Maladie d'amour

Maladie d'amour

“Il mal d'amore è una malattia. Il medico non può guarirla”


Le storie spinte all'estremo sono le più esaltanti. E poi, quando si scrive, quando si filma, è piacevole far soffrire i personaggi al nostro posto. Ogni tanto sento qualcuno che mi dice di essere rimasto sconvolto dalla Signora della porta accanto, mentre io mi sento in uno stato di euforia.
François Truffaut, Tutte le interviste di François Truffaut sul cinema, Gremese, Roma 2005


Quello dell'amour fou, nell'ultimo Truffaut, è un tema forte. L'amore come malattia, in genere nella forma narrativa del triangolo, già costruiva film come Jules e Jim, La calda amante, Le due inglesi. Ora La signora della porta accanto si nutre di una carica affettiva inconsueta, corporea. Non è un caso che Truffaut sottolinei come la figura di Fanny Ardant gli abbia subito ricordato le sorelle Brontë, cui già si era interessato ai tempi di Le due inglesi. Con lei e lontano da lei, il personaggio di Depardieu, un uomo forte che diventa debole, come il Louis/Belmondo di La mia droga si chiama Julie. Un personaggio che prima, con grande lucidità, afferma che Mathilde appartiene a quel genere di donne che “va chercher midi à quatorze heure” – espressione idiomatica per dire che va a cercare difficoltà anche dove non ce ne sono – e poi la prende a botte, esplodendo di rabbia.
Alberto Barbera, Umberto Mosca, François Truffaut, Il Castoro Cinema, Milano 1995


Come Adèle Hugo, che non ha esitato a varcare l’oceano per raggiungere il tenente Pinson, e Julien Davenne, che rifiuta ostinatamente la morte trasformandola nella sua unica ragione di vita, Mathilde e Bernard sono affetti dalla patologia dell’inseparabilità. Ciò che tuttavia li distingue nella loro comune ossessione è che essi ne hanno in qualche modo coscienza e terrore, e a turno cercano di opporre resistenza. È la prima volta che Truffaut costruisce un film sulla passione assoluta facendo lottare i protagonisti contro se stessi e la forza bruta che li divora. […] Ma nessuno sfogo violento e rabbioso in pubblico, nessun rito simbolico, nessun esorcismo, nessuna magia può liberare Mathilde da Bernard e Bernard da Mathilde. Contro la violenza di una passione 'inspiegabile' rimane solo la morte, e la morte arriva nel momento della massima fusione dei corpi, in una delle immagini più audaci e scioccanti di tutto il cinema di Truffaut. Dopo i mondi a parte di Adèle Hugo e Julien Davenne, il regista porta il tema dell’inseparabilità dalla sfera ideale a quella reale, addirittura carnale, ma solo per far cadere l’ultima barriera: "né con te né senza di te" frantuma definitivamente qualsiasi illusione sull’amore assoluto. Di amore assoluto si impazzisce, si muore, si uccide.
Paola Malanga, Il cinema di Truffaut, Baldini+Castoldi, Milano 2001


Vent'anni dopo Jules e Jim, il ventesimo lungometraggio di Truffaut La signora della porta accanto (in realtà della “casa” accanto, ma non drammatizziamo) è, nel 1981, il suo penultimo film e il suo ultimo d’amour fou. Nel frattempo c'erano stati altri incontri con la passione ‘eccessiva’, totale, come La mia droga si chiama Julie e Adèle H. Non c’è dubbio però che La signora della porta accanto sia di tutti il più radicale, quello dove il desiderio è più violento ed estremo, sottoposto al binomio Eros-Thanatos che procede rettilineo, stringendo gli amanti in una morsa che li distrugge. “L'amore è una guerra” aveva scritto Jacques Rivière nel romanzo Aimée. All'epoca del film Truffaut gli faceva eco: “In amore ci si scambiano spesso colpi d’una violenza terribile... Se dovessi rifare oggi Jules e Jim, non sarei più così idillico”. […] Rispetto ai film precedenti, la novità di base è che qui si tratta d'una passione ‘di ritorno’. Bernard e Mathilde si sono già incontrati e scontrati, posseduti e sbranati otto anni prima. […] Oltretutto La signora della porta accanto è depurato d’ogni implicazione ‘gialla’. In esso non v'è ‘mistero’, l’unico vero mistero essendo l’inesplicabilità dell'amore, e dato che “senza amore non si è niente” – come affermerà Mathilde al colmo della disperazione – anche della vita. È il film dove il pessimismo di Truffaut si spinge più a fondo.
Ugo Casiraghi, Vivement Truffaut! Cinema, libri, donne amici, bambini, Lindau, Torino 2011


