IL FILM CHE INGUAIÒ IL CINEMA AMERICANO

IL FILM CHE INGUAIÒ IL CINEMA AMERICANO

Inorgoglito dagli Oscar ricevuti, testardo e così megalomane da far apparire Coppola una sorta di Mary Poppins, Cimino aveva vinto tutte le battaglie in sede di pre-produzione, inclusa quella per un cast di attori poco noti come Kris Kristofferson, Isabelle Huppert, Christopher Walken e John Hurt, e soprattutto quella per il diritto contrattuale a sforare, pur di far uscire il film per il Natale 1979, come richiesto dalla UA. Dopo molti ritardi, la lavorazione è iniziata il 16 aprile a Kalispell, Montana, con un budget di 10 milioni di dollari.
Il perfezionismo di Cimino non aveva limiti ed è stato evidente fin da subito che le riprese procedevano a passo di lumaca. Il budget prevedeva una tabella di marcia di due pagine al giorno (su 133 complessive), ma i tempi effettivi erano di circa cinque ottavi di pagina al giorno. Dopo le prime due settimane, Cimino era già in ritardo di dieci giorni (e di quindici pagine). Ha iniziato a perdere terreno al ritmo di un giorno per ogni giorno di riprese. Costruiva, distruggeva e ricostruiva interi set, oltre ad assumere tonnellate di comparse. Girava ogni scena dieci, venti, trenta volte, e stampava quasi ogni ripresa, più di 3 chilometri di pellicola al giorno (l’equivalente di tre ore), per un costo di 200.000 dollari al giorno, ovvero un milione a settimana. Il primo giugno, dopo un mese e mezzo di riprese, aveva già bruciato i 10 milioni del budget iniziale. Ma restavano da girare ancora 107 pagine e tre ottavi. Albeck ha calcolato che di quel passo il film sarebbe costato alla compagnia, esclusa la pubblicità, circa 43 milioni e mezzo di dollari. Quando Field ha fatto visita al set, Cimino si è rifiutato d’incontrarlo. In pratica, Bach e Field erano inermi. Come sottolinea Tanen, dire: “Blocchiamo il film, sei licenziato” era diventato rischioso. “Il sindacato dei registi aveva tirato fuori la regola del licenziamento solo per giusta causa, e a conti fatti, non conveniva buttar fuori qualcuno da una produzione. Perciò l’atteggiamento è diventato: 'Ok, cerchiamo di arrivare in fondo al tunnel'”.
I due hanno fatto visita al set una seconda volta, con l’intenzione di imporgli un ultimatum. Ma quando Cimino ha mostrato loro il montaggio provvisorio, sono rimasti senza parole per la bellezza di ciò che hanno visto; e hanno fatto marcia indietro. “È come se David Lean si mettesse a fare un Western”, ha detto Bach ad Albeck. Anziché fare una lavata di capo a quel discolo di regista, si sono congratulati con lui e sono tornati a casa. Secondo il dirigente della UA Chris Mankiewcz, dimessosi in un momento di rabbia subito prima della promozione di Bach e Field: “Quei due ci tenevano così tanto a passare per quelli che avevano prodotto ‘un film di Michael Cimino’, che si sono fatti mettere i piedi in testa in un modo davvero vergognoso”.
Al termine della lavorazione, il 2 ottobre, quattro mesi e mezzo dopo l’inizio delle riprese, Cimino aveva girato quasi 460 chilometri di pellicola (circa 220 ore), e ne aveva stampati poco meno di quattrocento. I giornali hanno subodorato lo scandalo all’orizzonte e si sono lanciati a capofitto sulla storia. La UA doveva già portare il peso di 'Apocalypse never', apocalisse mai. Ora la rivista “Time” definiva I cancelli del cielo come 'Apocalypse next', la prossima apocalisse.

(Peter Biskind, Easy Riders, raging bulls. Come la generazione sesso-droga-rock'n'roll ha salvato Hollywood, Roma, Editoria & Spettacolo, 2007)





