Alain Resnais sul film

Alain Resnais sul film

Chiaroscuro

L'episodio di Nevers si può dire sia più onirico che realistico, senza che questo sia dovuto a un procedimento caratteristico come il chiaroscuro...
Il chiaroscuro non è obbligatoriamente il tono del ricordo, è vero; [...] un procedimento particolare è stato usato nell'episodio di Nevers, che consiste nell'impiego di pellicole diverse, di operatori differenti – in Giappone avevo Michio Takahashi, qui Sacha Vierny – e di obiettivi con focali diverse. Per quanto riguarda i dettagli troppo precisi, li abbiamo evitati. Così abbiamo messo qualche cartello, ma alla fine abbiamo finito col toglierli; mi dicevo che dovevamo potercela cavare... ma effettivamente... si, penso che abbia ragione: c'è senza dubbio qualcosa d'altro nel tono di Nevers... vedo ciò che può spiegare in parte questa impressione: le immagini ottenute grazie alle focali lunghe che Vierny e io abbiamo scelto, e che rallentano il movimento, si trovano forse a coincidere con l'elemento attesa che caratterizza essenzialmente il periodo dell'Occupazione. Ha notato, per esempio, il momento in cui la madre corre verso la figlia che è nascosta dietro un albero? Ha un modo lento di correre, non maldestro, no... scomodo, se posso dir così; insomma, ho voluto ottenere immagini scomode. Ma noti che gli obiettivi a focali lunghe sono già stati utilizzati per creare effetti analoghi. Infatti, contrariamente a quel che si dice, non c'è niente nel mio film che sia assolutamente nuovo. Tutto è già stato fatto... gliel'assicuro.
L'origine di Nevers? Ebbene, avevo chiesto a Marguerite Duras di scrivermi una storia nel tono del recitativo, in cui il passato non sarebbe stato espresso da veri flashback, ma si sarebbe trovato praticamente presente lungo tutta la storia. Il film si trova così a raggiungere la mia preoccupazione di “fare opera”: sono partito dal recitativo e spero un giorno di riuscire a fare qualcosa di più puramente lirico, fino al canto. Mi sarebbe piaciuto, per esempio, che il commento di Le Chant du styrène, fosse cantato.
Per tornare alla nostra sceneggiatura, abbiamo scelto Nevers come luogo dell'azione passata perché era un bel nome e in seguito abbiamo studiato la città. Insomma, ho fornito a Marguerite Duras la concezione algebrica dell'opera. In seguito, le ho chiesto di scrivere tutta la storia degli avvenimenti e dei personaggi come se dovessimo filmarla integralmente. Volevamo sapere tutto di loro, avere un basamento sul quale edificare. Lo precisavamo nel corso delle nostre conversazione e glielo facevamo scrivere.



Hiroshima e Nevers

Avevamo detto che potevamo tentare un esperimento con un film dove i personaggi non avrebbero partecipato direttamente all'azione tragica, ma o se ne sarebbero ricordati, o lo avrebbero provato praticamente. Volevamo creare in un certo qual modo degli anti-eroi, la parola non è assolutamente esatta, ma esprime bene ciò a cui pensavamo. Così, il giapponese non ha vissuto la catastrofe di Hiroshima, ma ne ha una conoscenza intellettuale, ne è a conoscenza, così come tutti gli spettatori del film – e noi tutti – possiamo dall'interno sentire questo dramma, provarlo collettivamente, anche senza aver mai messo piede a Hiroshima.
Ho letto con sbigottimento che alcuni valutavano l'esplosione della bomba ed il dramma di Nevers come se l'uno avesse voluto essere l'equivalente dell'altro. Non è assolutamente questo. Al contrario, si oppone il lato immenso, enorme, fantastico di Hiroshima e la minuscola piccola storia di Nevers, che abbiamo rinviato attraverso Hiroshima, come il chiarore della candela è rinviato ingrandito ed invertito dalla lente.



