Metafisica degli uccelli

“Il film più terrificante che io abbia mai fatto”
Alfred Hitchcock

 

François Truffaut: Fino dal 1945, quando si parla della fine del mondo, si pensa evidentemente alla bomba atomica. Non ci si aspetta che al posto della bomba atomica ci siano migliaia di uccelli...
Alfred Hitchcock
: È per questo che lo scetticismo verso la possibile catastrofe è espresso da una donna anziana, l’ornitologa; è una reazionaria, una conservatrice, non può credere che una cosa grave potrebbe succedere con degli uccelli.
F.T.: Ha avuto ragione lei a non motivare l'azione aggressiva degli uccelli. Il film è chiaramente una costruzione intellettuale, una fantasia.
A.H.: È proprio così che vedevo la cosa.

(François Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, Pratiche Editrice 1996)




Nel suo film tecnicamente più complesso, Gli uccelli, Alfred Hitchcock affronta direttamente il tema dell’aspetto distruttivo e rapace della natura, da sempre implicito nella sua fascinazione per il crimine. Federico Fellini definì questo film un “poema apocalittico”. Io colloco Gli uccelli nella linea principale del Romanticismo inglese, discendente diretto degli scarni quadri naturalistici e delle sinistre femmes fatales di Coleridge.
(Camille Paglia, Gli uccelli di Alfred Hitchcock, Liberal Libri 1999)




Cinquantesimo titolo di Hitchcock, lavoro sottile e complesso che fa seguito al più grande successo del regista, Psyco, Gli uccelli è un film molto diverso, e non solo perché questa fantasia apocalittica è la sua opera più astratta, come ha notato Dave Kehr, ma anche perché il passaggio dal bianco e nero al colore e al formato widescreen va di pari passo con l’astrazione. La stessa astrazione si estende a cosmici campi lunghi degni di un Kiarostami che sembrano posti più come questioni filosofiche che come risposte retoriche. E non appena ci accorgiamo che i capelli biondi e il tailleur verde dell’insolente eroina, Melanie Daniels (Tippi Hedren), sono coordinati alla coppia di pappagalli inseparabili che la giovane porta a Bodega Bay per proseguire l’elaborato duello di sarcasmo e seduzione avviato con l’indisponente estraneo Mitch Brenner (Rod Taylor), è già chiaro che Hitchcock ha in mente qualcosa di metafisico, oltre che fisico.
Ciò che mantiene il suo spaventoso spettacolo così imprevedibile è che la spiegazione del comportamento aggressivo degli uccelli non arriva mai. (Nelle interviste Hitchcock disse che Gli uccelli era un film sull’“autocompiacimento”, senza specificare se si riferisse ai personaggi, al pubblico, o a entrambi). Quello che invece arriva, in un possibile parallelismo con Psyco, è l’arbitraria premessa drammatica della violenza assassina. L’improvvisa fuga dalla città di un’eroina bionda diventa un’immersione nella natura selvaggia, un viaggio verso l’inspiegabile e irrazionale furia della giustizia divina, in qualche modo associata agli uccelli impagliati nell’ufficio di Norman Bates.
Quando ci viene detto che gli uccelli hanno colpito anche Santa Rosa, cogliamo un riferimento di Hitchcock a L’ombra del dubbio, suo precedente studio a doppio taglio su una famiglia disfunzionale in una cittadina della California. Richiamando le rime interne di quel film tra una nipote e uno zio entrambi chiamati Charlie (Teresa Wright e Joseph Cotten), Gli uccelli giustappone personaggi resi più forti (come Melanie) e/o più deboli (come la madre di Mitch, Jessica Tandy) da una crisi morale condivisa e circondati da vicini eccentrici dai diversi temperamenti.

(Jonathan Rosenbaum)




Gli uccelli
è il prototipo di un nuovo genere – il film catastrofico (disaster film) – che porterà fiumi di dollari nelle casse della Universal negli anni Settanta. […] Divenuto egli stesso una star Hitchcock aveva ragione di pensare che avrebbe potuto fare a meno di attori importanti e di dare spiegazioni in merito agli attacchi degli uccelli. Dopo tutto un lungo trailer in cui si rivolgeva al pubblico per parlare delle relazioni tra gli essere umani e “gli amici alati” (versione satirica del delizioso, quanto altisonante trailer realizzato da DeMille per I dieci comandamenti) avrebbe dato l’idea che gli uccelli, nel film, si stessero vendicando di secoli di abusi. Ma la campagna promozionale aveva creato delle attese che furono disattese nei primi quaranta minuti del film. Quando gli uccelli fanno irruzione in un spasmodico crescendo di violenza, essi sono anche proiezioni del nostro desiderio nascosto. Ancora peggio, il nostro sadismo di spettatori (che sembra rivolto in particolare ai bambini) viene denunciato da una madre isterica che guarda dritto nella macchina da presa e, rivolta a Melanie, afferma “Credo che lei sia la causa di tutto ciò! Credo che lei sia il Male!”. […]
Gli attacchi successivi sono inframmezzati da scene all’interno di un caffè o nella casa di Brenner, dove si alza il sipario sul piccolo teatro di Hitchcock: periodi di tregua che ci consentono di nuovo di fare il pieno di impulsi violenti che ci hanno spinti ad acquistare il biglietto. Questa volta il climax non avviene in un bagno o in una cantina, ma in una soffitta, nella quale gli uccelli con il becco aperto volano dritto verso la macchina da presa, fino a quando Melanie è ridotta un bell’involucro svuotato dal trauma: non vede più, può soltanto essere vista. Dato che il film sarebbe finito a questo punto, Hitchcock eliminò un finale in cui la famiglia fugge sulla decappottabile di Melanie, inseguita da uno stormo di uccelli e riesce a salvarsi grazie a un miracolo invocato da Lydia mentre recita il Padrenostro. Decise invece di concludere con un miracolo ambiguo, l’inquadratura dell’auto che spezza in due lo stormo, come fosse il Mar Rosso, per svanire in lontananza e lasciarsi alle spalle uno schermo pieno di gracchianti aggressori: i nostri desideri inappagati.

(Bill Krohn)