Le star: Burt Lancaster, Alain Delon, Claudia Cardinale

Le star: Burt Lancaster, Alain Delon, Claudia Cardinale


Burt Lancaster

Della sua interpretazione nel ruolo del principe Fabrizio di Salina, Visconti disse: “Penso che Lancaster abbia dato, non soltanto con le sue eccezionali doti naturali e di mestiere, ma con un serio impegno di studio e approfondimento tanto del suo ruolo quanto del testo di Lampedusa e della letteratura storica che ad esso può introdurre, un contributo personale decisivo alla realizzazione del personaggio. È entrato nella parte via via che il film si inoltrava nel suo contesto, e lo si vedrà crescere sullo schermo secondo questo ritmo. E poiché il momento di maggiore altezza umana e drammatica del principe di Salina coincide a mio avviso proprio col punto culminante del ballo in casa Ponteleone, l’interpretazione di Lancaster si è avvantaggiata anche del suo stesso graduale e sofferto sviluppo” (Dialogo con Visconti, in Il film Il Gattopardo e la regia di Luchino Visconti, op. cit.).

All’anagrafe Burton Stephen Lancaster, nacque ad Harlem il 2 novembre 1913 da un impiegato postale di origini irlandesi. Intraprese inizialmente una fortunata carriera di acrobata in circhi e night club formando con il fratello il duo “Lang & Cravat”, quindi nel 1945, dopo che un incidente gli aveva impedito di continuare le acrobazie, fu notato da un agente teatrale che lo fece esordire a Broadway. Rivelò subito una naturale predisposizione alla recitazione tanto che il passo al cinema fu breve: nel 1946 esordì nel bel film noir di Robert Siodmak I gangsters (The Killers, 1946) e nel secondo film, il carcerario Forza bruta (Brute Force, 1947) di Jules Dassin, ottenne già il ruolo di protagonista. La sua prima, immediata, affermazione fu quindi legata al cinema noir: in questo genere, in Le vie della città (I Walk Alone, 1949) di Byron Haskin, condivise la scena con un altro divo della sua generazione, Kirk Douglas. Se appartengono ancora al genere noir i vigorosi Il terrore corre sul filo (Sorry, Wrong Number, 1948) di Anatole Litvak e Doppio gioco (Criss Cross, 1949) di Robert Siodmak, negli avventurosi La leggenda dell’arciere di fuoco (The Flame and the Arrow, 1950) di Jacques Tourneur e Il corsaro dell’isola verde (The Crimson Pirate, 1951) di Siodmak, rivela anche doti ironiche. Intanto ha dimostrato una notevole versatilità drammatica con Erano tutti miei figli (All My Sons, 1948) di Irving Reis, da Arthur Miller, confermata da Torna, piccola Sheba (Come Back, Little Sheba, 1952) di Daniel Mann, Da qui all’eternità (From Here to Eternity, 1953) di Fred Zinnemann, L’ultimo Apache (Apache, 1954), regia di Robert Aldrich, dove impersona un pellerossa che esce dagli schemi del western convenzionale, Vera Cruz (Id., 1954), ancora di Aldrich (1954). All’inizio degli anni Cinquanta Lancaster è uno dei divi più importanti e anticonvenzionali di Hollywood, dalle idee sempre più dichiaratamente progressiste, e crea una società di produzione con Ben Hecht.

Esordisce nella regia con Il vagabondo delle frontiere (The Kentuckian, 1955) e si misura con Anna Magnani in La rosa tatuata (The Rose Tattoo, 1955) di Daniel Mann, mentre in Trapezio (Trapeze, 1956) di Carol Reed, rievoca i suoi trascorsi di acrobata. Cambia i generi sempre confermando le qualità di una recitazione vigorosa e intensa e dimostrando una particolare sensibilità (come attore e produttore) alle problematiche sociali, dal western – Sfida all’O.K. Corral (Gunfight at the O.K. Corral, 1957) di John Sturges, Gli inesorabili (The Unforgiven, 1960) di John Huston – al dramma di denuncia, Piombo rovente (Sweet Smell of Success, 1957) di Alexander Mackendrick, dove è straordinario nella parte sgradevole di un giornalista senza scrupoli, al dramma psicologico, Tavole separate (Separate Tables, 1958) di Delbert Mann, al film avventuroso in costume, Il discepolo del diavolo (The Devil's Disciple, 1959) di Guy Hamilton, dove recita con Kirk Douglas e Laurence Olivier.

