Il '700 di 'Barry Lyndon'

Il '700 di 'Barry Lyndon'

Il silenzio ostinato che circonda Barry Lyndon, l'ultima fatica di Stanley Kubrick, uno dei film più belli che si siano mai visti - un film che, come 2001, non ci stancheremo mai di vedere e di rivedere - è incomprensibile. [...] Barry Lyndon è un film di tale splendore che dovrebbe accecare (e dunque sono assolti quelli che, chiudendo gli occhi, conservano un debole ricordo di bei quadri e la sensazione di belle musiche assordanti) oppure infiammare: ogni altra azione tiepida rientra nel paragrafo della patologia del pubblico e va senza dubbio ascritta a quella che è stata definita la caduta della percezione sensoriale, malattia propria delle società dello spettacolo.
[...] Questa storia piuttosto comune, desunta con relativa fedeltà da un romanzo di Thackeray, permette a Kubrick di darci un quadro del settecento alle porte della rivoltatene francese di una profondità e di una verità sconcertanti. Grazie a un talento difficilmente misurabile, e a 11 milioni di dollari, il film apre un paragrafo nuovo e luminoso in quel genere lussuoso, vuoto e sostanzialmente regressivo che siamo abituati a chiamare film in costume. Barry Lyndon opera, in rapporto a questo genere, lo stesso profondo e radicale mutamento che 2001 ha effettuato sul cinema di fantascienza. I costumi, gli ambienti, gli oggetti scenici, il paesaggio, la luce degli interni (una pellicola speciale, ad alta sensibilità, fabbricata dalla Kodak e una macchina da presa progettata per adattarsi a un obbiettivo fotografico della Zeiss hanno permesso a Kubrick di filmare servendosi soltanto della luce delle candele), il maquillage degli attori, in una parola tutto ciò che, da Scaramouche a Via col vento, da Cleopatra a Il dottor Zivago, definisce il genere, non è qui utilizzato come vestito, come costume del film (costume che dovrebbe garantirne, come un lussuoso travestimento, la commestibilità estetica). Barry Lyndon va al di là, distrugge l'idea ingenua che si cela sempre dietro il film d'epoca minuzioso, si difende da quel kitsch e da quel naïf involontari, da quell'amore infantile e rimosso per il museo delle cere, che fanno capolino perfino in Senso. [...]
Nel film di Kubrick la meticolosa veridicità dei dettagli non suggestiona mai col fascino indiscreto e malsano dell'imbalsamazione del passato, ma costruisce, inventa, immagina (esattamente come succede con i modellini, i fondali e le prospettive di 2001) lo spazio vitale, lo spazio psicologico, lo spazio sociale, lo spazio percettivo così come si costituiscono in un dato momento della storia. L'atteggiamento di Kubrick davanti al settecento è l'opposto di quello di Bertolucci davanti al novecento, non solo per la differenza di due secoli: mentre per il secondo il passato sembra essere, prima di tutto, ideologia, e i personaggi che mette in scena idee e pensieri, per il primo esso è l'intreccio dei modi e dei luoghi reali dell'esistenza sociale di uomini reali. Forse per questo Novecento è un film sul mito, mentre Barry Lyndon è un film sulla storia. [...]
Le scene canoniche intorno alle quali il film in costume si è costruito come il western intorno al duello alla pistola, sembrano avvenire per la prima volta. Questi momenti sono esplorati nei loro tempi reali tanto minuziosamente da svelare, bruscamente, la meccanicità con cui gli altri film in costume li hanno quasi sempre rappresentati, riducendoli a retoriche pietrificate. Svelamento, rivelazione e verità che non si risolvono nella frustrazione dello spettacolo interrotto, nel sacrificio dell'emozione uccisa a maggior gloria della ragione, ma nella produzione di uno spettacolo espanso, di un'emozione ancora più profonda, di una partecipazione totale da parte dello spettatore, che quanto più è messo in grado di seguire 'a distanza' la storia poco edificante del signor Barry Lyndon, tanto più ne è commosso e incantato. Qualunque cosa si dica di questo film, si avrà sempre l'impressione di avere dimenticato l'essenziale. Mi limiterò, se non a giustificare il mio entusiasmo, a individuare almeno la ragione principale per cui Barry Lyndon rappresenta per me, e mi auguro per molti altri, un'autentica gioia e una rivelazione. Lontano dal cinema di formule e procedimenti a cui rimanda soltanto per la sua mole produttiva, Barry Lyndon si situa in quella zona dove il cinema è invenzione, ricerca, esperimento. Ma dove tutti, coraggiosamente e confusamente, cercano, Stanley Kubrick trova. Non domanda, risponde.

(Enzo Ungari, Schermo delle mie brame, Vallecchi, Firenze 1978)

 


Chi disse che il cinema coniuga sempre il presente disse una grande verità ma semplificò un po' troppo le cose. Non credo, per esempio, che quando si affronta un film in costume lo si possa fare a cuor leggero. Più si va indietro nel tempo e più la macchina da presa compie una sorta d'intrusione in un mondo che non le è familiare. Quel tanto di 'rubato' che viene fuori dai film ambientati nell'attualità, è una palla al piede nei film 'storici', anche quando la ricostruzione è precisa fino al dettaglio; meglio forse una sana astrazione, o uno sguardo 'straniante' esibito con franchezza.
Nel film in costume bisogna poi fare i conti con tanti piccoli e grandi intoppi: gli abiti che non 'scendono' bene perché quella certa stoffa d'epoca non si trova più; l'illuminazione che non può avere i riflessi di quando l'elettricità non c'era ancora. E i corpi stessi degli attori, il modo di muoversi, l'accento... Tante cose congiurano, in questo genere di film, contro chi ama l'aspetto sottratto al quotidiano, quel po' di naturalismo che la cinepresa regala nell'attimo in cui cattura la realtà al di là della messinscena.
Nell'anno di grazia 1975 Fellini e Kubrick si trovarono quasi contemporaneamente a sfidare questi ostacoli, l'uno con II Casanova e l'altro con Barry Lyndon. L'epoca era la stessa: il Settecento. Ma i due registi, seguendo il loro estro e - immagino - non dormendoci la notte, diedero due risposte ai problemi su accennati, che più diverse non potevano essere. Due risposte ugualmente intriganti e condivisibili. Il Settecento di Fellini è un luogo fantasticato, sognato (temuto, anche), ricreato con le viscere, senza che mai ciò che si vede e si sente sullo schermo obbedisca a un bisogno di verosimiglianza pedante. La verità di Fellini è fatta delle sole bugie alle quali dobbiamo credere ciecamente.
Ma altrettanto viva è la forza di Barry Lyndon, tutto giocato invece sul ritratto maniacale di quegli anni come ci vengono tramandati dalla pittura e da ogni altra fonte consultabile. Il fatto è che a questi livelli fedeltà e infedeltà storica finiscono per coincidere. E verrebbe da fare una considerazione non tanto peregrina: i film sul passato si fanno non solo coniugando il presente ma immaginando il futuro. Ciò che è troppo conosciuto ma lontano deve essere guardato come ciò che non si conosce ancora. Barry Lyndon non come un'odissea nello spazio, ma come un'avventura nel tempo. Fantascienza, in ogni caso.

(Gianni Amelio, Il vizio del cinema. Vedere, amare, fare un film, Einaudi, Torino 2004)