ILLUMINARE LA NEW HOLLYWOOD: VILMOS ZSIGMOND

ILLUMINARE LA NEW HOLLYWOOD: VILMOS ZSIGMOND

“La poetica di un direttore della fotografia è la luce. È la luce che conta. Non credo ai direttori della fotografia che hanno uno stile proprio, anche se indubbiamente è vero che esistono degli operatori che nel corso della loro carriera hanno sviluppato delle modalità di lavoro estremamente riconoscibili – penso per esempio a Gordon Willis o a Vittorio Storaro – ma in questo modo io penso che si rischi di non interagire più con il film e con la storia che si sta provando a raccontare perché in qualche modo si finisce sempre per fare affidamento al proprio mestiere piuttosto che reagire agli stimoli che offre la lavorazione quotidiana del film”. Nato il 16 giugno del 1930 a Szeged, in Ungheria, Vilmos Zsigmond è forse l’operatore e direttore della fotografia del cinema hollywoodiano noto anche a chi pensa di non conoscerlo. [...] Figura cardine della nouvelle vague hollywoodiana, Vilmos Zsigmond vanta una filmografia straordinaria che annovera non solo capolavori indiscussi come I compari, Images e Il lungo addio di Robert Altman, ma anche Sugarland Express e Incontri ravvicinati del terzo tipo (film per il quale vincerà un Oscar), Un tranquillo weekend di paura di John Boorman, Complesso di colpa e Blow Out di Brian De Palma, Il cacciatore e I cancelli del cielo di Michael Cimino, Lo spaventapasseri di Jerry Schatzberg, The Rose di Mark Rydell e il misconosciuto Rebus per assassino di William Richert. Insieme a László Kovács, suo amico fraterno, direttore della fotografia scomparso il 22 luglio del 2007 che vanta un lungo apprendistato alla corte dei miracoli di Roger Corman e un curriculum altrettanto impressionante di film fondamentali nella definizione della estetica della nouvelle vague hollywoodiana con titoli quali Easy Rider e The Last Movie di Dennis Hopper; Bersagli, Paper Moon, Finalmente arrivò l'amore, Vecchia America e Mask di Peter Bogdanovich; Cinque pezzi facili, Il re dei giardini di Marvin di Bob Rafelson e Martin Scorsese (New York, New York, L’ultimo valzer), Zsigmond inizia la sua avventura nel cinema a Budapest negli anni Cinquanta immediatamente precedenti la rivoluzione ungherese e la successiva invasione e repressione sovietica. [...]
Zsigmond, che ha ricoperto un ruolo fondamentale nel riaffermarsi produttivo ed estetico del nuovo cinema hollywoodiano, che ha beneficiato della libertà concessa negli anni Settanta ai cineasti e ai loro collaboratori è stato anche il testimone privilegiato della fine di quella straordinaria stagione artistica e creativa. “Il successo di Il cacciatore aveva dato fastidio a tantissime persone. Il fatto che poi il film avesse vinto addirittura l’Oscar fu la classica goccia che fece traboccare il vaso. Per qualche motivo che non ho ancora compreso, la critica, soprattutto di sinistra, si era convinta che Il cacciatore fosse un film di destra. Per cui Michael si trovava non solo nella posizione di poter fare tutto ciò che voleva, ma soprattutto desiderava prendersi delle rivincite nei confronti della stampa che lo aveva aggredito senza pietà affermando delle cose totalmente gratuite nei confronti de Il cacciatore. Per cui quando iniziò la lavorazione de I cancelli del cielo la prima cosa che fece fu di vietare l'ingresso sul set a tutti i rappresentanti della stampa. Chiunque fosse dotato di un accredito stampa era persona non grata. Ovviamente la cosa non piacque affatto, la stampa in genere è abituata a ben altri trattamenti e così iniziò una violentissima campagna dei media contro Cimino e il suo film, accusati entrambi di dilapidare soldi in un progetto pretenzioso e faraonico. Ovviamente non era così. E per fortuna con il tempo, anche se molto lentamente, e purtroppo quando ormai i danni sono irreparabili, I cancelli del cielo viene finalmente riconosciuto per il capolavoro che è. A Michael stava molto a cuore raccontare una pagine della storia completamente dimenticata: gli immigrati dell’Europa dell’est, che potrebbero essere considerati i predecessori dei protagonisti de Il cacciatore, giunti negli Stati Uniti senza un soldo e senza parlare inglese costretti a vivere di stenti. Nel film c’erano tutte queste lingue non doppiate, un altro aspetto nient'affatto gradito dalla critica. Certo, si trattava di un film impegnativo, ma Michael non si risparmiava, desiderava realizzare un film che restasse nella storia del cinema, che avesse un valore. Quando I cancelli del cielo fu finalmente distribuito, la critica si scatenò e lo distrusse. Fu un autentico massacro. Uno scandalo. I cinema lo rifiutarono e il film fu ritirato dalla circolazione. La produzione, nel tentativo di salvare il salvabile, commise l'incredibile errore di accorciarlo senza alcun criterio nella stupida speranza che a qualcuno potesse interessare la versione breve del film. Ovviamente questa cosa non fece che peggiorare una situazione già orribile. In molti hanno affermato che con I cancelli del cielo si chiudeva un’epoca irripetibile del cinema hollywoodiano e in parte è vero. Ma la causa non fu Michael Cimino e I cancelli del cielo. I tempi stavano cambiando. I produttori erano stanchi di registi che non ne volevano sapere di condizionamenti e controlli. Il fallimento di I cancelli del cielo non fu altro che l’occasione per chiudere definitivamente una stagione e un’esperienza che non aveva fatto altro che produrre ottimi film e lavoro. I risultati di questa decisione oggi sono sotto gli occhi di tutti. Spesso mi chiedono se ci sia dell’altro girato che non è stato utilizzato nella versione del film che tutti conosciamo. Ma non credo. Tutto quello che abbiamo girato sta nella versione di tre ore e venti de I cancelli del cielo. Michael Cimino è un grande regista e a volte lo chiamo anche solo per dirgli: “Hey Michael! Quando facciamo un altro film insieme?”.

(Giona A. Nazzaro, La luce è tutto: incontro con Vilmos Zsigmond, "Filmcritica", n. 595, maggio 2009)