La colonna sonora di Giovanni Fusco

La colonna sonora di Giovanni Fusco

Il compositore chiamato a collaborare al suo primo lungometraggio è Giovanni Fusco, l'alter ego musicale di Michelangelo Antonioni. In un primo tempo, Resnais si era rivolto a Luigi Dallapiccola, uno dei nomi più importanti del Novecento europeo e il principale divulgatore della dodecafonia in Italia, che però con rammarico aveva dichiarato la propria impossibilità a prendere parte a un simile progetto. La scelta, quanto mai appropriata, cadde allora sul maestro beneventano. Il linguaggio di Fusco sembra essere naturalmente predisposto a dialogare con le immagini in movimento e, ancor più, con quelle di un film come Hiroshima mon amour. La stessa natura dei suoi parametri possiede una naturale vocazione cinematografica che viene esaltata da un film in cui la musica, difficilmente inquadrabile all'interno delle consuete tipologie, esercità una funzione di primissimo piano. La partitura, innanzitutto, prevede una formazione cameristica, con un piccolo ensamble di legni, archi e il pianoforte. Evitando in maniera molto ferma e decisa le grandi formazioni orchestrali, secondo le abituali consuetudini hollywoodiane, Fusci utilizza gli strumenti spesso in chiave solistica, esaltando il loro timbro e le loro caratteristiche idiomatiche. Si pensi alla delicata Berceuse dell'ottavino che viene posta a commento delle strazianti immagini della città dopo l'esplosione atomica. Questo strumento, qui utilizzato in una situazione apparentemente lontana da quelle tradizionali a cui è abitualmente chiamato, si rivela poeticamente efficacissimo per commentare il bianco e nero di quelle immagini desolanti, evitando qualsiasi forma di patetica retorica.
In secondo luogo, circostanza che ancor più s'impone con le caratteristiche dell'evidenza, la musica di Fusco privilegia il parametro ritmico. Se nel cinema di Antonioni erano frequenti i ballabili – le colonne sonore dei suoi film sono letteralmente affollate da slow, samba, rumba e twist, che in qugli anni imperversavano nella musica da consumo –, in Hiroshima mon amour troviamo invece molti ostinati, a partire dal primo numero della partitura, che connotano marcatamente le melodie. Si viene così a creare quel particolare effetto di “martèlement du temps” (François Porcile) che porta ad apprezzare il ritmo interno delle immagini privandole di effetti sentimentali, drammatici oppure patetici.
Tutto questo contribuisce a rendere irrilevante la presenza del parametro melodico: la musica di Fusco si esprime in maniera del tutto antidescrittiva e raramente dà vita a dei temi, articolandosi invece per frammenti, con suoni isolati spesso privi di qualsiasi forma di concatenazione. Abbiamo così un tematismo discontinuo dove la melodia, benchè non del tutto ripudiata, viene comunque affiancata da valenze referenziali esatte e biunivoche, lasciando ampi spazi a suoni astratti, fraseggi sospesi e abbozzi motivici irrisolti. In questo modo, non soltanto si evitano e tradizionali sottolineature espressive e qualsiasi valenza referenziale, ma vengono meno anche le banali finzioni narrative da 'segnaletica stradale' che allora imperversavano nella musica da film. La sobrietà di questa scrittura, per cui la musica diviene 'scheletro di se stessa', utilizzando una celebre immagine coniata per le composizioni di Fusco, spesso dipana dei momenti contrassegnati da un notevole nitore espressivo, come accade nel “tema dei corpi”, dove un breve corale assume le caratteristiche di un lamento.
Molto interessante appare anche la maniera con cui i “temi” vengono articolati all'interno del racconto filmico. Seguendo un principio tipico delle forme classiche, nella partitura di Hiroshima mon amour essi vengono disposti circolarmente, con il 'tema dell'oblio' all'inzio e alla fine. La medesima struttura si riflette anche nel prologo del film , con la cadenza del 'tema dei corpi' che ripercorre quasi fosse un suo ideale refrain.

(Roberto Calabretto, La musica secondo Resnais, (Alain Resnais, L'avventura dei linguaggi, a cura di Roberto Zemignan, Il Castoro, Milano 2008)

Hiroshima mon amour debutta con una sorta di prologo che potrebbe costituire un cortometraggio sulla città atomizzata. Questo prologo dispone anche di una partizione ininterrotta. Ma ancora là, più che mai, l'agglutinazione immagine-testo-musica è straordinaria. Due corpi intrecciati formano l'oggetto del primo piano: poi si alza una voce maschile dall'accento straniero, che presto si da il cambio con una voce femminile: “Ho visto tutto a Hiroshima”. Lei ha visto l'ospedale, il museo, le notizie, i sopravvissuti, il turismo, la ricostruzione, il fiume, le strade. Tutte queste evocazioni sono intervallate dalle misteriose immagini di due corpi e ritmate da un testo vicino al delirio che salmodia una dizione a metà strada tra il sogno e la veglia.
Musicalmente, i corpi sono dotati di un tema proprio che emerge in ciascuno dei loro ritorni sullo schermo. Quanto alle viste della città, producono secondo le sequenze dei temi particolari. Notiamo il ruolo di contrappunto del motivo Museo, rapido ed inquietante, sulle lente immagini di coloro che passeggiano e le fotografie. Notiamo ancora il canto contralto-contrabbasso sulla ricostruzione (“questo ricomincerà”, dice il testo), la vasta panoramica sulla città distrutta, sottolineata dall'ottavino punteggiato dal corno.
Un incontro soprendente si situa nella sequenza del museo che non è priva di analogie con l'universo concentrazionario. Fuggevolmente sorge un breve motivo di cui le prime battute ripetono quasi esattamente un tema di Nuit et Brouillard. Ora, il compositore italiano Giovanni Fusco non aveva mai visto il film ne i campi di morte ne sentito lo spartito di Eisler. Non c'è da stupirsi, dirà lui, è Resnais che guida la mano del musicista.

(Henri Colpi, Musique d'Hiroshima, “Cahiers du Cinéma”, n. 103, gennaio 1960)