Il lavoro sulle luci

Il lavoro sulle luci

Il lavoro del direttore della fotografia John Alcott per Barry Lyndon segna una pietra miliare nella storia del cinema contemporaneo. Ciò che più stupisce gli spettatori alla metà degli anni Settanta è il trattamento delle scene notturne. In effetti, volgendo risolutamente le spalle alle convenzioni abituali e alle costrizioni tecniche per cui una scena ambientata nel passato, alla fine risultava illuminata come quelle moderne, Alcott e Kubrick optano per la luce "naturale" dell'epoca: quella delle candele. Scelta estetica resa possibile dall'evoluzione tecnica, in campo ottico, nella fabbricazione della pellicola con nuove emulsioni ultrasensibili, e nei procedimenti di sviluppo e stampa in laboratorio.

Ma le esigenze del regista e del direttore della fotografia trovano talvolta soluzione solo grazie a un lavoro di bricolage, ad esempio l'adattamento di un obiettivo a grande apertura previsto in origine per funzionare su macchine fotografiche, come racconta John Alcott: "Stanley ha avuto l'idea di adattare l'obiettivo fotografico Zeiss - il 50mm F. 0,7 - alla sua macchina da presa Mitchell. È Ed Di Giullo che ha modificato la Mitchell in modo che vi potesse essere installato questo obiettivo a grande apertura. È il genere di sfida che piace a Stanley. Sono pochi i cineasti che si pongono problemi di questo tipo e decidono di dedicarvi il tempo necessario. Sono stati necessari tre mesi per mettere a punto questo nuovo obiettivo".
Il procedimento messo a punto da Kubrick e Alcott tocca l'apice nelle scene di gioco, come quando Lord Ludd, circondato dalle sue amanti (omaggio a Watteau) affronta Balibari e Redmond; o nell'incontro con Lady Lyndon, dove l'azione drammatica si concentra nello scambio di sguardi: la calda luce delle candele sui cristalli (rafforzata dai riflettori), i colori cangianti dei costumi, il viso truccato di uomini e donne, l'affettazione dei personaggi creano davanti ai nostri occhi l'impressione di un mondo completamente "altro".




Si osservi che l'impiego di questa illuminazione, giustificato quando si tratta di un palazzo, pone invece problemi di verosimiglianza quando si gira in ambienti più modesti, come nella capanna di Lischen che, per necessità di ripresa, sfoggia una mezza dozzina di candele: spesa voluttuaria assolutamente improbabile all'epoca. Le riprese 'a luci basse', l'uso di un obiettivo a grande apertura di diaframma, la 'forzatura' del negativo in laboratorio danno tuttavia un effetto estetico interessante: la creazione di una 'grana' sull'immagine, effetto differente da quello più frequente della "tramatura". Così, l'immagine cinematografica sa ritrovare le preoccupazioni pittoriche di certi fotografi anglosassoni di fine Ottocento.

Altrettanto interessante è il lavoro sull'immagine in esterni. Nei paesaggi, Kubrick e Alcott rinunciano a quello che è stato a lungo uno dei 'luoghi proibiti' della ripresa: la 'falsa tinta', cioè la variazione di luce naturale, come per l'arrivo di una nuvola sul sole durante le riprese. Non si trattava soltanto di una scelta estetica: la pellicola, infatti, non permetteva scarti di esposizione che per un tempo assai ridotto nel bianco e nero e, a maggior ragione, nel colore. Barry Lyndon è dunque il primo film a proporci superbi paesaggi e soprattutto ammirevoli cieli, degni del pennello di Constable, dove l'occhio vede vivere la luce e il vento. Bisogna ancora sottolineare le "luci basse" in esterni (effetto di crepuscolo o di nebbia), come l'impiego della luce radente alla fine del giorno nella scena in cui il capitano Quin corteggia Nora Brady prima di essere interrotto dall'arrivo di Redmond: qui il riferimento a Gainsborough è stupefacente. La luce del giorno morente esalta i colori, soprattutto negli abiti femminili, tutto acquista rilievo grazie alle ombre prodotte e si crea un effimero clima drammatico.


(Philippe Pilard, Stanley Kubrick: Barry Lyndon, Lindau, Torino 2004, pp. 78 -83)