Fanny e Gérard

Fanny e Gérard

Diciamo che mettere uno di fronte all’altra un uomo e una donna che si sono già amati nel passato è un tema che avevo in mente da diversi anni e sul quale prendevo vari appunti. A quel tempo l’abbozzo si chiamava Sur les rails [In carreggiata] – non era certo un gran bel titolo! Avevo solo bisogno di trovare la coppia ideale. Ho pensato a Fanny Ardant dopo aver visto alla televisione Les Dames de la côte. Ho immediatamente sentito il desiderio di lavorare con lei. È stato subito prima
di iniziare le riprese dell’Ultimo metrò, con il quale peraltro ho avuto l’impressione di non avere ottenuto il massimo da Gérard Depardieu, non foss’altro perché era solo uno dei sette personaggi del film, e nemmeno il più importante. Avevo voglia di fare un altro film con Gérard anche perché sul set dell’Ultimo metrò ero andato meravigliosamente d’accordo con lui. Quindi, la sera della premiazione dei César ho presentato Fanny a Gérard. A partire da quel momento, ho rimesso mano
alla mia idea, che fino a quel momento era soprattutto la storia di un esaurimento nervoso provocato dalla rottura di una relazione.
François Truffaut


Durante l'inverno del 1979, come milioni di francesi, Truffaut si fa coinvolgere dalla serie in cinque episodi trasmessa da Antenne 2, Les Dames de la côte. Questa saga copre buona parte della storia del secolo scorso, attraverso le gioie e i dolori di una famiglia francese. Il cast è prestigioso: Edwige Feuillère, Françoise Fabian, Martine Chevalier, Évelyne Buyle e Francis Huster. La parte principale femminile è interpretata da Fanny Ardant, un'attrice di trent'anni proveniente dal teatro, poco conosciuta al cinema. [...]
Il primo incontro avviene quando il cineasta si appresta a girare L'ultimo metrò. “Il prossimo film sarà per lei”, promette a Fanny Ardant. Poi si rivedono regolarmente, a pranzo nella panetteria dell'angolo fra Rue Marbeuf e Rue Robert-Estienne, uno dei posti preferiti dal cineasta. Parlano del prossimo film, già in corso di scrittura, e imparano a conoscersi. Figlia di un colonnello di cavalleria, nata a Saumur, Fanny Ardant ha inizialmente seguito suo padre nelle diverse missioni attraverso l'Europa, specialmente in Svezia, dove il colonnello Ardant è addetto militare, poi, a partire dagli anni Sessanta, a Monaco, dove è uno dei consiglieri della guardia personale del principe Ranieri. La ragazza viene educata secondo i dettami della tradizione aristocratica, “alla Don Chisciotte”, dirà lei stessa. Anche se la famiglia non è molto ricca, conduce una vita lussuosa: scuole private, importanti licei francesi all'estero, balli in abito da sera, corse di cavalli... All'età di vent'anni, Fanny Ardant segue un corso triennale alla facoltà di scienze politiche di Aix-en-Provence, dove redige una tesi intitolata Le Surréalisme et l'Anarchie. In seguito si stabilisce a Parigi, dopo un breve soggiorno a Londra. Ma il teatro la distoglie dalla carriera universitaria a metà degli anni Settanta. Segue un corso di arte drammatica, la scuola Perigoni, prima di ottenere le sue prime parti: in Poliuto di Corneille allestito nel 1974 nell'ambito del Festival del Marais a Parigi, in cui interpreta Pauline; poi in Il gran maestro di Santiago di Montherlant, in Ester di Racine, in Elettra di Giraudoux e in Testa d'oro di Paul Claudel. L'anno seguente, Mag Bodard e Nina Companeez le affidano la parte principale di Les Dames de la côte.
In seguito, parlando di Fanny Ardant, Truffaut confesserà di essere stato sedotto “dalla sua grande bocca, dalla voce bassa con intonazioni particolari, dai grandi occhi neri e dal viso triangolare”. Ama questa vitalità nella recitazione, l'entusiasmo e l'umorismo, questo “gusto del segreto, [...] un pizzico di selvatico e, al di sopra di tutto, un qualcosa che vibra”.
Antoine de Baeque, Serge Toubiana, François Truffaut. La biografia, Lindau, Milano 2003


