vero che non pensavo che la gente sarebbe potuta rimanere delle ore a guardare il cinematografo.
(L.L., 1948)

Istruii degli operatori alle officine. Il primo operatore fu Félix Mesguich, che avrebbe poi fatto il giro del mondo con la sua macchina per immagini e organizzato, il 18 giugno 1896, il primo spettacolo in America. Gli operatori si chiamavano allora proiezionisti. Questo mestiere nuovo suscitò ben presto entusiasmi. Consideravo il cinema come un gioco e non come un affare. Io fornivo l'apparecchio. Il proprietario della sala pagava l'operatore, poi ci dividevamo il guadagno. Quella contabilità semplice ed onesta era ben lontana dagli espedienti frenetici e misteriosi dell'industria cinematografica attuale.
(L.L., 1935)