La storia del film

La storia del film

Il Dittatore così come appare sullo schermo assomiglia abbastanza a ciò che volevo realizzare. Avevo una storia da raccontare e qualcosa da dire. L'ho detta. Mi ha dato molta soddisfazione. Credo che il film sia comico quando voleva essere comico […].
Il grande dittatore
non è un film di propaganda. È la storia del piccolo barbiere ebreo e del potente dittatore a cui, per caso, assomiglia. È la storia dell'ometto di sempre che ho raccontato per tutta la vita. Il punto di vista della narrazione è simile a quello che a suo tempo potevano avere La capanna dello zio Tom o Oliver Twist. Forse 'compassione' è un temine migliore di propaganda?
(Charlie Chaplin, “The New York Times”, 28 ottobre 1940)




Chaplin, che notoriamente manteneva il riserbo più assoluto sulla creazione dei suoi film, fu costretto a ripercorrerne la genesi nel corso di una deposizione per un caso di plagio. Konrad Bercovici, scrittore e sceneggiatore rumeno di origini ebree a cui Chaplin aveva chiesto di lavorare ad alcuni soggetti politici , sosteneva di avergli fornito sia l’idea di interpretare Hitler sia quella del doppio ruolo. Chaplin dichiarò invece che era stato Alexander Korda a suggerirgli di realizzare una commedia sui dittatori basata sul vecchio escamotage dello scambio di persona, sulla falsariga del Prigioniero di Zenda, ma che l’espediente era già presente nel suo progetto su Napoleone Bonaparte, nel quale l’imperatore, esiliato a Sant’Elena, veniva sostituito da un sosia per fare ritorno segretamente in Francia. Dalla deposizione di Chaplin e da quella dei suoi collaboratori emerse inoltre con chiarezza che a fornire lo spunto fu principalmente la stampa, che ironizzava con insistenza sulla somiglianza tra Charlot e il Führer già dal 1933. In particolare, nel febbraio 1936, le pagine di tutti i quotidiani d’America furono inondate da vignette satiriche alla notizia che Hitler aveva messo al bando Tempi moderni, accusato di essere un film di ispirazione comunista, realizzato da un ebreo ma soprattutto interpretato dal comico più famoso al mondo la cui fisionomia, in particolar modo i baffi, ricordava in maniera offensiva quella del Führer.
(Cecilia Cenciarelli)




Inevitabilmente, Il dittatore doveva segnare una serie di rivoluzionarie modifiche nei metodi di lavoro chapliniani: era il suo primo film veramente parlato, dunque per la prima volta doveva partire da una sceneggiatura vera e propria. Al vecchio sistema di completare una sequenza alla volta, alternando periodi di preparazioni e riprese, magari cambiando idea e scegliendo o scartando soluzioni alternative man mano che il lavoro procedeva, si doveva sostituire una fase preparatoria il più possibile completa e precisa; e gli appunti dettati da Dan James [assistente alla regia di Chaplin] alla Pryor [Kathleen Pryor, una delle segretarie di edizione] documentano le varie trasformazioni subite in questa fase dal progetto.
Premessa originaria e chiave di volta del film doveva essere la somiglianza fisica fra il dittatore e un piccolo ebreo, e tutte le versioni preliminari del soggetto cominciano con il ritorno nel ghetto dei soldati ebrei, molti fra loro fisicamente menomati, alla fine della guerra mondiale. Tutti ricevono il più affettuoso benvenuto da mogli e parenti, tranne “il piccolo ebreo” (ovviamente congedato dopo il servizio prestato in Charlot soldato) che “si aggira solitario per le vie del ghetto” e “assetato d'affetto finisce per abbracciare un palo della luce”.
(David Robinson)




Mentre ero a metà del Dittatore cominciai a ricevere allarmanti comunicazioni da parte della United Artists. L'ufficio Hays li aveva avvertiti che stavo per cacciarmi nei guai. Anche quelli della sede inglese erano molto preoccupati all'idea di un film anti-hitleriano e dubitavano che lo si potesse proiettare in Gran Bretagna. Ma io ero deciso a tirare avanti, perché Hitler doveva essere messo alla berlina. Se avessi conosciuto gli orrori dei campi di concentramento tedeschi non avrei potuto fare Il Dittatore; non avrei certo potuto prendermi gioco della follia omicida dei nazisti. Ma ero ben deciso a mettere in ridicolo le loro mistiche scemenze sulla purezza del sangue e della razza. [...] Altre lettere preoccupatissime mi furono spedite dall'ufficio di New York, per implorarmi di non fare il film, dichiarando che non sarebbe mai stato proiettato né in Inghilterra né in America. Ma io ero deciso a portarlo a termine, avessi anche dovuto noleggiare personalmente le sale da proiezione.
(Charlie Chaplin)