Fanny Ardant è lontana dalle eroine alla Hitchcock. Bellezza aperta, dalla sensualità modulata da un'astuta intelligenza parigina (la si ammiri nel gesto gioioso con cui reagisce allo strappo della sottana nella sequenza della festicciola). Un volto irregolare che può esprimere emozioni intense, un corpo caldo che rende plausibile la metafora del letto come “campo di battaglia”, solo suggerito, dal riserbo truffautiano, in luogo della rappresentazione diretta, ma che risulta non meno efficace. Associandola a una béte au cinéma quale Gérard Depardieu, reduce appunto da L'ultimo metrò (e in altra occasione dispostissimo a recitare anche nudo), il regista crea una coppia adatta a incarnare il legame – tra attrazione, indecisione e sofferenza – condotto all'estremo. Un'altalena maschile-femminile dove i ruoli s'invertono e si confondono, dove alternativamente si è deboli o forti, ma dove inesorabilmente, nonostante ogni tentativo di evasione, si restringe il margine di salvezza. E chi soffre di più è come sempre la donna, perché in amore gli uomini sono regolarmente più lenti, vili e restii a capire.
Ugo Casiraghi, Vivement Truffaut! Cinema, libri, donne amici, bambini, Lindau, Torino 2011


Volevo lavorare con Depardieu da quando l’ho visto in un piccolo ruolo in Stavisky, il grande truffatore, nel 1973. C'è una scena in cui incrocia per le scale Belmondo, che impersona Stavisky, e scambia alcune parole con lui. Ecco, per me questa scena ha simbolizzato l’incontro di due generazioni di attori. Non che la carriera di Belmondo sia finita, ma era il debutto di quella di Depardieu. Prima, gli attori non si sarebbero mai sognati di apparire senza essere almeno parzialmente vestiti. Dopo il ’68, erano capaci di apparire nudi come Depardieu nei Santissimi. […] [Depardieu è un attore con cui] si ha voglia di fare tutto. Nel momento stesso in cui gira una scena, te ne ispira un’altra. Non si accontenta di recitare, è dotato di una presenza favolosa che distende l'atmosfera [...] e non fa mai niente per affermare la sua virilità... recita con la sua parte femminile e questo lo diverte.
François Truffaut, Tutte le interviste di François Truffaut sul cinema, Gremese, Roma 2005


La signora della porta accanto è stato un'impresa di passione, condotta con passione sublime. Mi è sempre piaciuta molto Fanny Ardant: le persone che hanno davvero stoffa si riconoscono subito. Lavorare con Fanny era magnifico. Sembrava di essere in un libro di de Musset. C'era soltanto una breve storia, quaranta pagine. Non c'era dialogo, ma soltanto l'indicazione di quel che gli attori avrebbero potuto dire. E i testi venivano scritti di giorno in giorno o durante il weekend. Cose che fa soltanto la gente sotto pressione. Le violenze di François erano violenze erotiche, quasi sensuali e sessuali. Gli dico: "Ma François, tu non ti rendi conto, non potrei mai dare una sberla a Fanny!”. E lui: “Ah sì, dici? Ma dai, un bel ceffone...”. Ho imparato da lui a liberarmi dal pudore fisico. Hanno potuto così svilupparsi quei caratteri femminili che sono pudori dell'infanzia, e raramente emergono in superficie. Su questo esercizio del pudore è stato lui il più forte. Il momento in cui Bernard, il mio personaggio, diventa pazzo, era difficile da interpretare: era un fatto talmente fisico, voleva dire rimettere in causa i propri amori infantili. È stata una terapia violenta, per me. Nella passione non vi sono limiti, è il discorso romantico per eccellenza, ed è anche un discorso schizoide: “Ti amo, ti uccido”. La signora della porta accanto è questo. Con François, eravamo sulla stessa frequenza. C'era una violenza magnifica. La naturalezza si conquista quando si è posseduti dal suo desiderio. È raro. E lui era così. Aveva una grandissima intelligenza cinematografica, e una grande innocenza. Un giorno, prima della Signora della porta accanto, mi disse: “Bene, allora ti tagli i capelli, vero, perché la principessa Grace ti preferisce con i capelli corti!”.
Gérard Depardieu, Il romanzo di François Truffaut, Ubulibri, Milano 1987