Negli anni Sessanta, diversificò ulteriormente la gamma di ruoli, impersonando il mistificatore protagonista di Il figlio di Giuda (Elmer Gantry, 1960) di Richard Brooks (che gli valse un Oscar), Il giardino della violenza (The Young Savages, 1961) di John Frankenheimer, un anziano giudice compromesso col nazismo in Vincitori e vinti (Judgement at Nuremberg, 1961) di Stanley Kramer (1961), un ergastolano in L’uomo di Alcatraz (Birdman of Alcatraz, 1962) di Frankenheimer (per cui ottenne la Coppa Volpi a Venezia), Gli esclusi (A Child Is Waiting, 1963), uno dei primi film di John Cassavetes, di cui Lancaster fu anche produttore.

Seguirono quindi la straordinaria prova mimetica di Il Gattopardo di Visconti, il ruolo difficile di un generale reazionario in 7 giorni a maggio (Seven Days in May, 1964) di Frankenheimer e l’eroe del bellico Il treno (The train, 1965) ancora di Frankenheimer. Con la maturità continuò a scegliere con intelligenza i registi, affidandosi alla regia di alcuni dei più interessanti cineasti statunitensi della seconda metà degli anni Sessanta, come Sydney Pollack (Joe Bass l’implacabile / The Scalphunters, 1968; Ardenne ’44, un inferno / Castle Keep, 1969), Frank Perry (Un uomo a nudo / The Swimmer, 1968, uno dei film più audaci della sua carriera, ma che venne bocciato dal pubblico), ancora Frankenheimer (I temerari / The Gypsy Moths, 1970), Aldrich (Nessuna pietà per Ulzana / Ulzana’s Raid, 1972). Ritornò alla regia con il vigoroso L’uomo di mezzanotte (The Midnight Man, 1974) e ritrovò, dopo dieci anni dal Gattopardo, Alain Delon nel film di spionaggio Scorpio (1973) di Michael Winner e la regia di Visconti in Gruppo di famiglia in un interno (1974).

Nella seconda metà degli anni Settanta sperimentò nuove esperienze, come l’incontro con Robert Altman per lo sfortunato Buffalo Bill e gli indiani (Buffalo Bill and the Indians, or Sitting Bull's History Lesson, 1976) e con Bernardo Bertolucci per l’affresco di Novecento (1976), quindi ritrovò Aldrich nel notevole Ultimi bagliori di un crepuscolo (Twilight’s Last Gleaming, 1976) e continuò a privilegiare registi europei, come l’inglese Doulas Hickox (Zulu Dawn, 1979), il francese Louis Malle (Atlantic City, USA, 1980, uno dei più importanti film della maturità di Lancaster), l’italiana Liliana Cavani (La pelle, 1981), l’inglese Bill Forsyth (Local Hero, 1983).

Negli ultimi anni, alternò cinema e televisione, sempre con intatto carisma e fra le ultime interpretazioni forse la più memorabile è, curiosamente, quella del diabolico capo della CIA nell’ultimo film di Sam Peckinpah, il travagliato Osterman Weekend (The Osterman Weekend, 1983). Nel 1991 fu colpito da ictus e costretto all’inattività. Morì a Century City il 20 dicembre del 1994.





