Messico e melodramma

Messico e melodramma

María Candelaria, non fosse che per le alchimie del fotografo Gabriel Figueroa, ha fatto uscire il cinema messicano dall'ombra in cui l'Europa non cercava nemmeno di scorgerlo [...]. Tra i film venuti da questo paese in cui la folgorante lezione di Ejženstejn non è stata dimenticata, Enamorada ha un accento particolare. Il film celebra le soldateras, le mogli dei soldati che seguivano i loro uomini fino al campo di battaglia e talvolta combattevano al loro fianco. [...]
Il film s'impone per la sua placida forza e per la fede del regista nella propria arte, oltre che per alcune trovate di autentica bellezza. Citiamo almeno la ripresa di un uomo a cavallo lungo un portico interminabile, una carrellata che lascia senza fiato anche gli addetti ai lavori, e l'eccezionale controluce del finale.
Pedro Armendáriz domina il film con la sua nobile potenza, senza sforzi. María Félix, bella e appassionata, non ha la stessa sobrietà espressiva. Un peccato. Che non si accontenti di vivere, come il partner, e come Fernando Fernádez nel ruolo del prete, davanti alla camera magica di Figueroa.
Quanto a fattura - dalla sceneggiatura alla stampa - il film è impeccabile, cosa che sorprenderà forse coloro che non sanno che gli studios più moderni si trovano in America latina.

Joseph-Marie Lo Duca, "La Revue du cinéma", n. 8, 1947




Il finale del film assomiglia a quello di Marocco, pellicola hollywoodiana di Josef von Sternberg con Marlene Dietrich e Gary Cooper, e per l'immagine di María Félix a piedi vicino ad Armendáriz a cavallo lo stesso Emilio Fernández ha dichiarato di essersi ispirato a un dipinto di Clemente Orozco. La trama di Enamorada è una variante della Bisbetica domata di Shakespeare, molte volte adattata e parafrasata al cinema. Un'altra fonte è la ricchezza barocca dell'arte coloniale messicana, presente in moltissime chiese di Cholula. Registrandone lo splendore grazie alla maestria fotografica di cui era capace Figueroa, El Indio ha brillantemente soddisfatto ciò che si riteneva - e ancora molti ritengono - il requisito per un buon film messicano: rappresentare le bellezze del paese a fine di promozione turistica.
Allo stesso tempo il film tesse le lodi del buon rivoluzionario, burbero ma giusto, distingue i buoni proprietari terrieri degli sfruttatori della città e guarda con rispetto la Chiesa, rappresentata da un buon sacerdote, e le colonie straniere, rappresentate da un 'buon perdente' nordamericano, il tutto al servizio dell'esaltazione nazionalista e machista.
Enamorada
è un buon melodramma con passioni forti, ma anche una sorta di commedia seria. Meno ieratico rispetto ad altri film del regista, contiene spettacolari movimenti di macchina (un carrellata all'inizio del film fu girata a sessanta chilometri all'ora) e la coppia di protagonisti si concede numeri da slapstick con colpi, schiaffi e cadute. A dimostrazione della tenera violenza con cui El Indio era in grado di rappresentare il sentimento amoroso. [...] 'El Indio' sentiva nella sua stessa carne il dolore dell'innamorato Armendáriz, così macho e coraggioso, ma così impotente di fronte al rifiuto della femmina. Come in tutti i film messicani, l'uomo va ad affogare tutte le sue pene all'osteria, ma qui ci appare come particolarmente vero e commovente il racconto che un vecchio soldato (Arozamena) fa all'eroe della sua esperienza amorosa, che dimostrava l'inutilità dell'orgoglio nei fatti di cuore. Anche la serenata, vista tante volte nel cinema messicano, sembra acquistare in Enamorada un significato profondo: il riconoscimento della distanza che separa l'uomo dalla donna amata, la sublimazione della sua inaccessibilità. E anche se alla fine i due innamorati sono vivi e uniti, El Indio Fernández non smette di essere un romantico.

