Fellini e Tonino Guerra

Fellini e Tonino Guerra

Con Amarcord mi pare che Federico e io siamo riusciti a regalare l’infanzia al mondo
(Tonino Guerra)


Cercai Tonino Guerra e gli dissi che volevo fare un film così. Tonino è di Sant'Arcangelo, uno dei quartieri più poveri di Rimini, e anche lui aveva da raccontare storie simili alle mie, personaggi che avevano in comune con i miei la stessa follia, la stessa ingenuità, la stessa ignoranza di bambini malcresciuti, ribelli e sottomessi, patetici e ridicoli, sbruffoni e umili. E in questo modo venne fuori il ritratto di una provincia italiana, una qualunque provincia, negli anni del fascismo. Certo, il fascismo di Amarcord non è esaminato dal di fuori, restituito e rappresentato attraverso prospettive ideologiche e ricognizioni storiche; non sono capace di giudizi distaccati, le diagnosi asettiche, le definizioni esaurienti e totali mi sembrano sempre un po' astratte e disumane, perfino un po' nevrotiche se sono formulate da quelli che il fascismo l'hanno vissuto, ne sono stati inevitabilmente condizionati, si è intessuto, diramato anche nelle zone e negli aspetti più privati della vita.
(Federico Fellini)



Vivevamo e lavoravamo in due mondi diversi, ecco tutto. Lui aveva i suoi collaboratori, e io lavoravo con Antonioni. Ma ciò non voleva dire che non ci vedessimo. Fellini ha sempre apprezzato le mie poesie dialettali. Di lui e di Flaiano ho una lettera bellissima, incredibile, ancora del tempo in cui stavo in Romagna. Quando Fellini ha pensato di fare un film sulla storia di un paese, ha rite­nuto opportuno vedere se potevamo lavorare insieme.
Dopo Roma, Federico voleva fare un film sulla Romagna, tant'è vero che aveva scritto un pezzo su Rimini, La mia città, un pezzo di ricordi. Siccome anch'io ho scritto certamente molto sulla Romagna, specialmente le poesie che messe assieme fanno un libro, allora incrociando le cose, è venuto fuori questo Amarcord, che lì è scritto in una parola soltanto, mentre sarebbero tre parole. In romagnolo io si dice "a". Io mi ricordo. Con Federico si lavora molto bene, anche perché sembra che non si faccia niente. Una cosa di uno scherzo, parlando parlando, ogni tanto si butta giù qualche appunto, così tanto per appuntare, e poi spesso va a finire che l'appunto è quello che resta. Una cosa molto festosa. L'ultima sceneggiatura, quella di E la nave va, l'abbiamo fatta in otto-nove giorni, in brevissimo tempo, la mattina dalle nove a mezzogiorno. Il nostro rapporto è sempre stato di collaborazione molto sana e molto vera. Se lui propone una cosa e io ho qualche dubbio, se non mi ha convinto lui non la mette, così naturalmente succede con me. È sempre un fatto molto democratico, una collaborazione sempre molto sana, pulita. Capita che ci diciamo: "No, no, questa cosa che hai inventato, non la sento, mi fa schifo, è proprio brutta", oppure il contrario, e ci si sta a sentire, se ne discute. Giuro che per Amarcord non so proprio se c'è più di mio o di suo. Giuro, non mi ricordo quello che c'è di mio.
(Tonino Guerra)



Antonioni è ferrarese, emiliano, e ci tiene molto a non essere romagnolo. Fellini è riminese. La sua impronta, quella dei ricordi d'infanzia, è un'impronta vera, ma come lui dice spesso il suo vero mondo è come un'infanzia reinventata tutta a Cinecittà. Il suo vero paese è Cinecittà, e non credo neanche che ami poi molto la Romagna. Amarcord è un'invenzione, certamente. Io certo sono un po' più legato alla Romagna di lui, anche perché sono vissuto in Romagna fino a trent'anni. Le cose che si vedono in Amarcord sono quelle che succedevano a quei tempi sia a Rimini sia a Sant'Arcangelo, che è a pochi chilometri da Rimini, una specie di periferia di Rimini, ma io penso che in fondo Sant'Arcangelo sia migliore di Rimini. Il turismo ha imbastardito i riminesi. Gli amici di Federico venivano da Rimini a Sant'Arcangelo ed entravano nelle barbierie, al tempo di certe fiere, e si divertivano a dire: "Questo cos'è, un vespasiano?". Si sentivano i cittadini.
(Tonino Guerra)


Tra i due non ci furono mai scontri. Proprio nell’impresa di Amarcord, anzi, si cementò un’amicizia, destinata a durare. Federico non aveva chiamato Guerra perché era romagnolo, come lui, ma sicuramente il successo delle sue poesie, non solo in vernacolo, influenzò molto la scelta di Fellini. Una volta chiesi a Tonino: "dove hai colto il talento più straordinario di Federico?". E lui: "In 10 metri di pellicola". Quelli che gli servirono per far credere a tutto il mondo che il Rex, quella sera, passò veramente davanti al Grand Hotel di Rimini... Tonino si meravigliava di come tutto sul set più sgangherato che avesse mai visto filasse liscio come l’olio. Federico, mi diceva sempre Tonino, ha un grande pregio: ti lasciava fantasticare, e poi lui prendeva quello che gli sembrava più utile per narrare il suo film.
(Sergio Zavoli)