Il ciclo di Doinel

Il ciclo di Doinel

Al di là della loro identità di tema, di personaggi, di tono, al di là della comunanza di oggetto o di ispirazione, è dalla stessa durata che essi derivano, durata che essi generano e dalla quale nascono, come unica scena e unico oggetto del loro gioco. Si tratta, beninteso, dei film della serie di Doinel. Quattro lungometraggi, un cortometraggio, distribuiti nell’arco di vent’anni (1959, 1962, 1968, 1970, 1979). Essi narrano la storia (o piuttosto le storie) di uno stesso personaggio in epoche diverse della sua vita, circondato dagli stessi amici, le stesse relazioni, negli stessi luoghi. Il tono è lo stesso in tutti i film, leggero, legato a situazioni spesso anodine, mescola la commedia alla tragedia, dando uguale importanza ad entrambe. Ma, malgrado tutti questi elementi comuni, ciò che fa la forza, il grande interesse e l’originalità di questa 'saga', è l’unità formale che le conferisce il trattamento temporale, attraverso la totale dispersione dei suoi episodi, dei suoi elementi, delle sue azioni. qui non c'è più questione di linearità, e tuttavia abbiamo a che fare con l’esito meglio riuscito di tutta l’opera di Truffaut, quello che forse chiarisce ed illumina tutto il resto.
Con questi cinque film si rivela infatti una concezione dell’unità – e dunque dell’opera cinematografica stessa – più sottile e più solida che in qualsiasi altro film più compiuto, più autonomo. Ciò che una tragedia lineare (o di tipo troppo semplicistico) non può ottenere, qui si realizza secondo un ampio respiro. Da I 400 colpi a L’Amour en fuite, si disegna a poco a poco, si compone, si modella, fra contraddizioni e riprese, fra annunci e ritorni all’indietro, un’opera complessiva che acquista un senso nell’atto stesso di completarsi.


A dire il vero, è nel non aver senso e rammentarlo continuamente, nel non avere un fine e compiacersene, nel divertirsi nella divagazione, che la serie di Doinel trova la sua compiutezza, la sua forma ultima. Il racconto, che non è più lineare, ma rotto, disgiunto, ripreso, non si conclude dentro una certa durata, ma piuttosto quando la sua forma stessa, che è la 'messa in film', la realizzazione cinematografica, è sufficientemente piena e costituita. Alla semplicità di una cronologia determinata, si sostituisce la temporalità di una narrazione sottile, che gioca su una forma tutta propria. In confronto alla narrazione proustiana, formata di ricordi che fanno del tempo e dei suoi elementi gli agenti della sua costituzione, la narrazione di Truffaut, secondo altre determinanti e altre modalità, trova la sua coerenza nella disseminazione della temporalità.


Truffaut si è sempre rifiutato di ammettere l’idea di un seguito, o il progetto di un 'ciclo' Doinel al tempo della realizzazione di Baisers volés o di Domicile conjugal. Ciononostante, a partire dal secondo degli 'episodi', il cortometraggio Antoine et Colette, il riferimento al primo si insinua nel corpo stesso del film, il 'ritorno' è più che allusivo, è effettivo: viene ripresa integralmente una scena de I 400 colpi, quella della serata dei ragazzi che fumano i sigari, bevendo una bottiglia di vino e giocando a dama con i dadi. Questa ripresa di una scena intera, in un film di durata ridotta, indica chiaramente la preoccupazione di mantenere un legame fra i personaggi, ma più ancora, trattandosi di un ricordo «affettivo», la preoccupazione di una temporalità non rigida, che si possa modellare a piacere. È naturalmente nell’ultimo dei film della serie che si manifesterà in tutta la sua pienezza questa espressione sintetica di un tempo che non sempre obbedisce alle norme dell’abitudine irreversibile. Mentre prima avevamo assistito, classicamente, a episodi che si susseguivano cronologicamente e avevano dunque un posto strettamente determinato nella totalità del racconto, da cui si deduceva l’unità dell’insieme, qui ci troviamo davanti ad una totalità di cui nulla lascia prevedere il fine, né la finalità. (Cosa che, beninteso, accredita e conferma l’assenza di un’idea preconcetta da parte del regista). Bisogna attendere L’Amour en fuite e il tour de force che esso rappresenta, perché l’opera nel suo insieme si componga. Come una notevole operazione di «messa in prospettiva» delle Avventure di Antoine Doinel, l’ultimo film sviluppa l’opera al di fuori di qualsiasi linearità, ne piega la trama secondo altri angoli, insegnandoci a riscoprirla, a riscoprire soprattutto la molteplicità delle sue possibili combinazioni. Perché ne L’Amour en fuite, il racconto è funzione di una temporalità la cui elasticità è capace di sopraffare qualsiasi altro elemento di rigidità.

Vincent Amiel, Intrecci (La storia di Antoine Doinel), in Francois Truffaut. L’intrigo, il turbamento, l’amore nell’opera di un homme-cinéma a cura di Mario Simondi, La casa Usher, Firenze, 1981