La storia del film

La storia del film

L’origine teatrale: Pittura su legno

All'inizio del 1954 Bergman scrisse un atto unico, Pittura su legno, per un'esercitazione dei suoi allievi alla scuola di teatro di Malmö. La genesi dell'azione drammatica deriva da un affresco anonimo della fine del 1300, dipinto sul muro di una chiesa di campagna nel sud dello Småland, che raffigura un cavaliere, il suo scudiero, un fabbro, una strega al rogo e altre figure della Svezia medievale. Ma la matrice era più remota: risaliva all'infanzia e alla fascinazione esercitata sul giovane Ingmar dalle immagini che aveva visto nelle chiese dove accompagnava il padre pastore:

Come tutti quelli che sono stati in chiesa, in qualsiasi epoca, mi sono messo a osservare i dipinti al di sopra dell’altare, il trittico, il crocifisso, le finestre dipinte e gli affreschi. C’erano Gesù e i ladroni feriti e insanguinati. Maria appoggiata a Giovanni – ecco tuo figlio, ecco tua madre. Maria Maddalena, la peccatrice, chi se l’era scopata l’ultima volta? Il cavaliere gioca a scacchi con la Morte. La Morte sega l’albero della vita, un poveretto terrorizzato è seduto su in cima e si torce le mani. La Morte conduce la danza verso la Terra Oscura, tiene la falce come una bandiera, tutti quanti ballano formando una lunga fila e dietro a tutti viene il giullare. I diavoli badano a che proceda la cottura, i peccatori precipitano a capofitto nelle fiamme. Adamo ed Eva hanno scoperto la propria nudità. L'occhio di Dio sbircia da dietro l'albero proibito. Alcune chiese sono come acquari, non c'è uno spazio libero, dappertutto un rigoglio di uomini, santi, profeti, angeli, diavoli e demoni. Questa e l'altra vita coprono muri e volte”.
(Ingmar Bergman, Lanterna magica)

Il 24 settembre Bergman diresse una versione radiofonica di Pittura su legno, coinvolgendo attori come Björnstrand, Eva Dahlbeck e Bengt Ekerot, quindi allestì lo spettacolo al teatro di Malmö il 18 marzo del 1955, ancora con Björnstrand, affiancato da Gunnel Lindblom e da altri. Nel settembre dello stesso anno fu Ekerot a dirigerne una seconda rappresentazione al Teatro Reale di Stoccolma. Intanto Bergman aveva già pensato di ricavarne un film, con il titolo Il settimo sigillo, ispirato anche ai Carmina Burana di Carl Orff,

costruiti su canti medievali composti da chierici vaganti durante anni di peste e di guerre sanguinose, allorché gente senza dimora si unì in grandi schiere spostandosi di paese in paese. C'erano anche diaconi, monaci, preti e giullari. Alcuni sapevano scrivere e componevano canzoni che venivano presentate a feste religiose e sui mercati. Il fatto che delle persone passassero attraverso la decadenza della civiltà e della cultura e facessero sorgere nuovi canti, mi parve una materia attraente, e così un giorno, mentre ascoltavo il coro finale dei Carmina Burana, mi venne in mente che questo avrebbe potuto essere l'oggetto del mio prossimo film.
(Ingmar Bergman, Immagini)




La scelta del titolo

Il titolo Il settimo sigillo si riferisce ai sigilli che - secondo l'Apocalisse di Giovanni, il libro della Rivelazione, ventisettesimo e ultimo del Nuovo Testamento - chiudevano i papiri arrotolati nelle mani di Dio e quindi ne custodivano i segreti che possono essere scoperti soltanto infrangendoli. L'ultimo sigillo, il settimo, può essere aperto esclusivamente dall'Agnello, cioè Cristo. Il film si apre proprio con la citazione dei versi dell'Apocalisse di Giovanni. Come osserva Siclier: “Il Libro dell'Apocalisse di San Giovanni è una serie di visioni. Lo stesso Bergman ci spiega che in un certo senso ha avuto la visione del suo film “contemplando i motivi trattati nei dipinti delle chiese medioevali”. Se la sua visione non è di origine celeste, risale comunque a una sorgente misteriosa, quella della sua infanzia. E la reinvenzione cinematografica di questa visione possiede la stessa costruzione del Libro dell'Apocalisse. È un susseguirsi di immagini poetiche e ispirate, che possiedono un senso allegorico”.



Le riprese

Ne parlò a Rune Waldekranz già nell'estate del '54, mentre stava girando Sogni di donna ma Anders Sandrew non volle produrre un progetto così rischioso e costoso. Anche alla Svensk Filmindustri la proposta fu accolta negativamente. Soltanto quando per Sorrisi di una notte d'estate si aprirono le porte del successo internazionale, Bergman si trovò nelle condizioni di poter imporre a Dymling un ultimatum: “Ora o mai, Carl Anders!”. Il produttore accettò ma concesse un budget limitato per le riprese e soltanto trentasei giorni di lavorazione. Bergman riscrisse la sceneggiatura cinque volte prima di esserne soddisfatto e si adattò di buon grado ma anche “con entusiasmo”, ad effettuare quasi tutte le riprese in spazi ristretti, come il bosco che si apriva di fronte agli studi, nel cortile interno della Filmstaden.