Alain Delon

Della regia di Visconti nel Gattopardo, Alain Delon dichiarò che “il mio ruolo, quello di Tancredi, aveva una funzione storica e politica molto precisa: Garibaldi, le mutazioni dell’Italia... Me ne ha parlato relativamente poco ma con precisione. Si è soprattutto concentrato sul Principe Salina che interpretava Burt Lancaster. Lui stesso avrebbe dovuto recitare il ruolo, e noi tutti l’abbiamo incoraggiato a farlo. Alla fine non ha osato ed è stato senza dubbio meglio così. Il Principe era lui. Il film è la sua autobiografia. Ogni gesto che fa Lancaster, è lui, Visconti. Era un uomo molto duro con tutti e soprattutto con se stesso. Poteva rimanere al lavoro quattordici ore di fila, dalle sei di sera alle otto del mattino, con meno dieci gradi a Milano. E nessuno avrebbe potuto rifiutarsi di rimanere. Era la sua intransigenza ma aveva sempre uno scopo, una funzione” (Entretien avec Alain Delon, a cura di Olivier Dazat e Jacques Fieschi, “Cinématographe”, n. 103, settembre-ottobre 1984).

Nato a Sceaux l’8 novembre del 1935, ebbe un’infanzia infelice e un’adolescenza irrequieta tanto che a diciassette anni decise di arruolarsi nella Legione straniera in Indocina e partecipò anche all’assedio di Dien-Bien-Phu. Ritornato in Francia, visse alla giornata finché fu notato dal regista Yves Allégret che gli assegnò la parte di un giovane criminale al servizio di Jean Servais in Godot (Quand la femme s’en mêle, 1957). Fin dal 1959 aveva già una fama notevole anche grazie alla relazione con Romy Schneider. Il primo film importante della sua carriera, che lo rese una star internazionale, fu Delitto al sole (Plein soleil, 1960) di René Clément, dove impersonò magistralmente il diabolico Tom Ripley di Patricia Highsmith. Seguì la piena consacrazione di Rocco e i suoi fratelli (1960) di Visconti, che nel 1961 lo volle anche a teatro, accanto a Romy Schneider nella tragedia elisabettiana Dommage qu’elle soit une p... di John Ford. Clément e Visconti, soprattutto quest’ultimo, furono i maestri che formarono Delon come attore, proprio mentre esplodeva il fenomeno della Nouvelle Vague, cui il giovane attore (ormai diventato un divo popolarissimo in tutta Europa e in Asia) rimase sempre estraneo.

Sotto la regia di Clèment interpretò altri tre film di genere completamente differente: la singolare e estrosa commedia all’italiana Che gioia vivere (Quelle joie de vivre, 1961), il magistrale noir Crisantemi per un delitto (Les Félins, 1964) e la rievocazione storica della Liberazione in chiave gaullista di Parigi brucia? (Paris brûle-t-il?, 1966). Fondamentale fu anche l’incontro, sempre in Italia, con Michelangelo Antonioni per L’eclisse (1962), dove Delon impersonò un dinamico e cinico agente di borsa, cui seguì una fortunatissima incursione nel noir (genere successivamente prediletto da Delon), Colpo grosso al casinò (Mélodie en sous-sol, 1963) di Henri Verneuil, dove ricevette una sorta di investitura dal glorioso co-protagonista Jean Gabin.

Dopo l’ultimo incontro con Visconti per Il Gattopardo, l’attore si cimentò con successo nel genere cappa e spada in Il Tulipano nero (La Tulipe noire, 1964) di Christian-Jaque e subì invece una delusione all’esordio come produttore del pur notevole Il ribelle di Algeri (L’Insoumis, 1964) di Alain Cavalier. Seguì una poco significativa parentesi hollywoodiana e un nuovo, importante sodalizio artistico, stavolta con Jean-Pierre Melville, che lo scelse come protagonista di tre classici del noir, Frank Costello faccia d’angelo (Le Samouraï, 1967), I senza nome (Le Cercle rouge, 1970) e Notte sulla città (Un Flic, 1972). Nella seconda metà degli anni Sessanta, Delon diventò uno degli attori europei più popolari in assoluto e, quando venne coinvolto in uno scandalo legato all’assassinio della sua guardia del corpo, la sua fama aumentò anziché esserne intaccata, tanto che fu anche uno dei produttori indipendenti più potenti (con la società Adel, poi Leda).