Emilio García Riera, Historia Documental del Cine Mexicano, vol. 4, 1946-1948




Nella prima inquadratura la macchina da presa si muove da destra verso sinistra su un campo di battaglia. Nuvole di fumo attraversano un cielo immenso, sovrastando l'esercito a cavallo. È un'immagine straordinaria, la prima di molte evocate dal mago della macchina da presa Gabriel Figueroa nel vigoroso melodramma messicano di Emilio Fenández. Enamorada ha battuto i record di botteghino alla sua uscita in patria, e ora, splendidamente restaurato, è ancora un film capace di stupire.
Gli ingredienti della trama sono semplici. C'è la Guerra d'Indipendenza messicana - siamo al suo stadio finale, nel 1821. C'è una storia d'amore difficile, tra l'irascibile figlia di un proprietario terriero (María Félix) e un generale rivoluzionario vittorioso, che gode nel giustiziare i capitalisti (Pedro Armendáriz). I legami con La bisbetica domata di Shakespeare saltano fuori, e la bisbetica ha bisogno di essere domata. Al di là dei drammi della sceneggiatura, sullo schermo si consuma anche una guerra tra divi. La vivace e magnetica Félix, la migliore attrice messicana dell'epoca, si esibisce in uno schiaffo formidabile e sembra quasi bucare lo schermo con i suoi occhi a raggi laser. Armendáriz, dal canto suo, trasuda uno sfacciato vigore maschile; e schiaffeggiarlo non potrà non avere conseguenze.
[...] Rigorose composizioni di figure e paesaggi dominano gli esterni, dove le ombre sembrano feroci come il sole - sarà così anche nel lavoro di Figueroa per La croce di fuoco (The Fugitive) di John Ford, girato poco dopo. Non delude nemmeno nell'approccio con l'architettura degli interni, come nel momento in cui la macchina da presa si alza per inquadrare il più piccolo dettaglio decorativo del soffitto di una chiesa. Figueroa è il genio di questo film.

Geoff Brown, "Sight & Sound", n.11, 2007




"Il cinema messicano sono io!": a Emilio Fernández piaceva rispondere così a chi gli chiedeva dello stato del cinema nel suo paese. Si racconta che quando un critico osò contraddire quest'affermazione pretenziosa, il regista gli puntò contro una pistola. Forse è un racconto apocrifo, ma del resto Fernández tendeva ad abbracciare la filosofia 'print the legend', anche se la sua vita era già abbastanza interessante da non richiedere ulteriori abbellimenti. Dopo aver ucciso un uomo da giovane e aver partecipato alla rivolta, stroncata, contro il presidente Obregón, nel 1924 Fernández finì in carcere a scontare una condanna ventennale. Presto evase e scappò in America, approdò a Los Angeles e scoprì il cinema. [...]
Enamorada
si ispira alla Bisbetica domata di Shakespeare, con la ricca e antirivoluzionaria Beatriz nel ruolo di una bisbetica particolarmente indomabile: ci viene presentata mentre brandisce una pistola, pronta a difendersi da qualunque uomo osi avvicinarsi. [...] L'influenza esercitata da Toland su Figueroa e l'immersione formativa del giovane Fernández nella patria del cinema americano sembrano contribuire alla lucente estetica hollywoodiana che percorre Enamorada. Il rapporto turbolento tra i due protagonisti ha gli alti e i bassi di una screwball comedy (anche se Rosalind Russell non tentò mai di far fuori Cary Grant), mentre le scene più tenere sono girate con l'intimità e l'estatica bellezza di una storia d'amore di Frank Borzage. [...]
Grazie al successo delle loro collaborazioni negli anni Quaranta, a Fernández e Figueroa viene riconosciuto il merito cruciale di aver reso visibile il cinema messicano, e le autorità considerarono Enamorada un film importante che contribuì a fissare l'identità post-rivoluzionaria del paese. La narrazione fa lentamente avvicinare, con la mediazione della chiesa, due persone ferocemente indipendenti e politicamente contrapposte e il momento culminante del film si rivela veramente emozionante.

Philip Concannon, "Sight & Sound", n. 11, novembre 2015




Enamorada parte come un film d'avventura d'alta tensione, per poi diventare una cronaca amorosa percorsa da uno humour corrosivo. [...] María Félix domina lo schermo con il suo sguardo potente e superespressivo, la sua sublime silhouette, e la sua recitazione delirante che alterna ritmo frenetico all'arte di formulare le sue battute. Pedro Armendáriz brilla nella sua progressiva transizione dal sadico generale della prima sequenza al cascamorto che fa sciogliere il cuore selvaggio di Beatriz. Le pareti bianche degli edifici scintillano. Le pietre e i rilievi delle chiese magnetizzano lo sguardo. Le pupille dei sanguigni interpreti catturano gli spettatori.

