Una specie di incubo radioso: la vicenda produttiva

Una specie di incubo radioso: la vicenda produttiva

Pasolini era da tempo in contatto con l’Ajace Film, fondata l’anno precedente da due giovani produttori, Tonino Cervi e Alessandro Jacovoni, con i quali aveva preso accordi per un altro progetto, La commare secca, accantonato in favore di Accattone e ceduto al giovane Bernardo Bertolucci che ne farà il suo primo film. Le riprese avrebbero potuto cominciare già ai primi di settembre di quell’anno ma i due produttori gli parvero “distratti, incerti, assenti”, facendogli pensare che ciò potesse dipendere dal suo “stato di disgrazia presso il mondo clericale ufficiale”. Fu allora che Pasolini decise di rivolgersi all’amico Federico Fellini al quale era legato fin dai tempi della collaborazione alla sceneggiatura di Le notti di Cabiria, sodalizio poi rinnovato per La dolce vita. Il grande regista aveva da poco fondato, insieme ad Angelo Rizzoli e Clemente Fracassi, la Federiz, con l’intento di produrre film di nuovi autori che avessero trovato difficoltà a realizzare i loro progetti, e si era dichiarato disponibile a produrre anche il film dello scrittore. […] Ottenuta la benedizione di Fellini, Pasolini vive quei primi giorni di settembre come i più belli della sua vita. Aveva già chiari in mente tutti i possibili interpreti dei suoi personaggi: “Saranno i giovani stessi che mi hanno suggerito la vicenda”, dice a Tullio Kezich in una delle prime interviste sul film, confermandone il radicamento ispirativo nella vita di borgata. Personaggi che Pasolini fa ritrarre da un “fotografo fedele, tutto preso dalla verginità del mio entusiasmo”. […] Scaturite da un sopralluogo condotto da Pasolini stesso che qua e là si intravede mentre osserva e, presumibilmente, valuta la funzionalità dello spazio di fronte a una povera casa di borgata o quello di una via cittadina in cui ambientare una sequenza del futuro film, quelle foto, attribuite a Tazio Secchiaroli, si riveleranno provvidenziali. Esse compongono la prima traccia visiva del film, una sorta di sua embrionale incubazione, rivelativa di come nella mente di Pasolini fossero ben chiari i luoghi in cui collocare i suoi personaggi, nonché gli interpreti chiamati a dar corpo alle vicende delineate nella sceneggiatura.

(Luciano De Giusti)




Ho avuto un'enorme simpatia per Pasolini. Lessi Ragazzi di vita, e fu un innamoramento totale. Lo cercai e lui arrivò da Canova con il suo passetto elastico, intimidito, con gli occhiali neri, e mi fu subito simpatico, lo sentii come una sorta di fratellino, tenero, delicato e monello, sassaiolo, di quelli che fanno a sassate a fiume. Lo invitai a collaborare alle Notti di Cabiria, riferendogli il soggetto. Poi lui raccontò in un articolo su “Il Giorno” questo incontro, e mi vidi descritto con grande acutezza e precisione. Diventammo amici. […]
Lui era innamorato del cinema, e in quel periodo con il successo della Dolce vita, ero riuscito a convincere il vecchio Rizzoli a fondare una società che si chiamava Federiz. Federico e Rizzoli. […] La società nasceva con l'ambizione di lanciare dei giovani, di trovare nuovi talenti. Io mi ero messo nell'impresa con l'entusiasmo del regista che vuol provare a fare un'altra cosa, che vuol trovare nuovi registi. E uno dei primi fu Pier Paolo, che mi portò il copione di Accattone. Non lo dico per giustificarmi, ma io dissi subito di sì, pur vedendo già una certa ostilità in Fracassi, riverberata sul vecchio Angelo Rizzoli, che diceva di non avere tanta simpatia né per i comunisti né per gli omosessuali. Difesi Pier Paolo forse anche in maniera esagerata se mi feci guardare con sospetto dal vecchio Angelino; chissà, comunista e omosessuale anch'io! Ma Rizzoli aveva rispetto per me, anzi, una forma di superstiziosa stima. Non avrebbe mai creduto che La dolce vita, un film che durava tre ore, potesse fare tutti quei soldi!