L’intero film venne realizzato nella Filmstaden. Ci muovevamo in uno spazio estremamente ristretto. Ma avemmo fortuna con il tempo e filmammo dal sorgere del sole alla sera tardi. Ogni costruzione fu fatta quindi entro lo spazio della Filmstaden. Il ruscello nell’oscura foresta, dove i viandanti incontrano la strega, fu realizzato con l’aiuto del corpo dei vigili del fuoco e causò vere e proprie inondazioni. Se si guarda bene, dietro gli alberi si vede un misterioso riflesso di luce. Proviene dalla finestra di un alto edificio lì vicino.
(Ingmar Bergman, Immagini)

Le inquadrature potevano essere effettuate da un unico lato perché, dall'altro, si sarebbero visti gli edifici moderni che sorgevano intorno agli studi. Il regista si recò di persona alla chiesa di Härkeberga, a nord di Stoccolma, con lo scenografo P.A. Lundgren, per scegliere “le piccole figure più significative fra quelle dipinte negli affreschi e le ingrandì fino a proporzioni gigantesche, per ornarne il telone di un carro e la tela di fondo dello spettacolo dei saltimbanchi” (Peter Cowie, Ingmar Bergman. A Critical Biography). La sequenza del primo incontro con la Morte fu girata a Hovs Hallar (penisola di Bjäre, contea di Skåne) e negli studi Råsunda; la scena finale, con la Morte che danza allontanandosi con i viandanti, fu anch'essa girata a Hovs Hallar, su una collina che si stagliava contro il cielo: “dopo che avevamo già impacchettato ogni cosa per la sera, cominciò il maltempo. All'improvviso vidi una nube strana. Gunnar Fischer tirò su la cinepresa. Molti degli attori erano già tornati nei propri alloggi. Alcuni inservienti e turisti danzavano al loro posto, senza avere idea di che cosa si trattasse. Quell'immagine, divenuta poi così famosa, fu improvvisata in pochi minuti”




Il personaggio della Morte

A differenza di Pittura su legno, dove la Morte non interviene, nel film invece diviene un personaggio dal forte impatto. Bergman racconta di averne ideato la fisionomia con il contributo dell'attore che la interpreta:

Bengt Ekerot e io eravamo d'accordo sul fatto che la Morte dovesse portare una maschera da clown, quella del clown bianco, o, meglio, una combinazione tra la maschera da clown e il teschio” […] Ekerot era un genio come attore e come regista. Morì molto giovane […] avevamo la stessa età. Avevamo lavorato insieme per anni e avevamo lo stesso rapporto con la morte. Eravamo entrambi spaventati e affascinati. Decidemmo di raffigurare la morte come un clown. Sai, il clown bianco. Non perché sia bello, ma il clown bianco, per noi, da bambini, quando andavamo al circo, il clown bianco ci ha sempre terrorizzato”.




Accoglienza e censura

Il settimo sigillo fu lanciato dalla Svensk nel marzo 1957 in pompa magna, con un apparato pubblicitario che infastidì Bergman. L'accoglienza della critica svedese si divise fra plausi e stroncature, ma in seguito il film “attraversò il mondo come un incendio”: ottenne il Premio speciale della Giuria a Cannes, poi il Gran Premio dell'Accademia francese del cinema e venne acclamato in Francia, in Europa e negli USA come un capolavoro. In Italia venne distribuito dalla Globe Films soltanto nel gennaio 1960 (dopo Il posto delle fragole), con il divieto ai minori di anni sedici che venne tolto in seguito al taglio della sequenza in cui appare il cadavere putrefatto di un pastore (circa cento metri). La censura non si limitò a questo: alcuni dialoghi e frasi vennero completamente modificate e sostituite da altre spurie per edulcorare i passaggi aspri o irriverenti della sceneggiatura originale. Per esempio, la traduzione fedele delle parole della canzone dello scudiero Jöns all'inizio del film è: “Tra le gambe di una troia / è la vita una gran gioia” / “In alto siede l'Onnipotente / così lontano che è sempre assente / mentre il Diavolo suo fratello / lo trovi anche al tuo cancello”. Nell'edizione italiana divenne: “È stanco il cavaliere / è stanco lo scudiero / ma il cavaliere è fiero / e ammetterlo non può. / Ei sogna di pranzare / di bere e poi dormire però non lo vuol dire o forse non lo può”. Le offese e gli improperi che il pubblico del villaggio di Färjestad riserva alla recita di Jof, Mia e Skat furono “silenziate” e, ancora, fu eliminato un esplicito riferimento alla giovanissima età della ragazza accusata di essere una strega. Inoltre, nel doppiaggio italiano la voce della ragazza muta – che nel finale all'improvviso parla – divenne quella di una donna vecchia (forse per ottenere un effetto orrorifico...), senza alcuna corrispondenza con la voce originale dell'interprete Gunnel Lindblom. Peggio: la frase che pronuncia “Det är fullbordat”, è da tradurre “Tutto è compiuto” e riecheggia il “Consummatum est” pronunciato da Cristo sulla croce nel Vangelo di Giovanni (19,30). Nell'edizione italiana assume un'enfasi retorica: “L'ora è venuta”.