I figli della violenza

I figli della violenza

(Los olvidados, Messico/1950) di Luis Buñuel (85')

Soggetto e sceneggiatura: Luis Alcoriza, Luis Buñuel. Fotografia: Gabriel Figueroa. Montaggio: Carlos Savage. Scenografia: Edward Fitzgerald. Musica: Gustavo Pittaluga. Interpreti: Estela Inda (Marta), Alfonso Mejía (Pedro), Miguel Inclán (don Carmelo), Roberto Cobo ('El Jaibo'), Alma Delia Fuentes (Meche), Efraín Arauz ('El Cacarizo'), Mario Ramírez ('El Ojitos'), Francisco Jambrina (il direttore del riformatorio), Jesús Navarro (il padre di Julián), Javier Amezcua (Julián). Produzione: Óscar Dancigers, Sergio Kogan, Jaime Menasce per Ultramar Films.
Restaurato nel 2019 da The Film Foundation's World Cinema Project presso L' Immagine Ritrovata in collaborazione con Fundación Televisa, Televisa, Cineteca Nacional Mexico, e Filmoteca de la UNAM, grazie al contributo di The Material World Foundation.



Luis Buñuel riuscì a scomparire dalla storia del cinema dopo aver creato due scandalosi film surrealisti e un documentario girato in una delle zone più povere della Spagna. In Messico ricevette poi l'incarico di girare in velocità due film d'intrattenimento a basso costo. Nei successivi tre anni senza impiego studiò attentamente Città del Messico e decise di concentrarsi sulle condizioni dei bambini abbandonati. Los olvidados, ‘i dimenticati', sono gli abitanti delle bidonvilles che la metropoli genera, metastasi di desolazione cieca, in cui anche i bambini sono condannati alla violenza e all'odio. Non c'è niente di ovvio nel modo in cui Buñuel racconta la povertà. Basò il film su osservazioni dirette e documenti ufficiali, ma sfidò il neorealismo ritraendo i suoi protagonisti come figure complesse guidate dai propri impulsi inconsci. Scrive Julio Cortázar: “L’idea generale di I figli della violenza non passa e non vuol passare per una secca denuncia. Buñuel o l’antipatetismo. [...] Qui i ragazzi muoiono per le bastonate e senza perdita di tempo, si perdono nelle viuzze senza altri averi che un talismano al collo e volutamente, affinché noi sentiamo la nostra estraneità responsabile”.

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