(Federico Fellini)




Alla Federiz decisero di saggiare le capacità registiche dello scrittore chiedendogli di girare due scene del film. Misero a sua disposizione per tre giorni una piccola troupe nella quale figuravano anche Riccardo Fellini, fratello di Federico, come aiuto regista, e “l’adorabile” Carlo Di Palma quale direttore della fotografia. Quarant’anni più tardi Di Palma ricorderà che in quell’occasione Pasolini gli fece vedere dei film per fargli capire come avrebbe voluto girare il suo, “soprattutto di Bergman e di Dreyer”. Il nome del maestro danese è quello ricorrente in gran parte delle testimonianze, una sorta di stella polare, un punto fisso di orientamento per il poeta che, oltre ai riferimenti pittorici, soprattutto Masaccio, cerca di individuare anche nella nuova arte un modello sul quale modulare un proprio stile. “C’era dentro di me la suggestione di Dreyer: in realtà seguivo una norma di assoluta semplicità espressiva”. L’esperienza genera in Pasolini uno stato di incontenibile euforia per la rivelazione delle possibilità espressive del nuovo linguaggio.

(Luciano De Giusti)




Erano giorni stupendi. Non avrei mai immaginato che il lavoro di regia fosse così straordinario. Sceglievo il modo più rapido e semplice per rappresentare quello che avevo scritto nella sceneggiatura. Piccoli blocchi visivi giustapposti con ordine, quasi con rozzezza. C’era dentro di me la suggestione di Dreyer: in realtà seguivo una norma di assoluta semplicità espressiva. Sarebbe troppo lungo entrare nei particolari: la lotta con la luce, in continuo, ossessionante mutare, la lotta con la vecchia macchina da presa, la lotta con i miei attori di Torpignattara, tutti, come me, al loro primo set. Ma erano lotte che si risolvevano sempre in piccole, consolanti vittorie. Per le tre notti che ho girato, non ho dormito. Pensavo sempre come in una specie di incubo radioso al film […]. Finalmente le due scene furono pronte, ed è cominciata quella attesa, che non avrebbe avuto ragione di avere dubbi e, invece, era così cosciente di basarsi sul nulla, su una sorte che non si muove, senza futuro.

(Pier Paolo Pasolini)




Quando Pasolini si reca nella sede della Federiz per avere il responso tanto atteso, Fellini gli dirà che sinceramente la visione del materiale non lo ha convinto. Interpellato sulla vicenda, a molti anni di distanza, ammetterà di essersi fatto influenzare da giudizi sfavorevoli delle persone di cui si era circondato e alle quali aveva fatto vedere il provino girato da Pasolini. Secondo una testimonianza di Nino Baragli, futuro montatore di tutti i film di Pasolini a cominciare da Accattone, una valutazione negativa giunse a Fellini da una figura storica del montaggio, Leo Catozzo, al quale “sembrava impossibile montare quello che Pasolini stava girando”. Fellini attribuì la causa maggiore del diniego alle resistenze e perplessità di Fracassi, ma le spostò soprattutto sui pregiudizi di Rizzoli verso omosessuali e comunisti, esponenzialmente moltiplicati se i due aspetti coesistevano nella stessa persona. Riconobbe tuttavia anche una propria parte di responsabilità, consistente “in un allentarsi della voglia di combattere” per realizzare i film degli altri. Aspetto prontamente intuito da Pasolini che, a caldo, profetizza come assai probabile “che la Federiz non produrrà nessun film”. Sarà così, infatti.

(Luciano De Giusti)




L'aver perso Accattone, l'aver subito questo arresto nella vitalità, continua a colorare di una tinta di dolore tutta la vita: “Bocciato in regia”, come disse una livida persona sull’“Espresso”. Per fortuna è una mattinata calma. Lavoro, scrivo, ricopio, finché – come ci eravamo messi d'accordo ieri, alla proiezione della Giornata balorda – verso le dodici e mezza viene a trovarmi Bolognini. […] È venuto a parlare con me del suo prossimo film, sceneggiato da Pratolini, da un vecchio romanzo di Pratesi: mi chiede, nel suo consueto terrore della vigilia, qualche suggerimento, qualche modifica, o, comunque, la mia critica. Discorriamo a lungo, volentieri, perché si tratta di un lavoro veramente buono.
Mentre parliamo, gli occhi di Bolognini cadono sull'enorme pacco di fotografie del mio film, rimaste qui, come il deposito di un'alluvione, su un tavolino dello studio. Comincia a guardare pigramente, poi con interesse sempre maggiore, quasi preoccupato, poi con autentico stupore. Scopre il materiale del mio film, e ne resta attonito: quelle facce dei miei personaggi veri – assurdi e veri, ridicoli e veri, disperati e veri – lo mettono di fronte al fatto inevitabile di sentirsi emozionato.

