RECITARE PER CIMINO

RECITARE PER CIMINO

Nel 1979 Michael lavorava al casting dei Cancelli del cielo quando è passato davanti a un cinema di New York, il Paris, che proiettava Violette Nozière di Claude Chabrol. È rimasto colpito dal manifesto e ha chiesto di entrare in sala mentre la proiezione era in corso. È rimasto appena una decina di minuti, mi ha detto poi. È uscito e si è diretto negli uffici della produzione per dire che le ricerche per il ruolo femminile si potevano interrompere. Aveva appena visto sullo schermo l’attrice che cercava.
Ovviamente è partito subito un braccio di ferro con lo studio. La United Artists non voleva saperne di una giovane attrice francese, sconosciuta negli Stati Uniti, per il ruolo principale di un film così costoso. Circolavano di nomi di star, mi ricordo quello di Barbra Streisand… Ma Michael non cedeva. Degli emissari della United Artists sono venuti a incontrarmi sul set di Loulou di Maurice Pialat e mi hanno confermato che non mi volevano assolutamente nel film. (ride) Ma Michael non mollava, mi ha fatto addirittura andare a Londra per provare i costumi quando lo studio ancora si rifiutava di ingaggiarmi. Ha finito per impormi.
Il suo amico attore Paul D’Amato, che recita nel Cacciatore, mi ha raggiunto a sua volta sul set di Loulou. Aveva l’incarico di insegnarmi ad andare sui pattini a rotelle tra una ripresa e l’altra, cosa che mi è valsa gli sfottò di Pialat. Siccome le riprese si prolungavano (perché Maurice voleva sempre girare delle scene supplementari), sono partita prima della fine. Maurice da allora diceva sempre che gli avevo impedito di finire il film per andare sui pattini a rotelle (ride). In effetti, la grande scena dei pattini è stata girata tre mesi dopo il mio arrivo nel Montana. Avrei avuto tutto il tempo di imparare sul posto!
Le riprese dei Cancelli del cielo sono durate sei mesi. Sono stata immediatamente colpita dal gigantismo della produzione. Il numero di persone sul set era folle. Al quinto giorno di riprese, il film aveva quattro giorni di ritardo. Michael faceva fino a sessanta ciak per ogni scena! Il budget è esploso. Dei responsabili della United Artists sono sbarcati da Los Angeles per riprendere il controllo. Minacciavano Michael di cacciarlo. Per sostituirlo avevano contattato Sam Peckinpah. Alla fine, Michael ha accettato di modificare un po’ il suo ritmo.
La sua aura era molto forte. Innanzitutto perché usciva dal trionfo del Cacciatore e dei suoi cinque Oscar. Ma anche perché aveva una forza di persuasione fuori del comune. La sua determinazione era inestimabile. Aveva la coscienza di girare un capolavoro. Anche se, come molti cineasti americani, era poco incline a teorizzare sul proprio lavoro, aveva concepito il film secondo una logica concentrica molto organizzata. Una successione di cerchi: il ballo, il giro sui pattini, la battaglia finale…
In compenso, non credo che fosse affatto cosciente della provocazione costituita da I cancelli del cielo, sia nel contenuto che nella forma. Nel contenuto, perché questa rilettura della storia degli Stati Uniti dal punto di vista dell’oppressione delle minoranze non era facile da capire per il pubblico americano. E nella forma, perché il film enuncia delle cose violente in una forma assai poco convenzionale in termini di narrazione. In effetti, se la forma fosse stata un po’ più classica, la virulenza del suo discorso politico forse sarebbe potuta passare.
Mi ricordo la prima disastrosa a New York, le critiche estremamente negative tra cui quella terribile di Vincent Canby del “New York Times”. La United Artists allora ha rimesso mano al montaggio del film e l’ha largamente amputato. La versione mostrata a Cannes nel 1981 era più corta di un’ora e l’accoglienza è stata fredda. Il film non è andato bene da nessuna parte, tranne un po’ in Inghilterra. Ma io non ho mai dubitato della sua forza. Da subito mi sembrato straordinariamente libero, ispirato. Quello che sembrava caotico diventava un elemento di forza. Mi piaceva anche la versione corta – tuttavia la follia del film, la sua dismisura si dispiega meglio nel montaggio iniziale, che è quello che si può vedere da alcuni anni.
Il fallimento dei Cancelli del cielo ha cambiato Michael. Perché era più di un fallimento. Il film è diventato un simbolo un po’ crepuscolare, la fine di un’epoca, la rovina di uno studio… Questa maledizione ma anche questa eredità un po’ mitica hanno messo Cimino in una posizione di cui poteva essere orgoglioso ma che è comunque difficile da vivere: quella del genio maledetto. Certo, dopo ha realizzato degli altri film, alcuni sono belli, sono andati bene come L'anno del dragone. Ma la ferita era sempre lì.
Tuttavia, nella vita, Michael era piuttosto allegro. In seguito l’ho visto molto regolarmente e non mi è mai parso triste. Il suo dolore albergava in zone più misteriose, molto segrete. Lui dava l’idea di essere molto forte, ma si poteva anche intuire una grande fragilità. Il che poteva essere testimoniato dalla trasformazione impressionante che ha operato sul proprio fisico. Tuttavia, quando uno lo conosceva, lui imponeva questa metamorfosi sconcertante del suo aspetto in maniera così evidente che finiva per apparire naturale, normale. Non si lamentava mai. Tranne una volta, una decina d’anni fa, quando mi ha confidato di avere l’impressione che tutti lo avessero abbandonato. Per il suo progetto di adattamento della Condizione umana di Malraux, gli avevo presentato vari produttori. C’era un vero desiderio di accoglierlo da parte del cinema francese. Ma lui non voleva mai rinunciare a niente. Non poteva accettare che la realtà resistesse a quello che lui aveva ideato. Questa intransigenza aveva qualcosa di distruttivo. Ma anche di infantile. Come un bambino, aveva una fiducia totale nelle persone, una volontà molto forte di includerle nelle proprie visioni, pur non essendo minimamente attrezzato ad accettare che a un certo momento uno potesse dirgli di no.

(Isabelle Huppert, Intervista di Jean- Marc Lalanne, “Les Inrockuptibles”, n. 1075, 6-12 luglio 2016)