Dietro le quinte: il confronto Stroheim-Gabin

Dietro le quinte: il confronto Stroheim-Gabin

Per circa due anni Jean aveva spalleggiato senza cedimenti Renoir e Spaak nella loro impresa di realizzare un film di cui nessun produttore voleva sentir parlare. Jean si accanì a difendere il progetto mettendoci tutto il peso del suo prestigio e sia Renoir che Spaak hanno sempre riconosciuto all'attore il grande merito di questo atteggiamento, tanto più che Jean aveva contemporaneamente altre proposte di lavoro più affidabili e remunerative di La Grande illusion, almeno sulla carta.




Finalmente si trovò un produttore, Frank Rollmer (RAC Réalisation d'Art Cinématographique) grazie alla devota mediazione di un autorevole amico di Renoir, Albert Pinkévitz, ispiratore del personaggio interpretato da Carette. Quando Gabin venne a sapere della fortuita scrittura di Stroheim, pur constatando le profonde modifiche alla sceneggiatura che la nuova presenza comportava, non si adombrò affatto: aveva fiducia in Renoir e si rendeva conto che l'opera ne avrebbe guadagnato. Fu proprio così ma non a vantaggio di Gabin. Il nucleo iniziale del copione era la contrapposizione tra Maréchal e de Boëldieu, che si prolungò e complicò con l'avvento fondamentale dell'ufficio aristocratico von Rauffenstein. I rapporti di casta fra costui e de Boëldieu finirono per sovrastare quelli fra quest'ultimo e Maréchal. Nello stesso tempo il ruolo di Rosenthal si dilaterà al punto che sarà lui a evadere con Gabin.

Renoir seppe esprimere in modo chiaro il significato di questo finale: il mondo non ha più bisogno dei von Rauffenstein e dei de Boëldieu e l'avvenire appartiene ormai alla borghesia (Rosenthal) e al proletariato (Maréchal) condannati, al di là del cameratismo di soldati e prigionieri, all'incapacità di abbattere l'antagonismo di classe. Un altro che non fosse stato Gabin avrebbe potuto protestare, come faceva spesso, di fronte a modificazioni che sminuivano il suo personaggio. Addirittura avrebbe potuto sentirsi tradito da Renoir. Invece non fece mai trasparire alcun disagio: per lui la cosa essenziale non era la sua parte ma la qualità del film. Le uniche riserve se le permise sull'atteggiamento sviolinante che Renoir riservava a Stroheim: “Ce la mette tutta col crucco”.




Non aveva molti rapporti con Stroheim e certo i due uomini non si piacquero. Jean non si faceva incantare dal bluff Stroheim, lo trovava atteggiato e diceva che “recitava guardandosi allo specchio”, cosa non del tutto falsa. In cambio aveva un ottimo rapporto con Pierre Fresnay, tanto più che era stato lui ad indurre Renoir a sceglierlo. Precedentemente il regista aveva offerto la parte a Pierre-Richard Willm, che aveva rifiutato “non trovando il ruolo sufficientemente ricco ed interessante” (ma era prima delle modifiche legate all'arrivo di Stroheim). La parte era stata proposta anche a Louis Jouvet, che però era impegnato.

André Brunelin, Gabin, Arsenale, Venezia 1988