Un film mitico

Un film mitico

Easy Rider si è trasformato nell'immaginario collettivo in un vero e proprio fenomeno di costume, un mito che ha prodotto diversi e pericolosi tentativi di emulazione nei giovani che nei vari periodi si sono succeduti. Come sostiene, tra gli altri, Franco La Polla, il grande merito di Hopper è stato infatti quello "di miticizzare la tematica giovanile, di renderla, sì, indicativa, rappresentativa di una problematica americana contemporanea, ma al tempo stesso di farne una tavolozza mitologica". A questo risultato ha indubbiamente concorso la fusione dei grandi motivi in voga nel periodo (la controcultura, la droga come concetto di liberazione dai vincoli, l'abbandono di una società in cui non ci si rispecchia, la musica rock, la sfiducia e la critica al sistema) con il tema per eccellenza della cultura americana, quel viaggio che da Huckleberry Finn fino a Sai Paradiso, passando per tutta un'epopea western alla quale il film non è indifferente, aveva popolato pagine indimenticabili della letteratura a stelle e strisce. Easy Rider utilizza il viaggio non come momento di ricerca dell'essenza americana (Wyatt e Billy non cercano niente, come Kerouac si muovono e basta) ma come incontro con le sue varie mentalità, differenti culture, elevate contraddizioni, dandone un'immagine certamente non completa ma sintomatica del pensiero del periodo.
[...] In un paese dove "sono solo possibili ribellioni ma non rivoluzioni", come disse Alien Tate, il film rappresentava la chiave di volta sotto molteplici punti di vista, dalla raffigurazione dei miti giovanili contestualizzati in uno scenario di rifiuto dell'ordine esistente, alla consapevolezza dell'inutilità di ogni gesto titanicamente fuori dagli schemi consolidati. Il film, inoltre, diventa una leggenda anche per le scelte nella concezione stessa di creazione cinematografica e per i curiosi aneddoti che ne condiscono la realizzazione. Riguardo alle prime, l'uso della musica rock fece gridare al miracolo anche Wim Wenders per il sapiente modo con cui il suono illustrava le immagini. Già IL laureato (1967) di Mike Nichols aveva inaugurato la moda utilizzando cinque canzoni di Simon & Garfunkel (una delle quali, Mrs. Robinson, scritta per l'occasione), ma con Easy Rider il rock diventa una specie di coro a commento delle sequenze: non più sostegno esterno, ma musica presa dalla produzione contemporanea per arricchire a livello extra-diegetico il significato della visione.
Gli aneddoti, invece, si succedono come un torrente tra le rapide, rendendo impossibile citarli tutti. Negli anni verrà ricordata la disparità tra l'esiguità della spesa sostenuta per la realizzazione (circa 340.000 dollari) e i massicci incassi seguiti alle varie proiezioni (più di 60 milioni). Spesso si ricorderà come l'AIP di Samuel Z. Arkoff e James H. Nicholson avesse rifiutato di produrre il film che venne invece sostenuto finanziaria- mente dalla Raybert, compagnia di produzione di Bob Rafelson e Bert Schneider famosa per la serie televisiva che vedeva il gruppo pop dei Monkees come protagonista, e distribuito dalla Columbia che fece il suo grande affare. Si diffuse la voce di come Terry Southern, entusiasta della storia propostagli da Peter Fonda, avesse accettato di lavorare sottopagato e di come Jack Nicholson fosse stato reclutato al volo in seguito all'improvvisa assenza di Rip Torn, che avrebbe dovuto interpretare il giovane avvocato per i diritti civili. Degne di nota rimarranno però anche le intemperanze di Dennis Hopper, convinto di realizzare il lavoro di una vita, dispotico fino all'inverosimile ("This is my fucking movie", disse a più riprese sul set convocando l'intero numero dei collaboratori davanti a sé), causa della fuga di 17 membri del cast stanchi del suo atteggiamento, paranoico per il divorzio da Brooke Hayward dopo otto