Jean Renoir: un profilo

Jean Renoir: un profilo

Jean Renoir è nato il 5 settembre 1894 a Parigi. Secondo figlio del pittore Auguste Renoir, si è confrontato molto presto con il mondo dell'arte e dello spettacolo la cui l'influenza si è esercita sulla famiglia intera: suo fratello maggiore Pierre è attore, suo fratello minore Claude, produttore e il nipote Claude Renoir junior, direttore della fotografia. Nel 1902 entra al collège Sainte-Croix a Neuilly dove svolge i suoi studi secondari e scopre il cinema. Nel 1914, fa il servizio militare. È in occasione di un permesso che vede Les Mystères de New York ed i film di Charlie Chaplin che sono per lui una vera e propria rivelazione. Ferito alla gamba destra, viene riformato nel 1915. Si arruola come osservatore nell'aviazione e termina la guerra come tenente-pilota. Nel 1919, sposa Catherine Hessling, modella di suo padre. Su suo consiglio, apre un atelier ed esercita il mestiere di ceramista fino al 1923. Debutta nella regia nel 1924 con La Fille de l'eau. Gli anni '30 e l'avvento del sonoro segnato il debutto della sua vera carriera. Le Bas-fonds (Verso la vita), la Grande illusion e La Bête humaine (L'angelo del male) lo consacrano tanto in Italia quanto all'estero.


Jean Gabin e Jean Renoir sul set di 'Le bas-fonds' (1936)


Un profilo di Renoir firmato da Goffredo Fofi:

"C'è in La Règle du jeu (La regola del gioco, 1939) una battuta famosa della proprio dal regista, qui anche in veste di attore: 'Quel che è più terribile, su questa terra, è che tutti hanno le loro ragioni'. Si può partire da qui per cercare di capire il 'mistero Renoir', o almeno la varietà, con tutti i suoi accadimenti, della sua lunga attività di regista. Renoir (Parigi 1894 - Los Angeles 1979) è un onnivoro, dotato di forte capacità mimetica, che ha affrontato con egocentrica autonomia esperienze le più diverse. La decadente avanguardia simbolista degli anni venti (La Fille de l'eau, 1926; Charleston, 1927; La Petite marchande d'allumettes, 1928), che è il 'cinema colto' del suo tempo e del suo paese. Ma già, contemporaneamente, film i più commerciali, tra i quali una farsa militare, Tire au flanc (1928), notevole per la presenza di un positivo stordito tra i personaggi. Due adattamenti da classici ottocenteschi, quel Nana (1926) che lo riconcilia, dopo la breve presa di distanza avanguardista, con il mondo del/dei padre/i e con la tradizione, e un antesignano del 'cinema di qualità' alla francese, Madame Bovary (1924), di corposa teatralità naturalistica. Un confuso 'giallo' da Simenon, in quella provincia francese che continua a nascondere 'nidi di vipere', La Nuit du carrefour (1933). Un film, che segna l'inizio della miglior stagione del regista, La Chienne (La cagna, 1931), e che sacrifica a modelli weimariani (il 'film di strada'), ma con una possente descrizione di ambienti parigini e con un attore-feticcio, Michel Simon, che ritorna in Boudu sauvé des eaux (Boudu salvato dalle acque, 1933), pieno della divertita retorica dei clochards per vocazione, satira anche di un personaggio intellettuale (il libraio che dal clochard è affascinato e vorrebbe rieducarlo) che ha quel tratto alla 'Anatole France', e Chotard et C.ie (1933), farsa sui bottegai, anch'essa di simpatico realismo.
Del '34 è Toni, cupo dramma contadino provenzale, che parte da Pagnol per fare tutt'altro, tragedia di sensualità e incrocio di destini, mediterranea e nera, girata con una immediatezza, una scioltezza, una spontaneità che davvero preludono al neorealismo. Ma subito dopo, è il '35, c'è Le Crime de Monsieur Lange (Il delitto del signor Lange), scritto da Prévert, squisita pittura populista del piccolo mondo di un cortile parigino, tra operai tipografi e sartine, padroni sudici e bislacchi e speranze cooperative, culminante con un giusto delitto premiato dalla solidarietà proletaria.