Nel cinema di Truffaut, popolato di personaggi scossi fino alla patologia dal desiderio assoluto, l’amour fou non è certo un tema nuovo: è la prima volta, però, dopo storie di passione a tre (Jules e Jim, Le due inglesi) e solitarie (Adele H., La camera verde), che ne vediamo gli effetti devastanti su una coppia. […] Non c’è spazio che non sia invaso dal caos selvaggio dell’amour fou: supermercati, parcheggi, alberghi, circoli di tennis, isole esotiche, persino i posti di lavoro di Bernard e Philippe, come non c’è tempo che si sottragga davvero alla sua influenza: tutte le ore del giorno e tutte le ore della notte, i momenti famigliari, ricreativi, professionali, gli attimi di solitudine e quelli trascorsi con gli altri sono costantemente minacciati da possibili attacchi improvvisi. Nulla e nessuno può minimamente arginare la carica distruttiva che travolge i due amanti, nemmeno i rispettivi coniugi, così saggi, comprensivi e tolleranti. Nemmeno una comunità così aliena da giudizi, pregiudizi e pettegolezzi come il club della signora Jouve. Ma in questa ineluttabilità c’è una differenza fondamentale tra La signora della porta accanto e i precedenti film truffautiani ‘fino all'estremo’, ed è su tale differenza che si accorciano pericolosamente le distanze tra pubblico e personaggi.
Paola Malanga, Il cinema di Truffaut, Baldini+Castoldi, Milano 2001


Fino al Diciottesimo secolo, gli amanti separati si lasciavano morire di languore, oggi si disfanno, e anche se nel film questa parola non viene mai pronunciata è ben di questo che si parla. Questo decadimento fisico e morale che porta le vittime dell'amore fino in clinica, sottoposte alla cura del sonno, alle terapie chimiche, in alcuni casi, all'elettrochoc, è molto frequente ai giorni nostri; basta guardarsi attorno, leggere le cronache dei giornali; mentre mi è parso che il cinema, a torto o a ragione, non l'avesse mai preso in esame. Negli Stati Uniti, è normale vedere, nel corso di un party, gli ex mariti della padrona di casa fraternizzare con il nuovo marito. Cosa che succede raramente in Europa dove, nonostante le mode americane e l'allentamento delle costrizioni legali, le separazioni restano spesso dolorose, anche con il trascorrere degli anni. “Tu sai cosa sono le pene d'amore?” chiede Mathilde ad un ragazzino. Quando una storia d’amore finita male ci lascia straziati, a brandelli, siamo convinti che l’infelicità si legga sul nostro volto e, ossessionati da quello che dobbiamo chiamare il nostro lutto, arriveremo al punto di portare degli occhiali neri. Ci domandiamo chi siamo e la risposta è nessuno, niente, io non esisto più. Tutto, intorno a noi, ci dà l'impressione di rapportarsi al nostro dramma. Un cuore disegnato in gesso su un muro è stato tracciato là per prenderci crudelmente in giro. Ci domandiamo: dove vanno tutte queste auto e tutte queste persone che camminano per strada? Ciascun film, ciascun romanzo, sempre che siamo ancora in grado di vedere e di leggere, sembra parafrasare la nostra pietosa avventura, ogni canzone sentita alla radio parla di noi, denuncia i nostri errori e conferma il nostro annientamento: senza amore non si è niente.
François Truffaut, dal pressbook originale del film


Un uomo che narra una storia come quella di La signora della porta accanto è per me un’anima gemella. François pensava che si potesse morire d’amore e ha voluto dirigere un film moderno sulla passione, perché la gente ritiene che sia roba da letteratura classica: Tolstoj, Stendhal, Balzac. Ma lui diceva: basta aprire il giornale e leggere la cronaca nera, tanta gente ancora oggi muore per passione. Molti lo trovano ridicolo, ma io credo che ci siano due tipi di morti: quella di Anna Karenina, che si getta sotto un treno, e quella dell’anima, in cui fisicamente sopravvivi ma muori dentro. E quando vengo a sapere che qualcuno soffre per una pena d’amore non prendo mai la cosa alla leggera. Che sia adolescente, giovane o vecchio, lo ascolto.
Fanny Ardant, Non esiste passione sprecata, anzi: più ami, più rimani vivo, intervista di Paola Casella, “Io Donna”, 29 luglio 2019