anni di matrimonio, conflittuale con l'amico Peter Fonda (che si vide costretto all'acquisto di una pistola e all'ingaggio di una guardia del corpo per fronteggiarne le continue crisi), costretto ad andare in 'vacanza' a Taos, nel Nuovo Messico, per permettere a un gruppo formato da Fonda, Bert Schneider, Bob Rafelson, Jack Nicholson, Henry Jaglom (oltre naturalmente a Donn Cambern) di porre termine al montaggio di un film che non riusciva a essere più corto di quattro ore e le cui operazioni si protraevano ormai da un anno e mezzo. I tagli furono un altro momento in cui si favoleggiò non poco: pare che la struttura complessiva del film contenesse sequenze di una rissa con altri bikers, un inseguimento con la polizia, un'ipertrofia nei segmenti dei viaggi in moto e degli accampamenti intorno al falò, scene di acrobazie sulle moto dei due personaggi in fiere di paese (a cui accenna Billy, nella versione definitiva, quando viene incarcerato con Wyatt a Las Vegas, nel Nuovo Messico), un incontro con bikers di colore, altri momenti di disprezzo nei loro confronti.
I notevoli tagli vanno ad affiancarsi agli errori realizzativi presenti nella pellicola, discussi più volte, simpaticamente presentati a più riprese: un altro mattoncino sul muro che edifica la leggenda. Il più famoso è quello dell'orologio di Wyatt, un costoso Rolex che, nel momento del simbolico gesto del rifiuto del tempo, diventa improvvisamente e inspiegabilmente una mediocre patacca. Altri, senza citarli tutti, si riferiscono a una valutazione erronea dei raccordi che minano la continuità logica delle scene, o a sciatti riflessi dell'obiettivo della m.d.p. che ne palesano la presenza. Ma gli episodi curiosi nel caso di Easy Rider superano la pura durata della pellicola, andando a coinvolgere anche contesti che mai avrebbero voluto legare il proprio nome a quello del film, come nel caso degli applausi scroscianti del pubblico nelle sale del Deep South all'uccisione finale di Wyatt e Billy, o come la condanna senz'appello del Centro Cattolico Cinematografico, secondo il quale la pellicola era ritenuta dannosa, diseducativa e moralmente esecrabile per le sue scene di nudo e per la marijuana fumata davanti alla macchina da presa.
Di certo c'è la grande impressione suscitata al Festival di Cannes del 1969 e la politica intrapresa dopo il successo del film dalle case di produzione, tesa ad alimentare la curiosità e i gusti dei giovani tanto sollecitati nel caso del lavoro di Hopper. Iniziò così una vasta produzione di Youth-movies, film giovani per i giovani, alcuni di successo, altri meno, diversi di buona caratura, la maggior parte di qualità mediocre. Iniziò anche (sotto l'ideale egida di Roger Corman) quella che verrà chiamata con una certa enfasi la New Hollywood, velleitario tentativo di rinnovare la classicità consunta del cinema americano, in realtà riuscita perpetuità economica per la Mecca del cinema grazie alia scoperta di nuovi nomi dall'indubbio valore (Altman, Coppola, Scorsese, De Palma e Spielberg su tutti).
Curiosità, voci, dicerie, riferimenti che nel corso degli anni non hanno fatto altro che accrescere il mito di un film che, al di là del suo effettivo valore, ha indubbiamente segnato un'epoca, rimanendo indelebilmente impresso nel costume non solo degli Stati Uniti ma di una porzione cospicua dell'intero globo. Perché, all'interno di una certa ontologia leggendaria, "ci sono film che contano assai di più del loro reale valore. Easy Rider è uno di questi" (Lee Hill). Eppure era nato tutto da un semplice viaggio, iniziato a Los Angeles lucidando un paio di choppers e conclusosi oltre i vili spari degli intolleranti rednecks, trascendendo la pura orizzontalità del percorso per ascendere direttamente alla cultura e alla mente di un'intera società.

 

 Giampiero Frasca, Dennis Hopper: Easy Rider (Lindau 2000)