La critica

L'orrore, se di orrore si tratta, è un boomerang: non risiede nello spettacolo stesso – si cercherebbe inutilmente il minimo compiacimento esibizionista in Browning – ma nella perfetta naturalezza che presiede a questi giochi crudeli, condannandoci a passare dall'altra parte, a superare la barriera delle norme psicologiche, morali, estetiche, linguistiche, a vedere alla fine la realtà rivoltata come un guanto. Noi facciamo ben di più che “comprendere” i mostri, scopriamo attraverso i loro occhi penetranti una mostruosità ben peggiore, che è quella degli uomini. Sovvertimento esemplare, che si cercherebbe invano in film come Chained for Life (Harry L. Fraser, 1952) o Anche i nani hanno cominciato da piccoli (Werner Herzog, 1970).

Claude Beylie, Freaks, “Ecran 73”, luglio-agosto 1973




L'utilizzo dei freaks per creare degli effetti macabri, soprattutto nella sequenza finale, è molto abile ma sempre unito ad una calorosa comprensione della loro umanità.
Siamo terrorizzati ma allo stesso tempo vergognosi del nostro raccapriccio: perché ci ricordiamo che non si tratta di mostri ma di esseri simili a noi stessi, ci rendiamo conto che siamo stati ingannati dalle nostre stesse paure primarie. Veniamo immersi negli abissi del nostro io malato per comprendere che la più terribile disumanità che possiamo conoscere siamo noi stessi.
Ognuno dei freak siamo noi, ognuno di noi è uno di loro.

John Thomas, Focus on the Horror Film, Prentice Hall, New Jersey, 1972




Freaks
è il quinto film sonoro di Browning, ma in questo anno 1932, il cinema sonoro è ancora troppo vicino al cinema muto per non conservarne le strutture essenziali. […]
L'intrigo di un film interessava poco Browning, per quanto questo tipo di disinteresse potesse essere consentito nell'ambito del cinema hollywoodiano. Tutto il lavoro di questo cineasta era incentrato su quello che in americano si chiama la “characterization”: considera che l'intrigo doveva essere come il risultato naturale di questi “characters”. Freaks, che costituisce una sorta di summa teorica fra i quarantasei film di Browning (nei limiti di ciò che la lettura dei riassunti delle trame ci lascia presumere di un'opera misconosciuta e in larga parte perduta) presenta un ventaglio di tutte le possibilità di anomalie fisiche e non cessa di confrontarli, durante le scene del film, a dei personaggi “normali” che vivono accanto a loro nel circo. […] Piuttosto che raccontare le scene, è interessante enumerare i personaggi e precisare ciò che li unisce e li contrappone. Tra i “freaks”, tutti cercano l'amore: un certo numero, avversato per questo dai membri “normali” del circo che trovano questi sentimenti fuori luogo e ridicoli, sono protetti dall'amore materno della loro direttrice, Miss Tetrallini. Le sorelle siamesi sono successivamente corteggiate da un balbuziente poi da un uomo timido e sentimentale, mentre la donna barbuta, con grande gioia dei “freaks”, mette al mondo un bambino. Questi personaggi incarnano nel film la fantasia e anche la comicità (mentre Phroso, il clown che simula in un numero la scomparsa della sua testa nel suo corpo chiuso in un vestito troppo grande quando gli si dà un colpo sulla testa, suscita imbarazzo). Ma di fatto ci sono sei personaggi principali: Hercules il domatore, Cleopatra la trapezista, Phroso, il clown, Venere, e infine Hans e Frieda, i nani fidanzati.
[…] Tod Browning, con la sua ostinata costruzione cinematografica intorno al rapporto visuale e drammatico fra ciò che è ritenuto mostruoso e la normalità, realizza in Freaks un autentico teatro dei travestimenti, della perdita d'identità, delle metamorfosi.

Jean-Claude Biette, Tod Browning et “Freaks”, “Cahiers du cinéma”, n. 288, maggio 1978




Il circo è evidentemente l'immagine spettacolare del mondo da cui partono sia Tod Browning – che nel circo lavorò giovanissimo – che Lon Chaney, per il quale “il cinema è l'estensione della pantomima”. […] La figura del circolo del circo è senza dubbio la più chiusa, la più formalizzata e oppressiva; necessariamente 'equa', spietata e assoluta, perché dentro di essa da sempre si mette in scena ciò che di più violento e impressionante si possa: (non tanto il domatore con le belve quanto) la forza e le abilità del corpo umano in tutte le sue forme, in tutte le sue contorsioni tra il riso e il pianto. E non solo del corpo umano, ma del corpo. In un certo senso, il circo è il gulag degli eccessi e dei prodigi del corpo. […] Il cinema, magnifico gulag totale del mondo, mondo del mondo, apparentemente più 'libero' perché si mostra nelle forme della libertà (cioè 'è informe'), surroga, sostituisce il circo come forma teatrale, lo estremizza, lo distrugge. Nel loro amore per l'eccesso circense, Browning e Chaney mostrano come avviene tale distruzione. […]
Alla fine di Freaks, dopo un lungo racconto-parata di veri 'mostri', i più 'veri' (senza bisogno di Chaney), si ha il trucco preparato già anni prima da Browning con Chaney: quello della donna trasformata in gallina. La stessa Baclanova lì diventa Chaney, è veramente la donna-gallina, o meglio, dopo tale sequela di abnormità per un attimo di fronte a questa creatura 'impossibile' abbiamo la sensazione del normale, del 'naturale': non ci era stata presentata come 'natura' quella di prima? Uno di quei brevi attimi sufficienti a illustrare per sempre e ancora la vera ambiguità del cinema. […] Un cinema nel quale un corpo è senza braccia e poi le riacquista, in cui dei piedi lanciano coltelli, in cui un acrobata diventa uno storpio vendicativo e poi un santo, in cui un uomo nasconde le braccia di giorno per poter (oltre che rubare di notte) desiderare senza che se ne accorga e lo tema la bella che, in parte da lui istigata, ha paura di essere toccata dagli uomini, in cui una falsa donna-gallina è meno incredibile di un uomo-torso che si accende la sigaretta.
E questo meccano è bellissimo, ed è un gioco che fa paura, questo smontarsi-rimontarsi del corpo, questa esibizione di ferite nel corpo dei desideri, questa stessa ambiguità dell'irriconoscibile se non nella piaga; paura di non poter essere distinti, di diventare galline o di esserlo già.

Enrico Ghezzi, Il trucco e il corpo (appunti da Lon Chaney e Tod Browning), “Filmcritica”, n. 276, giugno 1977