Nicholas Ray

Nicholas Ray

In un’intervista rilasciata ai “Cahiers du Cinéma” nel 1957 l’autore di Gioventù bruciata spiegava che il suo label personnel era sempre stato: “Quaggiù sono uno straniero”; ed aggiungeva: “La ricerca di una vita piena è — paradossalmente — solitaria. Ritengo che la solitudine sia molto importante per l’uomo, purché non gli nuoccia”.

All’anagrafe Raymond Nicholas Kienzle, nasce nel 1911 in una piccola borgata del Wisconsin, trascorre l’infanzia a La Crosse (dove due anni prima di lui era nato Joseph Losey) e in età giovanissima manifesta le sue doti per il teatro, la musica e l’architettura. Segue i corsi di Frank Lloyd Wright la cui influenza sarà determinante per la sua opera (“mi ha insegnato – ammetterà – un modo del tutto particolare di porre lo sguardo sulle cose”) e stringe un rapporto di amicizia con Elia Kazan del quale nel 1935 interpreta un testo teatrale intitolato The Young Go First.

Nel 1944 ne sarà l’assistente per il suo primo film, Un albero cresce a Brooklyn. Lavora anche con John Houseman, allora direttore della compagnia teatrale La Phoenix. Proprio quest’ultimo lo avvia alla regia cinematografica affidandogli nel 1947 la realizzazione di un primo film, La donna del bandito (They Live By Night): la storia d’una giovane coppia braccata dalla polizia, dal romanzo di Edward Anderson, Thieves Like Us, di cui Robert Altman farà un remake nel 1974 dal titolo Gang. In questa opera prima c’è già tutto il Ray che conosciamo: il romanticismo ardente, l’anticonformismo, il piacere della rivolta, l’attitudine a cogliere l’essenza delle cose e, in più, quella sorta di fuoco interiore che consuma gli esseri vulnerabili e non tarderà ad avvolgere anche lui. Il film verrà scoperto ed apprezzato in Europa prima di essere distribuito (tardivamente) negli Stati Uniti.

Nel frattempo Ray ha girato un secondo film decisamente meno personale, Hai sempre mentito (A Woman’s Secret, 1949) e, soprattutto, ne ha messo in cantiere altri due prodotti ed interpretati da Humphrey Bogart: Bassifondi di San Francisco (1949) e II diritto di uccidere (1950, vero e proprio diario intimo dei rapporti burrascosi con la propria vedette femminile Gloria Grahame che sposerà in seconde nozze per divorziarne quasi subito).

Ancora alcuni lavori di sussistenza, ed anche il pregevole Neve rossa (1952, con Robert Ryan e Ida Lupino), quindi una serie continua di opere molto riuscite: Il temerario (1952, romanzesca ballata di sapore faulkneriano), Johnny Guitar (1954, racconto fiabesco camuffato da western a tinte di fuoco), due western (All’ombra del patibolo, 1955, e La vera storia di Jess il Bandito, 1957) e, importantissimo, l’incontro ai vertici Nick Ray / James Dean: Gioventù bruciata (1955) il cui successo e il cui prestigio in qualche modo lo sovrasteranno.

L’accordo tra poesia delle intenzioni e padronanza della regia sembra ormai raggiunto, ma è un equilibrio che si spezza presto: 'dietro lo specchio' dell’establishment si agita lo spettro del fallimento, o delle 'amare vittorie'. Ray accende i suoi ultimi falò in due film di sapore quasi testamentario, d’un lirismo scapigliato: Il paradiso dei barbari (1958, un’opera che è stata definita 'tellurica' tanto il cineasta vi appare alle prese con gli elementi primordiali dell’universo) e Il dominatore di Chicago (1958, sorta di tragicommedia musicale barocca, con la mitica coppia Robert Taylor / Cyd Charisse). Ray vi si conferma maestro del colore nel virtuosismo delle sue pennellate porpora e oro. È a questo punto che nasce l’idea assurda di affidargli 'grosse macchine' commerciali. Non è quello il suo registro. Inciampa, successivamente, con Ombre bianche (in co-regia assieme all’italiano Baccio Bandini, 1960), Il Re dei re (1961) e soprattutto 55 giorni a Pechino (1963, con Ava Gardner). Durante le movimentate riprese di quest’ultimo film resta vittima di un infarto. Costretto a un prematuro ritiro dai produttori irritati dal suo temperamento ostinatamente indipendente, trascorrerà gli ultimi quindici anni della propria vita in una spossante solitudine resa ancor più pesante dalla malattia.

Verrà “recuperato” in extremis da un giovane ammiratore, Wim Wenders, che ne filmerà con il suo consenso la terribile agonia in Nick’s Movie – Lampi sull’acqua. Sarà un film postumo. Nicholas Ray muore di cancro il 17 giugno 1979.

(Claude Beylie, Nicholas Ray, in Dizionario Larousse del Cinema americano, a cura di Michel Ciment e Jean-Loup Passek, Gremese Editore, Roma 1998, pp. 469-70)