Un treno nella notte

Un treno nella notte

La sceneggiatura

Durante il montaggio di Le due inglesi nello studio della Victorine, François Truffaut è incuriosito dalle vestigia di un grande apparato scenico, costruito all'aria aperta alcuni anni prima per una produzione americana. Già abbastanza danneggiata, la scenografia ricostruisce alcune facciate di palazzi, un'entrata della metropolitana e il dehors di un caffè parigino. Si mette a visitare la Victorine da cima a fondo, con l'idea “di girare un film sul cinema”. Parallelamente alla scrittura della sceneggiatura di Mica scema la ragazza! con Jean-Loup Dabadie, Truffaut pianifica questo “film sul cinema”. Sarà Effetto notte, che vuole scrivere con Jean-Louis Richard, con il quale non ha più lavorato da La sposa in nero. […] Conoscendo perfettamente il mondo delle riprese sotto i molteplici aspetti tecnici e umani, Suzanne Schiffman si unisce a loro per dare alla sceneggiatura l'aspetto definitivo. Per la prima volta comparirà nei titoli di un film di Truffaut come co-sceneggiatrice, pur rimanendo la sua assistente.
Antoine de Baecque, Serge Toubiana, François Truffaut. La biografia, Lindau, Torino 2003

La costruzione di Effetto notte era stata fatta da Jean-Louis Richard e da me e io mi riservavo di scriverne i dialoghi man mano che andava avanti il film, diciamo ogni domenica per la settimana seguente, spesso recitandoli a voce alta con Suzanne Schiffman. come è mostrato in una scena tra Ferrand e la sua script-girl Joëll in una camera d'albergo.
Perché scrivere i dialoghi all'ultimo momento? Senza dubbio perché, affianco a me e a Jean-Pierre Léaud, c'era un certo numero di attori e di attrici con i quali io stavo lavorando per la prima volta e volevo ascoltare il loro modo di parlare (Jean-Pierre Aumont, Dani, Nathalie Baye, Bernard Menez) o tenere conto del loro accento o dei limiti del loro vocabolario francese, nel caso di Jacqueline Bisset e Valentina Cortese. Alcune cose sono state improvvisate mentre giravo.
François Truffaut in François Truffaut. L'uomo che amava il cinema, Rotazione e Rivoluzione, Napoli 1989


Perché un film sul cinema?

Perché un film sul cinema? Perché l'avevo in testa da tempo. E ho l'impressione di aver aspettato tantissimo a farlo, nella misura in cui, per esempio, ho girato film dedicati ai libri in genere, come Fahrenheit, o a un libro particolare, come Le due inglesi. Il mestiere del regista è misterioso per tutti: lo avvertiamo dalle domande che ci rivolgono e alle quali facciamo fatica a rispondere. Durante la guerra chiesi a un adulto: “In quanto tempo si fa un film?” E lui mi rispose: “In tre mesi”. Ecco, così appresi che ciò che succede sullo schermo in due ore era girato in tre mesi. Ma all'interno di questi tre mesi tutto è mistero. A dir la verità, ogni volta che giravo un film pensavo a quanto sarebbe stato interessante fare un film sul cinema, per la semplice ragione che in fase di lavorazione accadono sempre cose sbalorditive, buffe, curiose, interessanti, ma di cui il pubblico non godrà, perché avvengono al di fuori della macchina da presa. […] C'è qualcosa di meraviglioso nella pratica quotidiana di questo lavoro. Merita un film, perché questo mestiere, che è prestigioso nel suo insieme, nei dettagli è costantemente sorprendente.
François Truffaut in François Truffaut. Tutte le interviste sul cinema, a cura di Anne Gillain, Gremese, Roma 2005


Non tutta la verità ma solo cose vere

Grazie a questo film, Truffaut realizza un vecchio sogno: quello di mostrare i retroscena delle riprese. “Non dirò tutta la verità sulle riprese, ma solo cose vere, che si sono verificate realizzando film miei o di altri”. Effetto notte sarà quindi una dichiarazione di fedeltà al cinema, la cosa che egli ama di più al mondo e che spesso viene prima della vita privata, prima della vita tout court. Ciò che per lui è generalmente frustrante raccontare nelle interviste con i giornalisti, ciò che sarebbe privo di interesse se descritto in un documentario sui propri film, può essere rivelato grazie alla finzione. Effetto notte mescola in qualche modo documentario e fiction: sarà un film vero e sincero su un mondo fittizio, quello del cinema, in cui “si passa il tempo a baciarsi, perché bisogna far vedere che ci si ama” come dirà uno dei personaggi del film. Un'unanimità di facciata, un mondo di false apparenze, che solo la moglie del segretario di produzione, isolata in un angolo del set, smitizza: “Che cos'è questo cinema? – grida – che cos'è questo mestiere in cui tutti vanno a letto con tutti? In cui tutti si danno del tu, in cui tutti mentono. Ma che cos'è? Voi lo trovate normale? Ma il vostro cinema, il vostro cinema, io lo trovo irrespirabile. Io lo disprezzo, il cinema”. Truffaut, che raramente dà del tu ai suoi collaboratori, si sforza, sotto i panni di Ferrand, di dare del cineasta al lavoro un'immagine neutra, professionale, soprattutto non quella di un artista. Ma ha molta voglia di mostrare l'altra faccia del cinema, l'eccitazione delle riprese, la riuscita di un'impresa, i legami di amicizia e talvolta le storie d'amore. Malinconie, mancanza di ispirazione, litigi: nulla, neppure la morte ferma il film, che è come “un treno nella notte”.
Questo film nel film che gira la troupe della Victorine non ha però nulla di particolarmente eccitante. Non è evidentemente un 'film d'autore', bensì un “brutto film” secondo Jean-Louis Richard. Ma la banalità della sceneggiatura di Vi presento Pamela non ostacola in nulla il ritmo in crescendo delle riprese, la solidarietà della troupe o l'entusiasmo degli attori. Per Truffaut, Effetto notte è quindi un film d'amore, un film dedicato all'amore nonostante tutto del cinema.
Antoine de Baecque, Serge Toubiana, François Truffaut. La biografia, Lindau, Torino 2003