Dalla stesura delle prime bozze di Il grande dittatore alla sua uscita in sala, trascorsero esattamente due anni, durante i quali mutarono gli assetti mondiali: il 12 novembre 1938, tre giorni dopo la famigerata Notte dei cristalli, Chaplin fece richiesta di depositare il titolo The Dictator alla Library of Congress. Un mese dopo, la stampa diffuse la voce che il progetto sarebbe stato accantonato per non peggiorare le sorti degli ebrei in Europa, notizia che rimbalzò anche nei primi mesi del 1939 e che Chaplin smentì puntualmente, dichiarando senza esitazione che né gli eventi storici, né le intimidazioni dei censori, le pressioni politiche del consolato britannico o del governo, sarebbero riusciti ad dissuaderlo. Era pronto a investire personalmente due milioni di dollari e, cosciente che la pellicola sarebbe stata bandita in molti paesi in Europa e America Latina (solo la Gran Bretagna e i suoi Dominion rappresentavano il 35% del mercato), era determinato a distribuire il film in maniera indipendente e fuori dai circuiti commerciali tradizionali. Nell’estate del 1939 Chaplin annunciò che avrebbe devoluto tutti i proventi europei del film alla causa ebraica. Le copie della sceneggiatura furono distribuite il 3 settembre 1939, giorno in cui l’Inghilterra dichiarò guerra alla Germania. La mattina del 9 settembre 1939, otto giorni dopo lo scoppio del secondo conflitto mondiale, fu battuto il primo ciak sul set del ghetto.
(Cecilia Cenciarelli)







Sul set

Il grande dittatore fu il primo film di Chaplin completamente scritto e meticolosamente pianificato e sono poche le eccezioni in cui la scrittura lasciò spazio all’improvvisazione, non a caso in due momenti del film completamente muti, due vere e proprie danze. La prima: la rasatura coreografata sulle note della Danza ungherese n. 5 di Brahms, che Chaplin provò e riprovò per oltre tre ore il pomeriggio del 30 settembre 1939, utilizzando una versione riorchestrata della musica. La seconda – una sorta di risposta speculare della prima – quella di Hynkel con il mappamondo accompagnata dal preludio del Lohengrin di Wagner, più pianificata nei movimenti (anche perché prevedeva l’uso di funi) ma comunque ‘riscritta’ da Chaplin, che eliminò la spada e l’ombrello che figuravano nell’ultima versione scritta. Infine, il primo comizio di Hynkel, in cui i dialoghi riportano solo la parola “gergo”. Le riprese del comizio si tennero, nella San Fernando Valley vicino a Los Angeles, il 30 dicembre 1939, esattamente una settimana dopo aver completato la danza col mappamondo: “Penso che su quella scena saremo tornati almeno una dozzina di volte – ricorda Dan James – con tutte le comparse schierate di fronte a lui, Charlie disse ‘girate, girate senza fermarvi, tenete il motore acceso’ e andò avanti con quel suo gergo insensato per oltre duecento metri di pellicola. La temperatura superava i trentasette gradi all’ombra”.
(Cecilia Cenciarelli)




A dicembre Chaplin aveva già cominciato le scene di Hynkel. Splendido attore, Chaplin entrava sempre totalmente nel ruolo che stava sostenendo, come i suoi colleghi hanno testimoniato; e quando per la prima volta indossò i panni di un personaggio crudele e dispotico, rimase sconcertato egli stesso dai risultati. Reginald Gardiner [che nel film interpreta Schultz] ricordava bene che quando arrivò per la prima volta sul set pronto a girare nell'uniforme di Hynkel, Chaplin apparve subito più freddo e più asciutto nei modi di quando interpretava il barbiere; e raccontava anche che un giorno, mentre stavano andando insieme in auto – Chaplin era già in uniforme – verso il luogo dove dovevano girare un esterno, Chaplin improvvisamente cominciò a insolentire il conducente di un'altra macchina davanti alla loro che stava procedendo troppo piano. Immediatamente si riprese, e accennò ridendo a una precedente discussione sui poteri dell'uniforme e sul falso senso di superiorità che può creare. “È solo perché ho addosso questa dannata cosa che mi comporto così”.
(David Robinson)



Foto:© Roy Export Company S.A.S./Roy Export Company Est. Tutti i diritti riservati