Olivier Pélisson, "Bande-a-part", 10 maggio 2018




Il film si apre con una carrellata dichiaratamente western che galoppa al ritmo della rivoluzione messicana: bombe e rivoluzionari a cavallo scorrono per introdurci nel contesto della storia. Un contesto che con il western ha in comune anche una certa visione romantica della frontiera (qui la città di Cholula) intesa come ideale di libertà e di speranza di riscatto per i più deboli e poveri.
La presentazione dei personaggi avviene in modo più classico: il rivoluzionario è ritratto nei termini dell'eroe che 'ruba ai ricchi per dare ai poveri' e che dedica tutta la sua esistenza alla restaurazione del principio di giustizia sociale, dimenticando in questo di pensare a se stesso e alla possibilità di un amore. Quasi subito l'intreccio però ci fa sapere che José non è mai stato innamorato. La sua figura è caratterizzata dai tratti marcatamente messicani di Armendáriz, dal sopracciglio inarcato all'insù e dalla falda del suo sombrero che nei primi piani occupa almeno la metà dello schermo.
Allo stesso modo Beatriz (Maria Félix, lanciata proprio da questa pellicola) appare da subito immortalata da un mezzo primo piano che ne esalta lo sguardo fiero, gli occhi neri sgranati, in contrasto con la veste bianca, e il petto gonfio di rabbioso coraggio. La sua bellezza è in netto contrasto con il carattere da Bisbetica domata, opera alla quale sono palesi i riferimenti del film: Beatriz non incarna un ideale di donna svenevole e sottomessa, ma piuttosto quello a sua volta 'rivoluzionario' di donna con la pistola, poco obbediente ai canoni prestabiliti della sua condizione sociale e dallo schiaffo facile. Queste peculiarità del personaggio e il corto circuito che si innesca negli incontri con José/Armendáriz, prestano il fianco alla disseminazione nel film di numerose gag di radice screwball comedy in cui la donna prende a schiaffi, legnate, insulti il suo pretendente, incredibilmente disarmato di fronte all'esplosione del suo amore per lei. Esplosione resa visibile concretamente dalla scena dei fuochi di artificio, che scoppiando lo mandano letteralmente con il sedere per aria e in totale confusione d'amore, anch'essa denunciata dal dettaglio sonoro degli uccellini che cinguettano sulla testa del generale ad ogni suo risveglio da una botta o una caduta dovuta a Beatriz.
La commistione dei generi è un marchio di fabbrica per l'accoppiata Fernández/Figueroa che grazie al successo delle loro pellicole ebbero il merito di rendere visibile nel mondo il cinema messicano.

Francesca Divella, "Cinefilia Ritrovata", 24 giugno 2018




Il cinema di Fernández, ed Enamorada ne è un esempio cristallino, riesce ancora oggi a sorprendere per la sua naturale capacità di muoversi con intelligenza e delicatezza su quel crinale pericoloso in cui si agitano sia il rigore estetico che l'umoralità passionale, imprevedibile e difficile da contenere. Sostenuto da un uso gagliardo della dimensione spaziale in cui si devono muovere i personaggi, Fernández compone una commedia amorosa dominata da una serie pressoché infinita di conflitti, interiori e storico-sociali. L'amore che cresce in maniera sempre più deflagrante tra il generale zapatista interpretato da Pedro Armendáriz e la figlia del possidente incarnata da María Félix si muove attraverso il continuo superamento di contrapposizioni: il conflitto basico e ancestrale tra maschile e femminile, qui demitizzato nella costruzione di un carattere muliebre per niente addomesticabile, fino alla fine del film; il conflitto di classe, con la donna benestante - ma per eredità paterna - e l'uomo rivoluzionario; il conflitto politico, tra conservatorismo e spinta progressiva verso i diritti sociali; il conflitto perfino cromatico, con il bianco vestito di Beatriz che si 'scontra' con la camicia inscurita anche dalla cartucciera che sfoggia Reyes.
Ma Enamorada risolve i suoi conflitti in un'ottica perennemente - e in parte anche ironicamente - rivoluzionaria, mettendo in crisi l'ordine costituito, sia esso materiale o psicologico. Così Beatriz vacilla quando inizia ad aprire gli occhi sull'iniquità del padre, e anche l'essenziale Reyes, che ha sempre rifuggito l'umano pur combattendo per la liberazione degli oppressi, inizia a muovere la propria fissità solo quando comprende e accetta il proprio sentimento per la donna. Non solo sentimento di conquista, ma di condivisione. Desiderio. Quel desiderio che in una delle sequenze più mirabili e coraggiose di Enamorada si materializza sullo sguardo di Rafael Sierra, il prete amico d'infanzia di Reyes che non solo scopre il potere della rivoluzione, ma vive negli occhi e sulla sua bocca il desiderio sessuale, verbalizzato in una sorta di confessione laica dal generale.
La regia di Fernández vive in quell'immaginaria linea di mezzeria che divide la pulsione popolare e l'epica di stampo anche hollywoodiano dalla concretezza di un cinema più rigoroso, e in questo spazio liminare riesce a trovare senso e a rafforzarsi. I dialoghi in interno spaziano così dal più metronomico dei campo-controcampo a scelte di montaggio più ardite, e le riprese all'aria aperta respirano con una forza arida e vitalissima allo stesso tempo. Il finale, sontuoso omaggio all'epos della rivoluzione che è messo in scena rifacendosi al finale di Morocco di Josef von Sternberg racchiude al suo interno la poetica umana e cinematografica di Fernández, ed è giustamente elogiato e portato ad esempio quando si studia e analizza l'intera epoca produttiva messicana, ma si farebbe un torto a fermarsi 'solo' qui. Enamorada è un dramma sentimentale in cui ogni inquadratura sembra esplodere un impulso erotico impossibile da trattenere e che Fernández traduce in scelte di campo mai banali e soprattutto quasi mai ortodosse. Un'opera blasfema, febbrile, che si muove in un crescendo perpetuo che può trovare una chiusura solo su un campo lungo semi-desertico, e su un sol dell'avvenire sorgente.

Raffaele Meale, "Quinlan", 5 settembre 2018