È il breve, intenso periodo delle speranze del Fronte popolare, e nel '36 Renoir costruisce per il Partito comunista francese un film di propaganda elettorale, La Vie est à nous, che pesca a piene mani dalle esperienze militanti e documentarie più diverse, prima tra tutte quella del prevertiano Gruppo Ottobre. Il '36 è ancora l'anno di Les Basfonds (Verso la vita), adattamento da Gor'kij, mescolanza curiosa di umori russi e francesi, virati da una sorta di esistenzialismo che odora di insincerità. Ma è anche l'anno di Une Partie de campagne (La scampagnata), incompiuto gioiello impressionista, viaggio nella natura e nei sensi, con una finale malinconia già un po' manierosa.
Renoir si adatta, si mimetizza. Spera e dispera, sorride e piange, si mescola alla vita dei suoi personaggi con curiosità e affetto sempre, ma sempre con una spiritosa distanza. Pesca dove la curiosità (e l'occasione) lo spinge. Rompe i canoni e ne costruisce di nuovi. E nuovo è nella vivace mobilità degli esterni, nella corale definizione dei personaggi, nella svagata presa di contatto con la realtà, anzi con più realtà, che egli sonda da gran signore apparentemente pacioso, disponibile, aperto. Dalle sue molte tentate adesioni al mondo che volta per volta narra nasce il suo fascino ambiguo, film per film.
Scopre le sue carte veramente solo nei tre film successivi, cui La Bête humaine (L'angelo del male, 1938) funge da parentesi infine pessimistica sui destini di un proletario morso internamente dalla malattia che, ben più che l'eredità di follia di Lantier (Jean Gabin), è già l'impossibilità reale di avere in sé forza sufficiente a cambiare il mondo. In La Marseillaise (La Marsigliese, 1938), pur finanziato nel '37 con una sottoscrizione popolare gestita dai sindacati e dal Pc, l'affresco storico dà a tutti 'le loro ragioni', monarchi e popolani, nobili e giacobini, ma con un michelatiano afflato nazionale di grandeur unanimista. La Grand illusion (La grande illusione, 1938) unisce ancora le classi, dentro una prigione tedesca per francesi della prima guerra mondiale, ma per una volta Renoir sembra pienamente sincero quando, nei personaggi del nobile francese (Fresnay) e del nobile tedesco (Stroheim), esprime infine la sua ottica (e solidarietà) alto-borghese sui casi della storia e sulla fine di una classe, o meglio, della cultura di una classe che è la sua.




La Règle du jeu
(1939), il capolavoro, è un marivaudage sulla fine insipiente della borghesia francese, un balletto in cui servi e padroni si equivalgono - servi e padroni, un tema già toccato in Nana, e che tornerà ancora in Diary of a Chambermaid (Il diario di una cameriera, 1946), in La carrozza d'oro (1952) e ancora altrove -, più corposi gli uni, più sfatti gli altri. Renoir dà a se stesso la funzione di malinconico commentatore della fine di un tempo. Poi è la guerra, l'esilio americano, dopo un tentativo nell'Italia fascista di una Tosca abortita. Ancora una volta, Renoir di adatta. Il suo modo di girare non è del tutto gradito alla precisione della macchina hollywoodiana, ma tuttavia se la cava, scende a qualche patto e nel '45, con The Southerner (L'uomo del sud) annuncia una nuova svolta.
La sua reazione a una guerra vista da lontano ora ha, pure ancora unanimista, un senso vagamente religioso, certo spiritualista, che accentuerà nel '51 The River (Il fiume), girato in India. Un pacato capolavoro, semplice con solennità".

(da I grandi registi della storia del cinema: dai Lumière a Cronenberg, da Chaplin a Cipri e Maresco, Donzelli, Roma 2008)


Negli anni '50 realizza altri grandi film quali French Cancan (id., 1955), Elena et les hommes (Eliana e gli uomini, 1956), Le Déjeuner sur l'herbe (Picnic alla francese, 1959) e Le Testament du docteur Cordelier (Il testamento del mostro, 1959), ispirato al Dottor Jekyll e Mister Hyde di Stevenson, realizzato per la televisione. Gli ultimi film sono Le Caporal épinglé, da Jacques Perret (Le strane licenze del caporale Dupont, 1962), Le Petit Théâtre de Jean Renoir (Il teatrino di Jean Renoir, 1969-1971). Si dedica alla scrittura e pubblica un libro su suo padre, Renoir, mon père (Renoir, mio padre, 1962), la propria autobiografia, Ma vie et mes films (La mia vita e i miei film, 1974), Écrits 1926-1971 (1974), pièce di teatro come Orvet (1955) e alcuni romanzi (Les Cahiers du capitaine Georges, 1966; Le Crime de l'Anglais, 1979).

Nel 1975 riceve un Oscar alla carriera e l'onorificenza di Commandeur della Legion d'onore nel 1977. Muore a Beverly Hills, dove risiedeva, il 12 février 1979. Viene sepolto a Essoyes nell'Aube, accanto a suo padre.