Dissolvenze

Le dissolvenze... è curioso che prima non ne avevo mai fatte. Non ne volevo, né alcun trucco. Era persino un motivo di fierezza per me, e invece in questo film... è che io ho molta paura delle regole. Non voglio rinchiudermici. Penso anche che niente è superato e che è assurdo dire: questo l'ho fatto tale in una certa epoca e dunque non posso più farlo. Se domani si volessero fare delle chiusure a iride o se si volesse fare apparire in sovrimpressione un personaggio nell'angolo dell'immagine, se ne avrebbe perfettamente il diritto. È assurdo promulgare tali divieti. [...]
La donna? Si, si possono porre molte questioni su di lei. Ciò che la riconduce senza tregua nel suo passato è che sente parlare d'amore in una lingua straniera e che in altri tempi un'altra lingua straniera ha significato per lei l'amore.
Quanto a sapere se lei rimarrà o meno con il suo amante... per me, non credo che possa. Non si vive ciò che ha vissuto lei, e con questa intensità, senza che una rottura si produca molto velocemente. Se si separano, in tutti i casi non è perché sono entrambi sposati. Semplicemente sentono che è vicino il momento in cui si lasceranno. Del resto la ragazza non avrebbe raccontato la sua storia se non avesse avuto la certezza che non avrebbe potuto restare. È un po' il suo lato masochista. [...]
L'essenziale, infatti, è che ci si attacchi ai personaggi per amarli, poi li si detesti, e che si crei un movimento di andata e ritorno della simpatia dello spettatore, un'azione che colmi l'assenza di azione, di intrigo propriamente detto.



Giappone e Francia

Quando comincio a discutere con il direttore della fotografia, ho finito i sopralluoghi. Gli mostro le foto che ho scattato, che servono come base alla discussione; ma sono fotografie illuminate solo dalla luce naturale, il che può talvolta darci delle indicazioni. Per Hiroshima mon amour, per esempio, Vierny ha fatto la parte francese, mentre quella giapponese era stata fatta dall'operatore giapponese Michio Takahashi, e si è divertito a fare un gioco, cioè a non vedere la parte girata in Giappone. Ciò che volevamo era girare nel modo più giapponese possibile da una parte e nel modo più francese possibile dall'altra. Vierny se ne diverte ancora molto, perché ha visto le inquadrature dopo le quali sono state messe le sue solo alla verifica presso Eclair.
[...] L'abbiamo stabilito insieme, ritenevamo che la storia di Nevers avesse una sua propria continuità, che passava tutta nella testa dell'eroina, era una visione soggettiva e la storia giapponese era un altro film. Si trattava di un film di montaggio e più c'erano differenze tra le due tecniche fotografiche più eravamo contenti.
[...] Tutto accade senza molta riflessione, è difficile analizzarlo. Si cerca subito, nelle sedute di lavoro, durante la lettura del découpage inquadratura per inquadratura, di cogliere la coerenza generale del film. In un certo progetto si utilizzeranno molto gli stacchi, in un alcuni si valorizzeranno gli sfondi, in altri, al contrario, li si farà sparire, oppure si cercheranno delle cesure da inquadratura a inquadratura e dunque una fotografia abbastanza lineare per accentuare questi passaggi. Naturalmente avrò le medesime sedute di lavoro anche con l'operatore. Si deve arrivare a una sintesi di queste tre teste, di questa specie di triangolo: direttore della fotografia, operatore e regista.



Una costruzione pericolosa

In definitiva, credo che, se si definisse il film attraverso un diagramma eseguito su carta millimetrata, si finirebbe con lo scoprire una forma prossima alla forma sonora del quattro: temi, variazioni a partire dal primo movimento, da cui le ripetizioni, i ritorni, che possono essere insopportabili per coloro che non entrano nel gioco del film. L'ultimo movimento, specialmente, è un movimento lento, sconcertante. Vi è un decrescendo. Questo dà al film una costruzione a triangolo, a imbuto. Evidentemente è una costruzione pericolosa.

Brani tratti da Entretien avec Alain Resnais, intervista di Michel Delahaye, “Cinéma 59”, n. 38, luglio 1959 (tr. it. in Alain Resnais. Il metodo la creazione lo stile, a cura di Maurizio Regosa, Biblioteca di Bianco & Nero, Marsilio, Venezia 2002).