Fino al 1977 alternò con esiti spesso felici film d’autore a film noir. Se nei primi cambiò spesso registro, nei secondi creò un personaggio che divenne presto mitologico. Fra i film d’autore, ricordiamo L’assassinio di Trotsky (L’Assassinat de Trotsky, 1972) e lo splendido Mr. Klein (1976) di Joseph Losey, un altro incontro fondamentale per Delon, e La prima notte di quiete (1972) di Valerio Zurlini. Fra i noir, La piscina (La Piscine, 1968) di Jacques Deray, regista che ritrovò, fra l’altro, in Borsalino (1970) e Flic Story (Id., 1975), inoltre Il clan dei siciliani (Le Clan des siciliens, 1969) di Verneuil, L’evaso (La Veuve Couderc, 1971) di Pierre Granier-Deferre, Due contro la città (Deux hommes dans la ville, 1973), ultimo incontro con Gabin, e Lo Zingaro (Le Gitan, 1975) di José Giovanni, Morte di una carogna (Mort d’un pourri, 1977) di Georges Lautner, eccellente thriller politico. Dalla fine degli anni Settanta tende a privilegiare ruoli più stereotipati, perlopiù in polizieschi (anche se rivela una certa autoironia in Per la pelle di un poliziotto / Pour la peau d’un flic, 1981, che dirige, produce e interpreta). Fanno eccezione solo il ruolo dello Charlus proustiano in Un amore di Swann (Un Amour de Swann, 1984), l’ubriacone di Notre histoire (1984, inedito in Italia) di Bertrand Blier e soprattutto il doppio del magnifico Nouvelle Vague (1990) di Jean-Luc Godard. Dalla fine degli anni Novanta si ritira quasi completamente dal cinema per dedicarsi, con successo, al teatro e alla televisione.



Claudia Cardinale

Nelle sue memorie, Claudia Cardinale ricorda con particolare intensità il nuovo incontro con Visconti (che l’aveva già diretta in un ruolo minore in Rocco e i suoi fratelli) per Il Gattopardo: “Sotto i merletti, le sete, i pizzi, i punti di Venezia o d’Aleçon, di Bruxelles o di Inghilterra, sotto quei bianchi leggeri come la spuma delle onde, o trasparenti come la bruma sulla laguna, ero compressa in un corsetto d’epoca, di una crudeltà implacabile. Quella era la magia del cinema, con Visconti. Sotto l’apparente facilità, sotto l’eleganza naturale, si celava la sofferenza. Come il mio corpo serrato in quella morsa, noi attori eravamo una materia plasmabile tra le mani del nostro grande demiurgo. A lungo, di quel corsetto mi è rimasto un segno attorno alla vita che mi ricordava la ferita che avevo sopportato senza dire niente, e quasi senza soffrire, tanto ero trascinata dall’entusiasmo, la certezza di partecipare a un’opera eterna, la consapevolezza della bellezza che ci circondava. Quel film ha cambiato la mia vita, aprendo la mia carriera al cinema internazionale. Ma più ancora, dopo quelle riprese, non fui più la stessa” (Claudia Cardinale, Le stelle della mia vita, Piemme, 2006, p. 93).