(Pier Paolo Pasolini)




Pasolini era disperato. Lo andai a trovare a casa. Conoscevo il copione di Accattone ma non avevo mai visto, diciamo, il suo copione di regia. Me lo mostrò in quell’occasione assieme a tutte le foto dei luoghi e dei personaggi che aveva scattato. Era una cosa incredibile, commovente. Insomma, inquadratura per inquadratura, aveva creato un copione illustrato, un lavoro stupendo che era già il film, chiaro, così come sarebbe stato. Rimasi entusiasta, sbigottito che quella roba non fosse piaciuta. Dissi subito che avrei fatto il possibile per dargli una mano. Lo dissi convinto, e oltretutto con il cuore perché, da quando qualche tempo prima gli era scattato dentro il desiderio spasmodico di essere il regista delle sue cose – desiderio che agli inizi non nutriva affatto, anzi aveva un atteggiamento quasi di sufficienza nei confronti della regia – mi sembrava quasi di derubarlo di questa possibilità
costringendolo a scrivere per il cinema.
[…] Lasciai Pier Paolo angosciato nel suo studio e mi precipitai da Alfredo Bini, con cui intrattenevo un rapporto molto amichevole perché avevo fatto per lui Il bell'Antonio, che aveva segnato il suo debutto come produttore ed era andato particolarmente bene, tanto che stavamo progettando un altro film, La viaccia. Devo dire che Bini capì subito la validità del copione che si ritrovava tra le mani, e non ebbe alcun tentennamento nel produrlo. Pier Paolo seppe da me, a casa di Bice Brichetto, dove lo raggiunsi subito dopo l’incontro con Bini, che avrebbe potuto realizzare il suo Accattone.

(Mauro Bolognini)




Pasolini era disperato. Bolognini mi disse, “Guarda, che questo si ammazza!”. Al che lo chiamai e: “Ma dai, aspetta, ammazzati tra qualche giorno!”. Andò così, e cominciammo, rifacendo dei provini. E vidi che sì era rozzo, che non aveva la padronanza del mezzo tecnico, ma si capiva benissimo cosa voleva fare, anzi quella fotografia, quel modo di girare, furono poi il pregio e lo stile ‘sottosviluppato’ di Accattone. Ripresi in mano tutto quanto il progetto.
Il problema adesso era la distribuzione, perché un film bocciato dalla Cineriz non era facile piazzarlo. Alla fine chiamai Sciscione, che lavorava per la Cino del Duca, e gli chiesi aiuto. Del Duca, però, stava a Deauville, così coi quattro soldi che avevamo lo raggiungemmo. Lui aveva una scuderia di cavalli, stava alle corse tutto elegante. Pioveva. E io sotto l'acqua a ripetergli: “Guardi, è una storia che costa poco e poi è bellissima, tratta di un magnaccio che alla fine con l'amore si redime”. Del Duca seguiva la corsa col binocolo, sembrava che neppure stesse a sentirmi. Invece, dopo, disse che ci sarebbe stato al 50%. Così, siccome quel 50% erano soldi veri, riuscimmo a fare il film. Non ci furono più inconvenienti.

(Alfredo Bini)








Salvo diversa indicazione i testi sono tratti da:
Accattone. L’esordio di Pier Paolo Pasolini raccontato dai documenti, a cura di Luciano De Giusti e Roberto Chiesi, Edizioni Cineteca di Bologna, 2015;
Pier Paolo Pasolini, Il mio cinema, Edizioni Cineteca di Bologna, 2015;
L’avventurosa storia del cinema italiano. Vol. 3, a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Edizioni Cineteca di Bologna, in corso di pubblicazione