Gli anni Settanta furono salutati come il decennio in cui Hollywood produsse un 'cinema d’autore' o, per usare il sottotitolo di un famoso libro, fu il periodo in cui “la generazione del cinema conquistò Hollywood”. Il regista John Milius proclamò: “Ora, il potere è nelle mani dei cineasti”.
Molti dei prodotti della rinascita di Hollywood si prestano a un’analisi di tipo autoriale molto più che non la maggior parte dei film hollywoodiani. [...] La Renaissance è legata al nome di registi come Altman, Coppola e Scorsese oltre che a singoli titoli di film. Gli studi su questo movimento sono spesso organizzati secondo criteri autoriali: un capitolo su ciascuno dei registi sopraelencati con, al loro fianco, Brian De Palma, George Lucas, Steven Spielberg e forse pochi altri. Alcune delle restrizioni sulle attività dei registi-aspiranti-autori erano state tolte, ma non in grazia di un potere di cui godessero i registi stessi. Lo spazio concesso a questo tipo di cinematografia fu creato in larga misura dalle particolari circostanze in cui si trovava l’industria a quel tempo. Qualunque concetto di autorialità individuale a Hollywood deve essere sempre accompagnato da considerazioni relative all’industria, sia in rapporto a fattori specifici associati con particolari momenti storici, come il periodo della Renaissance, sia in rapporto alla produzione hollywoodiana nel suo complesso.
La libertà di cui si godeva durante la rinascita di Hollywood era una concessione dei grandi studios ai cineasti e poteva anche essere tolta. L’industria, trovandosi in difficoltà, si aggrappò a una nuova generazione di registi promettenti che sembravano in grado di attirare un pubblico rinnovato e più giovane. La libertà fu frutto dell’incertezza e del momento di transizione; non durò. Entro la fine degli anni Settanta il potere era tornato prevalentemente nelle mani dei dirigenti di produzione, ad eccezione di uno dei due cani sciolti come Kubrick (la cui libertà dipendeva in parte dalla sua reputazione di non sforare i budget, anche se non rispettava sempre i tempi), di 'autori' che investirono molto nei film commerciali del filone dominante, o di chi era disposto a lavorare con ristretti margini economici.
Secondo alcuni, ciò avvenne soprattutto a causa degli eccessi di certi registi. La maggior parte della colpa viene attribuita di solito a Francis Ford Coppola e Michael Cimino, accusati di essersi approfittati della libertà loro concessa all’apice della Hollywood Renaissance. I passati successi, specialmente nel caso di Coppola, li portarono ad avere troppa libertà d’azione. I risultati furono pellicole come Apocalypse Now (1979) e I cancelli del cielo (Heaven's Gate, 1980), epiche di dimensioni ciclopiche che sfondarono di gran lunga i costi preventivati e non rispettarono i tempi di lavorazione, il prezzo del compiacimento visionario dei loro 'autori'. Apocalypse Now fu anche ostacolato da imprevedibili difficoltà ma infine si riscattò in una certa misura dopo una lavorazione travagliatissima che quasi triplicò il budget iniziale di 12 milioni di dollari. Recuperò i costi di produzione con gli incassi al botteghino negli Stati Uniti e ricevette numerose candidature per l’Oscar ma danneggiò durevolmente l’affidabilità industriale di Coppola. Il budget dei Cancelli del cielo lievitò dalla cifra iniziale di 7,8 milioni di dollari a 40 milioni, senza considerare i costi promozionali, e fu un fiasco al botteghino. Da allora il film è diventato leggendario per aver contribuito alla decisione della Transamerica di vendere la United Artists e causato allo studio un prolungato periodo di crisi e di instabilità.
La verità su quello che avvenne in questo periodo è ben più complessa di quanto non dica la storia dei 'registi senza freni'. Gli eccessi di film come Apocalypse Now e I cancelli del cielo derivarono da una combinazione di fattori. Per molti aspetti, i due film possono rientrare nella Nuova Hollywood, in particolare per la rivendicazione di essere considerati film epici d’arte creati da registi-autori. Nel contempo, si trovarono imprigionati in una certa misura nella logica del blockbuster. Il vero giro di boa nelle fortune di Hollywood alla metà degli anni Settanta fu la conseguenza di questa combinazione. Il nuovo stile del blockbuster, come si presenta nello Squalo e in Guerre stellari derivò – ma anche si allontanò – dalla rinascita di Hollywood, con la regia di figure chiave della generazione dei 'ragazzacci del cinema', Steven Spielberg e George Lucas. La libertà d’azione di Coppola e Cimino per Apocalypse Now e I cancelli del cielo non fu semplicemente dovuta al fatto che lo studio – United Artists in entrambi i casi – aveva demandato il controllo ai singoli registi. Lo studio si stava servendo del nome dei registi come parte di una strategia in atto, quella di programmare e pubblicizzare la produzione di prestigiosi blockbuster, che però si rivelò fallimentare, specialmente nel caso dei Cancelli del cielo.
Registi come Coppola e Cimino erano in parte da biasimare, come sostiene Jon Lewis: “Avevano talmente rilanciato le puntate e i costi – si erano così fissati sul fare dei grandi film – da giocare in effetti il tutto per tutto su ogni singolo pacchetto che contasse sul loro prestigio autoriale”. Ma gli studios non erano certo vittime innocenti. Ben poco del loro reale potere fu messo nelle mani dei cineasti. La concessione di una certa libertà a una nuova generazione di registi era un’utile mossa strategica da parte degli studios in un momento di difficoltà. Se ne servirono per sfruttare idee che si dimostrarono vincenti per attirare spettatori, vuoi specifici (come il pubblico giovanile) vuoi più generici (con il blockbuster inteso come film evento che era anche costruito in gran parte intorno a un nucleo di spettatori più giovani). Se ne servirono anche i dirigenti degli studios per salvaguardare i loro posti, un fattore fondamentale nella vita quotidiana della gerarchia di Hollywood. Quando le cose cominciarono ad andare male, “i dirigenti degli studios si trovarono nella posizione di biasimare non solo i singoli registi ma anche lo stesso sistema che gli studios avevano sfruttato in precedenza. Dando il loro sostegno a un autore del cinema americano negli anni Settanta, i dirigenti degli studios mantenevano una posizione che li assolveva da ogni responsabilità, qualora il periodo degli autori giungesse alla fine non importa quando o come” (Lewis).

(Geoff King, La nuova Hollywood. Dalla rinascita degli anni Sessanta all'era del blockbuster, Torino, Einaudi, 2004)