Nata a Tunisi da genitori italiani il 15 aprile del 1938, Claudia Cardinale recitò quasi casualmente in un cortometraggio di René Vautier, Anneaux d’or (1957) che le valse un piccolo ruolo in I giorni dell’amore (Goha, 1957) di Jacques Baratier (1958). Di lì a poco vinse un concorso di bellezza e si trasferì nella penisola, frequentò i corsi di recitazione del Centro Sperimentale e venne scelta da Mario Monicelli per la parte della bellissima Carmelina, tenuta segregata in casa dal fratello in I soliti ignoti (1958). Il film fu un trionfo che rese famosa anche la giovanissima attrice, cui fu offerto un contratto in esclusiva dal produttore Franco Cristaldi (suo futuro marito) della VIDES. I film successivi aumentarono la sua popolarità, in particolare Il magistrato (1959) di Luigi Zampa, La prima notte (1959) di Alberto Cavalcanti e soprattutto Un maledetto imbroglio (1959) di Pietro Germi, Il bell’Antonio (1960) di Mauro Bolognini, La battaglia di Austerlitz (Austerlitz, 1960) di Abel Gance, Audace colpo dei soliti ignoti (1960) di Nanni Loy (seguito del film di Monicelli), Rocco e i suoi fratelli (1960) di Luchino Visconti, I delfini (1960) di Francesco Maselli, La ragazza con la valigia (1961) di Valerio Zurlini, la sua prima, importante prova di attrice drammatica e La viaccia (1961) di Mauro Bolognini. All’inizio degli anni Sessanta diviene una diva di prima grandezza, sullo stesso piano di Sofia Loren e Gina Lollobrigida e, come loro, intraprende una fortunatissima carriera internazionale: Cartouche (1962) di Philippe de Broca, Senilità (1962) di Mauro Bolognini, (1963) di Federico Fellini (dove interpreta pressoché il ruolo di se stessa), Il Gattopardo (1963) di Visconti, La Pantera Rosa (The Pink Panther, 1963) di Blake Edwards, La ragazza di Bube (1963) di Luigi Comencini, Gli indifferenti (1964) di Francesco Maselli, un’altra notevole prova drammatica, Il circo e la sua grande avventura (Circus World, 1964) di Henry Hathaway, accanto a John Wayne, Il magnifico cornuto (1964) di Antonio Pietrangeli, con Ugo Tognazzi, Vaghe stelle dell’Orsa... (1965) di Luchino Visconti, Né onore né gloria (Lost Command, 1966) di Mark Robson, con Anthony Quinn e Alain Delon, I professionisti (The Professionals, 1966) di Richard Brooks, con Burt Lancaster, Piano, piano non t’agitare! (Don’t Make Waves, 1967) di Alexander Mackendrick, Il giorno della civetta (1968) di Damiano Damiani, C’era una volta il West (1968) di Sergio Leone, con Henry Fonda e Charles Bronson, Nell’anno del Signore (1969) di Luigi Magni, con Nino Manfredi e Ugo Tognazzi, Le avventure di Gerard (The Adventures of Gerard, 1970) di Jerzy Skolimowski, Le pistolere (Les pétroleuses, 1971) di Christian-Jaque, con Brigitte Bardot, Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata (1971) di Luigi Zampa, con Alberto Sordi, L’udienza (1972) di Marco Ferreri, Il clan dei marsigliesi (La Scoumoune, 1972) di José Giovanni, con Jean-Paul Belmondo, I guappi (1974) di Pasquale Squitieri, Gruppo di famiglia in un interno (1974) di Luchino Visconti, dove fa un’intensa apparizione, Libera, amore mio! (1975) di Bolognini.

Dalla fine degli anni Settanta viene spesso diretta dal marito Pasquale Squitieri (Il prefetto di ferro, 1977; Corleone, 1978; Claretta, 1984; Atto di dolore, 1990; Il giorno della Shoah, 2010) e continua una variegata carriera internazionale, con film quali Goodbye & Amen (1977) di Damiano Damiani, Una donna due passioni (La Part du feu, 1978) di Étienne Périer, con Michel Piccoli, L’amante proibita (La Petite fille en velours bleu, 1978) di Alan Bridges, La pelle (1981) di Liliana Cavani, con Marcello Mastroianni e Burt Lancaster, Fitzcarraldo (1982) di Werner Herzog con Klaus Kinski, Una cascata d’oro (Le Ruffian, 1983) di José Giovanni, con Lino Ventura, Enrico IV (1984) di Marco Bellocchio, con Mastroianni, La Storia (1986) di Luigi Comencini, And Now... Ladies and Gentlemen (2002) di Claude Lelouch, Le Démon de midi (2005, inedito in Italia) di Marie-Pascale Osterrieth, Cherche fiancé tous frais payés (2007, inedito in Italia) di Aline Issermann (2007), Gebo e l’ombra (Gebo et l’ombre, 2012) di Manoel de Oliveira, con Jeanne Moreau, El artista y la modelo (2012, inedito in Italia) di Fernando Trueba, The Third Person (2013) di Paul Haggis.