Il film della sintesi

Il 1972 è per Truffaut l'anno della sintesi, della confluenza di più esperienze in una operazione riassuntiva, del ripiegamento su se stesso che è sguardo rivolto al proprio passato di cineasta. Il risultato prende il nome di Effetto notte: non un film all'insegna del rinnovamento, dell'apertura, ma una sorta di inventario etico-estetico, di bilancio per fare il punto su un'attività che dura da tredici anni, per chiudere con certe cose e poter ripartire, dopo, con altre. “Avendo spinto molto lontano queste due esperienze. Le due inglesi senza alcun umorismo, Mica scema la ragazza senza nulla di serio, ho potuto con Effetto notte ritrovarmi, 'raccogliere' me stesso. È un film di sintesi, sintesi tra La calda amante, Baci rubati e altri miei film ancora. Un incrocio. Come se i personaggi di tutti i miei vecchi film si incontrassero... Ci sono parecchie cose iniziate in altri film che terminano qui, io do loro una conclusione”. Effetto notte è insieme una dichiarazione di poetica personale così esplicita e completa come prima il regista non ci aveva dato, una sintesi dei motivi e dei temi che attraversano l'intera sua opera, e una confessione sistematica e riassuntiva dei suoi affetti, predilezioni e gusti di uomo e cineasta.
Alberto Barbera, Umberto Mosca, François Truffaut, Il Castoro, Milano 1995


Il cinema è morto, viva il cinema!

L'angoscia di Effetto notte nasce dalla constatazione di dover vivere – senza rimedio – privati di qualcosa di cui non si riesce a far senza. Trascorsa l'epoca d'oro di Hollywood, smarrito il segreto della (spesso) convenzionale eppure straordinaria bellezza del cinema americano, scomparsi i registi amati, dai quali c'era sempre da imparare qualcosa, perché loro erano quelli che "non cercano ma trovano", non resta che guardare al passato, nella nostalgica constatazione di un impossibile ritorno. Effetto notte è questo sguardo, in cui si confonde l'amore per un cinema di un'altra età e l'angoscia per il vuoto incolmabile lasciato dalla sua scomparsa. […] Effetto notte è un canto funebre in memoria di Hollywood, prima ancora che un atto d'amore per il cinema in quanto tale […]. Ma Truffaut è contemporaneo di Godard: e se il cinema del primo non è il cinema dell'autore di Vento dell'est, nondimeno bisognerà forse riconoscere che esso vive all'interno di una prospettiva fondata da quest'ultimo. L'uno e l'altro hanno inteso condurre per mano lo spettatore sin dietro lo specchio, impegnandosi a smontare quel perfetto meccanismo che è il cinema, svelandone la natura di illusione, trucco, menzogna. Con una differenza, è vero, sostanziale: i pezzi del cinema di Godard, messa a nudo l'intima complicità di linguaggio e ideologia dominante, restano lì, inerti, a esibire solo se stessi, rifiutandosi a ogni ulteriore utilizzazione. Al contrario, i meccanismi che Truffaut ha appena scomposto prendono misteriosamente ad agitarsi, come gli ingranaggi della sveglia smontata da Charlot in L'usuraio; la magia del cinema, il suo potere illusorio non vengono meno, risorgono dalle proprie ceneri, intatti e affascinanti come prima. Ma chissà che denunciare l'illusione e ricrearla, dopo averne mostrato l'ordito, non siano, in fondo, che due atteggiamenti complementari: due diversi modi attraverso i quali giunge a esprimersi un cinema ormai adulto, che ha raggiunto la piena consapevolezza dei propri mezzi linguistici – dunque, della responsabilità ideologica che da essi dipende. Nelle immagini tormentate ed elegiache della ‘notte americana’, il rimpianto di un segreto perduto; nei sogni e negli incubi di Ferrand-Truffaut, la convinta asserzione dell'autonomia del linguaggio filmico. E alla luce dell'alba che rischiara questo universo interdipendente e totalizzante, già s'intravede l'esile figura di Adele H., l'eroina del quattordicesimo lungometraggio di Truffaut. Il cinema è morto, viva il cinema.
Alberto Barbera, Umberto Mosca, François Truffaut, Il Castoro, Milano 1995