Amore e guerra

Amore e guerra

"Noi diciamo in tedesco: il guerra, il morte, il luna, mentre sole e amore sono di sesso femminile: la sole, la amore. La vita è neutro"
(Jules)

 


Volevo dirle che Jules e Jim mi sembra la più precisa espressione della società francese contemporanea che abbia mai visto sullo schermo. Ambientando il film nel 1914 lei ha dato al suo dipinto una tonalità ancora più esatta, perché lo stile di pensiero e di comportamento attuale è nato con le automobili rialzate fatte di rame lucente. Il sospetto di immoralità che, a quanto pare, ha sfiorato alcuni colleghi mi sembra ingiustificato. La constatazione di una conseguenza non può essere immorale. La pioggia bagna, il fuoco brucia. L'umidità e la bruciatura che ne risultano non hanno niente a che vedere con la morale. Siamo passati in pochi anni da una civiltà a un'altra. Il salto è più impressionante di quello dei nostri avi tra il Medioevo e il Rinascimento. Per i Cavalieri della Tavola Rotonda le avventure sentimentali erano considerate una grossa buffonata, per i Romantici il pretesto per un torrente di lacrime. Per i personaggi di Jules e Jim è ancora un'altra cosa e il suo film contribuisce a farci capire ciò che può essere questa 'altra cosa'. È molto importante, per noi uomini, sapere a che punto siamo con le donne, ed è altrettanto importante per le donne sapere a che punto sono con gli uomini. Lei aiuta a dissipare la nebbia che avviluppa l'essenza di questo problema. Per questa e per molte altre ragioni, la ringrazio con tutto il mio cuore.

Jean Renoir, Lettera a François Truffaut




Ormai è un archetipo, al punto che se in un film si racconta di una donna che ama contemporaneamente due uomini non si sa più se sia una sua citazione o il ricorso a un modello già classico e 'astratto' [...]. Ma il vero Jules e Jim, che all'epoca fece scalpore, e in Italia faticò ad uscire proprio per quello scandaloso amore a tre [...] non è solo una storia di libertà e spregiudicatezza. È una storia d'amore o d'amori, certo, ma anche di guerra (quella 1914-18, il che dimostra fra l'altro che si poteva fare 'nouvelle vague' anche in costume e senza obbligatoriamente stare nell'attualità). È una storia d'arte e di artisti: scrittori, pittori, appassionati di letteratura e archeologia e forse anche dell'amare inteso come opera d'arte. È una storia di amicizia e solidarietà fra persone diverse ma attratte dagli stessi valori e dalle stesse bellezze. E anche una storia di morte, perché apertura mentale e anticonformismo, quando dal mondo delle idee entrano nella vita e nella carne, fanno male e possono essere insopportabili.

Alberto Farassino




Ciò che si tratta di 'imporre' in maniera convincente con Jules e Jim è precisamente l'idea di una donna più forte degli uomini che incontra, una donna incapace di appartenere ad uomo solo, decisa a inventare la propria esistenza istante per istante, a dispetto delle costrizioni che la vita impone, disposta a fare 'tabula rasa' di tutte le leggi, incominciando da quelle naturali, per raggiungere la libertà assoluta, per reinventare l'amore. Catherine, apparizione per tutti, incarnazione dell'assoluto, forza elementare che riunisce in sé i quattro elementi - l'acqua, il fuoco, la terra e l'aria - rappresenta tutto quanto di magico e di misterioso le donne di Truffaut possiedono. Il film è l'esperienza della libertà alla quale Catherine tende, il luogo privilegiato della sua realizzazione. In realtà si dovrebbe dire: Jules e Jim non è un film sull'esperienza della libertà assoluta, ma un film assolutamente libero su di un'esperienza fallita. Ma anche sull'impossibilità di non tentare nuove esperienze. Catherine per affermare la propria libertà deve giungere sino a negare se stessa: la morte, con cui unisce di forza il proprio destino a quello di Jim, è il gesto coerente ed estremo, l'espressione definitiva di una libertà sino in fondo contrapposta all'ottusità del reale. L'idea iniziale del film è che in amore la coppia non sia l'ideale, che la struttura monogamica e familiare non corrisponda più alla realtà: la conclusione è che, d'altra parte, non esistano soluzioni diverse, essendo ogni altra soluzione votata allo scacco. Ma è impossibile non tentare di costruire qualcosa di meglio, come ha fatto Catherine, rifiutando di adeguarsi alle regole esistenti, rifiutando l'ipocrisia e la rassegnazione. Questa dialettica di liberazione e di fallimento, che può apparire sterile solo agli spiriti rassegnati, è un'autentica dialettica della trasgressione. Il fascino del film è il fascino della trasgressione che esso mette in scena: "È bello voler riscoprire le leggi umane, ma come deve essere pratico conformarsi alle leggi esistenti. Abbiamo giocato con le sorgenti della vita e abbiamo perduto", dice Jim nel finale. Il sogno di una purezza infinita, il folle tentativo di sfuggire alle leggi umane, attraverso l'utopia di un'infanzia prolungata come condizione di innocenza e di felicità, si scontra inevitabilmente con la dura realtà della vita, con la tragica banalità dell'ordine costituito. [...] È una pulsione di morte a istituire la dialettica degli avvenimenti del film, il senso definitivo di questa pratica della trasgressione incessante che esso inaugura: la negazione costante e irriducibile che non approda al superamento dell'ordine costituito (se non nella morte), è forse l'espressione di quell'anarchismo a sfondo pessimistico che si vuole attribuire alla visione del mondo di Truffaut.

Alberto Barbera, Umberto Mosca, François Truffaut, Il Castoro, 1995




Jules, tedesco, e Jim, francese (nomi anch'essi insolitamente associati), sono due intellettuali che stringono un patto di eterna amicizia e lo onorano anche dopo la guerra, che li ha divisi su fronti opposti, col pericolo di spararsi a vicenda. E se nemmeno la guerra la infrange, non potrà infrangerla la donna da entrambi amata - e che ama entrambi - sebbene non senza sofferenze in ciascuno dei tre. Tale il motivo dello 'scandalo' che nel film, dato il suo successo, parve ancor più evidente che nel romanzo. Le censure ebbero qualche soprassalto moralistico, ma perfino quella italiana dovette prendere atto (sia pure per l'energica difesa della critica e con l'intervento di Truffaut a Roma e a Milano) che la particolare dolcezza, il solare lirismo, la profonda malinconia rendevano assolutamente inattaccabile una materia che poteva diventare morbosa. Ma non nelle mani così delicate - e tuttavia non meno anticonformiste - di un regista che finalmente, con l'opera sua, traeva dall'oblio quella del romanziere, da allora tradotta in diverse lingue compresa la nostra.
Nel libro la donna si chiama Kathe ed è tedesca; nel film con tutta naturalezza (dato l'apporto decisivo dell'attrice) si 'francesizza' in Catherine. È un segno non secondario della perfetta osmosi tra due mondi e due civiltà, che si riflette egualmente nell'intesa tra i due uomini. E se Roché dedica alla grande guerra non più di cinque righe, Truffaut - trascinato e autorizzato dal calore e dalla simpatia dei suoi personaggi - può insistervi più a lungo, incorporando nei larghi confini del Cinemascope bianco e nero anche i documentari di trincea, quasi fossero ripresi dallo stesso obbiettivo di Raoul Coutard.

Ugo Casiraghi, Vivement Truffaut!, a cura di Lorenzo Pellizzari, Lindau, 2011