'La Doña': María Félix

A noi messicane non c'è nessuno che resista. E questo non mi sembra un difetto: al contrario, è una meraviglia.

María Félix

 



Dolores del Rio fu quasi come una Madonna per i messicani. Ma se lei suggeriva connotazioni sacre, la travolgente figura di María Félix si annunciava con tuoni e fulmini, e nuvole, se non di zolfo, certamente di un'essenza inebriante e peccaminosa.
In Messico - e in tutto il mondo - è conosciuta come 'La Doña', a partire dal suo quarto film, Doña Bárbara [Donna Barbara] dal romanzo omonimo del venezuelano Rómulo Gallegos, diretto da Fernando de Fuentes. Qui una María Félix ancora giovanissima dovette interpretare il personaggio di una signora di gran temperamento, di quelle che sentono perfino crescere l'erba. Questo fatto, unito alla sua bravura e, soprattutto, al suo spirito indomabile, fu decisivo perché quel soprannome assurgesse a un rango universale. E fu proprio quel nome uno degli elementi essenziali che la identificarono come la stella per antonomasia del cinema messicano.
La verità è che María Félix ha avuto sempre, e ha ancora adesso, un carattere tremendo. Tutti, nel cinema come per la strada, hanno sempre avuto un sacro timore di lei, anche se i suoi amici la adorano. Di questa donna arguta, mordace e sprezzante, è passata alla storia l'indifferenza per la stampa, soprattutto per gli intraprendenti cronisti dei suoi anni d'oro, capaci di inventare le più grandi buffonate senza il minimo ritegno. Così María de los Angeles Félix Güereña è riuscita a diventare, al di là dei suoi meriti artistici, uno dei grandi personaggi del cinema mondiale.

Nella mia vita sono stata accusata del rapimento di mio figlio, dell'assassinio della mia segretaria, del furto di una collana di smeraldi, di essermi sposata solo per denaro, di essere amante di un altro uomo solo per mire pubblicitarie, di essere lesbica e perfino tossicomane. Non pretendo di essere un angelo, dato che non ho l'aureola, ma nemmeno sono il diavolo sotto forma di donna.

Nel suo primo film, El peñón de las Ánimas [La roccia di las Animas] di Miguel Zacarías, ebbe il ruolo di protagonista accanto Jorge Negrete, che a quell'epoca faceva di tutto per avere al proprio fianco Gloria Marín, con la quale viveva. Indispettito perché la bella sconosciuta aveva usurpato la parte che lui riteneva destinata alla sua donna, le sparò a bruciapelo: "Avrei una curiosità: con chi è andata a letto lei per avere quella parte?". Al che lei, con la massima tranquillità, rispose: "Lei ha più esperienza di me in questo ambiente, quindi saprà benissimo con chi bisogna andare a letto per diventare una stella". [...] "Quella donna così bella da far male", come l'aveva descritta Jean Cocteau, aveva vissuto come un mito fin da quando aveva cominciato a camminare a quattro zampe. Molto prima che diventasse un'attrice, quando andava alle corride, il pubblico si alzava in piedi per vederla entrare. [...] María sposò anche il compositore Agustín Lara, che le dedicò alcune delle sue canzoni più famose, come María bonita. Quando, stanca delle sue continue scene di gelosia, decise di lasciarlo, lui come 'regalo' di divorzio compose il chotis Madrid, che da allora è praticamente l'inno della capitale spagnola. Dopo il fugace matrimonio con Jorge Negrete, l'ultimo marito della diva fu il banchiere aristocratico Alex Berger. Ricca, raffinata, appassionata di cavalli, di gioielli esotici, delle antichità e delle porcellane di Jacob Petit, continua ancora oggi a sprigionare un fascino quasi soprannaturale, al quale pochi riescono a sottrarsi.
Octavio Paz disse della 'Doña': "Il grande film di María Félix è María Félix stessa". Lei, come nessuno, ha saputo costruire il proprio mito, il suo personaggio pubblico. Nessuno riuscì mai a incasellarla in un tipo determinato. Fu lei a scegliere quello che le andava bene. [...]
Dedicò una cura meticolosa alla sua immagine internazionale. Rifiutò di accedere a Hollywood dalla porta di servizio, ma curò moltissimo le sue apparizioni nel cinema europeo. Il primo film girato in Italia fu Incantesimo tragico, per il quale dovette imparare i dialoghi foneticamente. Più tardi avrebbe girato a Cinecittà un film molto più ambizioso, Messalina di Carmine Gallone. Per La Belle Otéro (La bella Otero) dovette imparare a suonare le nacchere e contemporaneamente a parlare in francese. Frequentò Max Ernst, Balthus, Dalí, Cocteau, Picasso, perfino Sartre e, ancor prima di girare French Can-Can di Jean Renoir (durante le riprese del film diede alla sua comprimaria Françoise Arnoul una lezione da mandarla all'ospedale) e Les héros sont fatigués (Gli eroi sono stanchi) di Yves Ciampi, rifiutò il diadema di Nefertari offertogli da re Faruk per una notte d'amore con lei. "Rimisi subito il diadema sul cuscinetto, con la morte nel cuore. 'Questa è una cosa che non puoi comprare né con gioielli, né con tutto il tuo regno. Io mi concedo gratis a un uomo quando mi piace, ma questo non è il tuo caso. Mi piace più lui di te'. E indicai il suo domestico". [...] L'ultimo omaggio fu quello ricevuto a Madrid nella primavera del 1997. Enormemente ridotta nella statura - in gioventù era alta quasi un metro e ottanta - mise al loro posto i giornalisti, perché la tormentavano; gli organizzatori del festival, perché secondo lei avevano sbagliato tutto; e probabilmente avrebbe avuto da ridire anche con la Madonna, se le fosse capitata fra i piedi.

Juan Ignacio Francia, in L'età d'oro del cinema messicano 1933-1960, Lindau, 1997