New York vs Los Angeles

New York vs Los Angeles

Los Angeles è una bella città. Solo che non incontra i miei gusti personali. La gente pensa che io la odi, ma non è affatto così. Ho molti amici laggiù. E solo che non mi piace quel tipo di luce. Non mi piacciono i luoghi troppo assolati. E non mi piacciono i posti così estesi, in cui tutte le cose sono lontane l'una dall'altra e, per andare da qualsiasi parte, c'è bisogno di prendere la macchina. È una città che non ha quel certo non so che di cosmopolitico a cui sono abituato, come Londra, Parigi, Stoccolma, Copenhagen o New York. Si respira più un'aria di periferia. Perciò non mi trovo a mio agio. Mi piace poter uscire di casa a piedi e avere tutta la città intorno a me, i marciapiedi su cui camminare e i negozi e i posti dove andare. Una volta che ti sei abituato a New York, a Parigi o ad una città del genere, è molto difficile abituarsi ad una città come Los Angeles. Ecco perché la prendo sempre in giro. Inoltre, tra l'industria televisiva e quella cinematografica, la maggior parte delle cose che vengono fuori da lì è in cattiva fede. Viene fatta per lo sfruttamento commerciale. Certo, le cose brutte possono venir fuori da qualsiasi posto. Ma gran parte di ciò che accade laggiù è legata a volgari ambizioni, denaro, fama e cose del genere.
(Woody Allen)

Con Io e Annie e ancor più con Manhattan Allen scopre (e/o dimostra) che può parlare di ciò che gli sta a cuore senza necessariamente contrabbandarlo passando per il sentiero della comicità. Pieni di momenti divertentissimi, i due film si pongono prima di tutto come vividi ritratti della vita nuovayorkese e il loro successo presso il pubblico di mezzo mondo ci parla non solo dell'eccezionale comicità e intelligenza di Allen, non solo della sua ammirevole capacità di cambiare restando se stesso, ma anche e soprattutto di come la nostra civiltà abbia di necessità eletto quella metropoli a punto di riferimento della contemporaneità. Questa componente nuovayorkese rimarrà da quel momento intatta nel suo cinema, ma vieppiù arricchita dall'inquietudine culturale e morale del regista.
(Franco La Polla)

Alvy è un liberal che della sinistra americana ha condiviso le principali battaglie: le sue spillette, conservate con amore, elencano tutti i nemici dei progressisti, dal cold warrior Eisenhower a Reagan, negli anni Settanta governatore della California, culla di quel New Right Network che costituirà l'avanguardia del blocco sociale che nel 1980 manderà proprio Reagan alla casa Bianca. La California reazionaria è parodiata nel Dormiglione, quando il protagonista, svegliatosi da un sonno di 200 anni nella carta stagnola, dopo che è stato messo al corrente della natura dittatoriale della società del futuro, commenta: “Che razza di governo avete qui, ragazzi? Qui è peggio che in California?”. E la California rappresenta l'antitesi, politico-culturale oltre che geografica, di New York. Alvy, che va periodicamente a vedere Le chagrin et la pitié (Il dolore e la pietà, 1969) e che perde l'appetito se “uno crepa di fame in qualche posto”, non può che essere inorridito dal cattivo gusto e dalla superficialità della West Coast, mentre invece sia Rob che Annie saranno affascinati da Los Angeles. Io e Annie è pervaso da una profonda avversione per Los Angeles, una città dove – secondo Alvy – e strade sono pulite perché della spazzatura fanno programmi televisivi. Il conflitto tra le due città prende corpo sul piano visivo, oltre che attraverso la luce abbagliante delle scene di Los Angeles, anche nella netta discrasia tra gli abiti leggerissimi di cotone candido dei californiani e la spessa giacca di tweed marrone – la ‘divisa’ degli intellettuali liberal di Alvy.
(Giaime Alonge)