Lo spettatore che sapeva troppo

Non racconteremo Vertigo. Non vogliamo sciupare nessun piacere. Ma chi vedrà il film per la prima volta sappia che la 'chiave' dell'enigma (un flashback abbastanza grossolano ma che spiega tutto) si trova un po' dopo la prima metà del film. Un bel paradosso questa falsa fine nel bel mezzo del film. "Intorno a me - confidò Hitchcock a Truffaut - erano tutti contrari a questo cambiamento, perché pensavano che questa rivelazione dovesse arrivare solo alla fine del film".
Ma è proprio da lì che viene l'emozione. Spunta fuori nel momento in cui lo spettatore, fino a quel momento ingannato, poi 'messo al corrente', e fiero del suo nuovo sapere, si accorge all'improvviso che il film non è finito! Suspense di una nuova suspense. Lo spettatore (voi, spero) guarda con compassione i corpi catalettici di James Stewart e di Kim Novak. Lo spettatore non ne sapeva abbastanza; adesso ne sa troppo. Arguisce che le apparenze non rinunciano mai al loro girotondo platonico, che gli attori sono incatenati a una finzione di cui non osa - non immediatamente - immaginare di che cosa sarà fatta. Non dura molto, ma è una suspense sconvolgente. Guardate Judy quando è stata appena ritrovata da Scottie; gira lentamente la testa verso la macchina da presa, non tanto per gettare uno sguardo in macchina quanto per vedersi raggiunta dal destino, precipitosamente.
È proprio perché tutta la prima parte di Vertigo sposa il punto di vista di Scottie, l'uomo raggirato, che una scena del genere vista all'improvviso dal punto di vista della donna acquista tutto il suo peso. Hitchcock procede spesso così: nelle sue storie di coppie incatenate, opacizza strada facendo il personaggio che sembrava limpido, e chiarisce quello che sembrava opaco. È per questo che molti dei suoi film sono costruiti in maniera strana: in due parti, secondo uno schema che Rohmer a suo tempo aveva notato essere elicoidale. Salvo che il cerchio non si chiude mai completamente. Così come nel mondo reale, la simmetria uomo/donna non esiste nell'universo hitchcockiano. La storia di Vertigo è quella di un uomo che passa dall'acrofobia alla necrofilia, dunque di una persona molto ammalata. Ma la bellezza di Vertigo sta nel modo in cui una donna esiste a dispetto di tutto.

(Serge Daney, Ciné journal, Fondazione Scuola Nazionale di Cinema, 1999)




Vertigo
è un film di pura suspense, e cioè di costruzione. Quello che fa scattare l'azione non è più costituito dal moto delle passioni o da qualche conflitto morale (come in Under Capricorn, I Confess o The Wrong Man), ma da un processo astratto, meccanico, artificiale, esteriore, per lo meno in apparenza. In questi tre film non è l'uomo che costituisce l'elemento motore. E non lo è neanche il destino, nel senso in cui lo si intende dai Greci in poi, ma la forma stessa di quelle essenze formali che sono lo Spazio e il Tempo. Naturalmente si disquisirà all'infinito per sapere se c'è o no suspense in Hitchcock. Nel senso più generale del termine, capacità di tenere lo spettatore con il fiato sospeso, possiamo affermare che ce n'è sempre, e qui più ancora che altrove, nonostante il fatto che la chiave dell'enigma poliziesco (con la quale il romanzo si chiude) ci venga rivelata una mezz'ora prima della fine. Sapevamo già che non era sugli arcani del meccanismo poliziesco, per quanto ingegnoso, che davano le porte segrete di Hitchcock. Il fatto importante è che, sempre, vogliamo sapere, e vogliamo sapere sempre di più man mano che ci viene rivelata una parte più grande di verità; e che la soluzione dell'enigma non faccia scoppiare come una bolla di sapone l'accumularsi dell'intreccio che, fino all'ultimo momento, aveva continuato a gonfiarsi a dismisura (rimprovero che si sarebbe potuto fare per esempio a Caccia al ladro). Qui la suspense è a doppio effetto: non solo rende più incerto il futuro, ma rimette in gioco il passato. Perché qui il passato non è affatto quella scorta di ignoto che un autore, per diritto divino, tiene di riserva e che, una volta messa in luce, potrà sciogliere tutti i nodi. Anzi, vediamo che, riaffiorando, non fa altro che stringerli ancora di più. Man mano che si rischiarano i punti oscuri della storia, appare una figura nuova che non conoscevamo in quanto tale, ma che era sempre stata presente: quella Madeleine, creduta vera, e tuttavia mai veramente conosciuta, vero fantasma in ogni caso, dal momento che non esisteva che nella mente del detective, che non era che una idea.
Proprio come Finestra sul cortile e L'uomo che sapeva troppo, Vertigo è dunque una sorta di parabola della conoscenza.

(Eric Rohmer, "Cahiers du cinéma", n. 93, 1959, in Il gusto della bellezza, a cura di Cristina Bragaglia, Pratiche editrice, 1991)




F.T. Che cos'era che le interessava di più in questo libro?
A.H. Quello che mi interessava erano gli sforzi che faceva , James Stewart per ricreare una donna, partendo dall'immagine di una morta.
Come lei sa, questa storia si divide in due parti. La prima arriva fino alla morte di Madeleine, la sua caduta dall'alto del campanile, e la seconda incomincia quando il protagonista incontra la donna bruna, Judy, che assomiglia a Madeleine. Nel libro, all'inizio della seconda parte, il protagonista incontra Judy e la obbliga ad assomigliare più di quanto in realtà non gli sembri a Madeleine. È soltanto alla fine che, si apprende, insieme a James Stewart, che si trattava della stessa donna. È una sorpresa finale.
Nel film ho proceduto in modo diverso. All'inizio della seconda parte quando Stewart ha incontrato la donna bruna, ho deciso di svelare subito la verità, ma soltanto allo spettatore: Judy non è una donna che assomiglia a Madeleine, è proprio Madeleine. Intorno a me tutti erano contrari a questo cambiamento, perché pensavano che la rivelazione dell'identità di Judy dovesse essere tenuta per la fine del film. Ho immaginato di essere un bambino seduto sulle ginocchia della madre che gli racconta una storia. Quando la mamma smette di raccontare, il bambino chiede immancabilmente: "Mamma, che cosa succede dopo?". Ho scoperto che nella seconda parte del romanzo di Boileau e Narcejac, quando il tipo ha incontrato la bruna, tutto continua come se dopo non dovesse succedere niente. Con la mia soluzione, il bambino sa che Madeleine e Judy non sono altro che la stessa e identica donna. Così ora chiede alla madre: "E allora James Stewart non lo sa? - No".
Eccoci ancora una volta di fronte alla nostra consueta alternativa: suspense o sorpresa? Ora, abbiamo lo stesso svolgimento dell'azione che c'era nel libro; Stewart per un po' di tempo crederà che Judy sia proprio Madeleine, poi si rassegnerà all'idea opposta, a condizione che Judy accetti di assomigliare sotto ogni aspetto a Madeleine. Ma il pubblico, invece, ha ricevuto l'informazione. Dunque abbiamo creato un suspense basato su questo interrogativo: come reagirà James Stewart quando scoprirà che lei gli ha mentito e che è effettivamente Madeleine?

(François Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, Pratiche Editrice, 1985)